Francesca Nunberg
Devono essere i tempi che avvicinano libri apparentemente lontani, o magari le atmosfere, la capacità di vedere oltre le apparenze: qui c’è Giuditta, che ha deciso di scegliere il luogo più adatto per il suo eterno riposo, mentre in quel best-seller che è stato l’anno scorso “Cambiare l’acqua ai fiori” di Valérie Perrin, c’era Violette che indossava l’estate sotto l’inverno e faceva la custode di un cimitero e che, andando ancora indietro, a sua volta ricordava Renée, la portinaia sciatta e sorprendente dell’“Eleganza del riccio” di Muriel Barbery, ed era il 2006. Ma qui siamo in Israele ed è tutta un’altra storia. Nonna Giuditta, dunque, che va in cerca del cimitero perfetto con il soprabito abbinato alle scarpe di vernice, è la protagonista di “Resta ancora un po’” (Giuntina, 280 pagine, 15 euro), il “romanzo israeliano in lingua italiana” di Ghila Piattelli. Nata a Roma nel 1973, l’autrice si è trasferita in Israele nel 1992: sposata e con tre figli lavora come traduttrice e insegnante di italiano e questo è il suo esordio narrativo.
Ad accompagnare l’eccentrica donna di origini italiane nel suo tour on the road è l’amato nipote Yoni a cui lei continua a ripetere «se avessi potuto scegliere un bambino tra tutti i bambini del mondo, sempre e comunque avrei scelto te». E nonostante lui non sia particolarmente felice di essere “l’eletto”, arduo fardello come per il suo popolo, fa buon viso e scarrozza l’eccentrica nonna su e giù per il Paese. Con loro, la fidanzata Noga e il coinquilino Ittai che guarda Yona con occhi forse troppo amorevoli. Giuditta è arrivata in Israele negli anni Quaranta, non ha nulla della pioniera e ha potuto permettersi il lusso di restare se stessa: indossa abiti europei (tranne quando un imprevisto la costringe a una tutina rosa), cucina piatti tradizionali italiani (la lasagna diverrà una madeleine per Yoni tanto che nonna e nipote promettono di rincontrarsi “sulla punta di una forchetta”) e ogni sabato invita a pranzo nella sua casa di Gerusalemme la famiglia in arrivo da Tel Aviv con “tovaglie di lino candide, cristalli e posate d’argento, leccornie di ogni tipo”.
La simpatica nonna lascerà un segno nelle vite dei suoi giovani accompagnatori e con il sarcasmo di cui è dotata riuscirà a esorcizzare il segreto che la figlia Ahuva nasconde in una scatola da scarpe e che da quarant’anni tiene in ostaggio la sua famiglia. Lungo la strada affiorano i ricordi, si smontano le bugie, i fantasmi prendono corpo e Yona scoprirà perché gli è stato dato il nome di un giovane soldato ucciso da un cecchino siriano durante la Guerra del Kippur. Capirà che non è l’oblio il vero nemico della memoria, e che spesso per poter conservare i ricordi bisogna lasciarli andare. Il bello di questo romanzo corale è quello di avvicinare generazioni e sensibilità, nonni e nipoti, vivi e morti e di raccontare l’Israele di oggi con estrema grazia e leggerezza. Tutti cercano di fare i conti con le questioni non risolte delle loro esistenze (compresa Giuditta che prima di salutare il mondo fa un’ultima visita all’ex fidanzato) in attesa del prossimo dilemma.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
https://www.giuntina.it/catalogo/diaspora/resta-ancora-un-po-789.html