Cosa può fare una famiglia quando un membro abbandona le sue norme e tradizioni? Questo è un problema che, anche se ci può sembrare lontano (o vicino, a seconda della storia di ognuno di noi), ha tormentato le famiglie fin dalla notte dei tempi. Come si comporta una famiglia con il suo figliol prodigo, o con i suoi figli? Intere società, persino nazioni, si sono storicamente confrontate con questo problema. Come si affrontano gli scismi interni? Le scelte che possiamo prendere sono in realtà poche, chiare e nette. Si può cercare di mantenere la solidarietà cercando di mantenere il gruppo ribelle all’interno del gruppo. Sebbene attuando un simile approccio ci possa essere molto da guadagnare, questa scelta pone alcuni rischi. Il gruppo che sfida lo status quo rischia di influenzare gli altri, diluendo alla fine il loro impegno e mettendo a repentaglio credenze e pratiche consolidate. L’alternativa è il rifiuto. Espellere i dissidenti dall’appartenenza al gruppo e definirli “fuori dal campo”. Lasciarli andare per la loro strada. Questo approccio mira a mantenere lo status quo e spera di isolare i “leali” dalla “contaminazione” ideologica rappresentata dal gruppo che si oppone.
Il popolo ebraico si è trovato ad affrontare questo dilemma numerose volte nella sua storia. Lo stesso Moshè dovette confrontarsi con sottogruppi controversi che “abbandonarono il campo”, uno dei quali si ritirò addirittura in Egitto. Molto più recentemente, anche se già solo un secolo e mezzo fa, l’ascesa del movimento riformista nell’Europa centrale pose questo stesso dilemma alle comunità ortodosse locali. Due grandi figure rabbiniche, Rav Shimshon Rephael Hirsch di Francoforte e Rav Seligmann Baer Bamberger di Würtzburg, si scontrarono animatamente proprio su questo tema. La comunità ortodossa avrebbe dovuto approfittare e separarsi dalla comunità ebraica generale, ora dominata dai riformatori, oppure l’unità doveva essere preservata, quasi a ogni costo? Ai nostri giorni, i giovani studenti che diventeranno i prossimi Rabbini ortodossi si trovano ad affrontare questo dilemma. Dovrebbero cercare ed eventualmente accettare incarichi nei Batè Kenesiot o nelle Comunità tradizionali, proteggendo così se stessi e la propria famiglia dall’esposizione a coloro che ignorano o sono ostili agli ideali religiosi ortodossi, oppure dovrebbero cercare impieghi che li pongano in contatto con coloro che hanno stili di vita e ideologie antitetici ai propri, nell’interesse dell’unità ebraica? Dovrebbero quindi seguire l’approccio del movimento del cosiddetto kiruv (avvicinamento delle persone lontane), rischiano in tal modo di esporre sé stessi a la loro famiglia a possibili influenze contrarie al loro credo e comprometterebbero potenzialmente i propri impegni di fede?
Un versetto della Parashà di questa settimana, Lech Lecha (Beeshit 12:1-17:27), ci offre alcuni spunti di riflessione su questa questione cruciale. Nella Parashà di questa settimana, infatti, apprendiamo del primo scisma nella storia ebraica, avvenuto nella famiglia del patriarca Avraham. Fin da quando lo abbiamo conosciuto per la prima volta nella Parashà della scorsa settimana, il nome di Avraham è rimasto associato a quello di suo nipote Lot. Insieme viaggiano verso Canaan. Ne consegue una disputa tra i pastori di Avraham e i pastori di Lot, che porta alla separazione tra i due. Leggiamo quindi: “E D-o disse ad Avraham, dopo che Lot si fu separato da lui: ‘Alza gli occhi e guarda dal luogo dove sei verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente, perché Io do tutto il paese che vedi a te e alla tua discendenza per sempre'” (Bereshit 13:14-15). Rashi nota che D-o rimanda il colloquio con Avraham e non gli comunica la Sua grande promessa fino a dopo che Lot si fu separato da lui. Dal punto di vista di Rashi, la lunga associazione di Avraham con Lot non era gradita a D-o al punto che fu disposto a rivolgersi nuovamente direttamente ad Avraham solo dopo che le loro strade si erano divise. Rashi approva chiaramente l’approccio separatista al dilemma che abbiamo discusso.
Non tutti i Chachamim sono d’accordo con Rashi. Si noti la disputa tra due saggi talmudici riportata nel Midrash Rabbà: “Rabbi Yehudà dice: D-o si adirò con nostro padre Avraham quando permise a Lot, suo caro nipote, di separarsi da lui. Il Santo, Benedetto Egli Sia, disse: ‘Egli tollera tutti, e non può tollerare suo fratello Lot?’. Rabbi Nechemià non era d’accordo e disse: il Signore si adirò con nostro padre Avraham quando permise a Lot di unirsi a lui. Il Santo, Benedetto Egli Sia, disse: ‘Ti ho promesso che avrei dato questa terra in eredità ai tuoi figli, e tu vai e ti unisci a tuo nipote Lot, come se volessi lasciargli in eredità la terra!'”
Rashi, apparentemente, in questa disputa si schiera con Rabbi Nechemià. Secondo la loro opinione, Avraham si stava comportando meritoriamente ed in maniera assolutamente corretta quando permise a Lot di separarsi da lui. La sua associazione e la sua vicinanza con Lot gli attirò nientemeno che l’ira di D-o. Rabbi Yehudà con la sua opinione, d’altra parte, rappresenta con forza la visione totalmente opposta. Avraham avrebbe dovuto mettere in campo azioni e fare tutto il possibile per impedire la partenza di Lot. Il separatismo non è la strada giusta. Unità e solidarietà devono essere preservate Secondo l’opinione di Rabbi Yehudà, la capacità di Avraham di raggiungere la capacità di avvicinare il prossimo era la sua più grande forza, e D-o si dispiace profondamente quando Avraham non usa questa sua capacità per raggiungere i suoi simili, specialmente se si tratta dei suoi familiari.
La disputa tra questi antichi studiosi ci è stata tramandata dal Midrash per una buona ragione. Non esiste una risposta semplice, diretta e, ultimamente, giusta al dilemma tra solidarietà, accoglienza e separatismo.
La risposta giusta a queste domande è sempre “dipende”. Ci sono momenti e circostanze che richiedono la forza di determinazione sostenuta da Rashi, sulle orme di quanto sostiene Rabbi Nechemià. Ma ci sono altri momenti, e ci possono essere anche circostanze diverse, che richiedono l’approccio di sensibilizzazione che Avraham ha incarnato con il suo esempio di vita. A questo punto la domanda nasce spontanea. Siamo sicuri che la decisione di Avraham sia stata scorretta?
Una possibile risposta a questa domanda difficile, la possiamo trovare attraverso lo studio di quanto succede successivamente e riflettendo sulla fine della storia. Nel versetto che abbiamo preso in esame, Avraham e Lot si separano.Avraham, però, nonostante le prime apparenze, non abbandona totalmente Lot. Con lo sviluppo della narrazione, apprendiamo che Avraham andò a soccorrere Lot al punto di impegnarsi in una battaglia difficile e con poche chance di successo per riscattarlo dalla prigionia.
Molto più avanti e molto tempo dopo nella narrazione del Tanach, apprendiamo del nipote di Lot, Moav, la cui discendente Rut si riunì ai discendenti di Avraham. Quella riunione , apparentemente strana e poco logica, culminò con la nascita di Re Davide, pronipote di Rut e antenato del Mashiach. Il messaggio che sembra trasmetterci il Tanach, attraverso questa narrazione, sembrerebbe quindi che, se anche talvolta una separazione è inevitabile, momentaneamente dolorosa e persino necessaria, quello che lascia il segno, quello che rende possibile il farci crescere a livello personale e spirituale, sono quelle caratteristiche che sono il tratto preponderante delle personalità cui abbiamo accennato, Avraham, Rut, David: La rettitudine nel comportamento accompagnata dall’adesione delle mitzvot, atti di chesed, la solidarietà e l’unità (da non intendersi come appiattimento di opinioni). In questo senso, hanno ragione nel loro commento tutti i Chachamim che sono stati citati, Rashi, Rabbi Nechemià e Rabbì Yehudà. Il fare propri questi comportamenti virtuosi, oltre ad essere positivo per noi stessi, può contribuire ad ispirare il prossimo e, in ultima analisi, potrebbe portare ad accelerare l’arrivo del Mashiach, bimeherà beyamenu.
