Giovedì 7 novembre il Corriere della sera ha pubblicato un brano della nuova prefazione di Sergio Romano al volume Lettera a un amico ebreo (edito da Longanesi). Il libro, già alla prima uscita, cinque anni fa, suscitò numerose discussioni sull’Olocausto e sull’antisemitismo. Nella nuova prefazione Romano sostiene che la causa degli ebrei è stata danneggiata da esasperazioni ideologiche e denuncia l’esistenza di una sorta di «inquisizione ebraica» che avrebbe ereditato il ruolo censorio del Sant’Uffizio cattolico. In questa pagina pubblichiamo tre risposte alle tesi di Romano e la replica dell’autore.
«Le società cristiane complici del genocidio»
Sul Corriere del 7 novembre l’ambasciatore Sergio Romano ritorna sul suo Lettera a un amico ebreo , appena uscito nella nuova edizione. Nella prefazione al libro, che il Corriere riporta, l’ambasciatore Romano scrive tra l’altro che «se un solo fattore può, entro certi limiti, spiegare il carattere straordinario dei massacri ebraici durante la seconda guerra mondiale, questo è, se mai, l’unicità del nazismo, vale a dire di una ideologia fondamentalmente anticristiana».
Forse non ho capito bene il significato di questa affermazione. Sarà pur vero che il nazismo era un’ideologia anticristiana, ma in realtà a venire sterminati non furono i cristiani come gruppo e in quanto tali, ma il 60% degli ebrei d’Europa. Se ipoteticamente in Italia qualche nuova dittatura fondamentalista fosse antisemita, ma all’atto pratico ammazzasse il 60% dei cristiani, cioè presso a poco 33 milioni di persone, uomini, donne e bambini, non credo che la si potrebbe definire una ideologia fondamentalmente antisemita.
L’ambasciatore Romano contesta che «le società cristiane siano state oggettivamente complici del genocidio», ma 1900 anni di predicazione antiebraica (cessata solo un minuto fa, in tempo storico della Chiesa) qualche alimento alle persecuzioni antiebraiche lo avranno pure fornito.
L’ambasciatore Romano scrive poi che se è vero che «quasi sei milioni di ebrei morivano nei lager tedeschi», «furono tre milioni i polacchi uccisi durante la seconda guerra mondiale», ma non precisa che si trattava di tre milioni di ebrei polacchi (con tutto il cordoglio dovuto alle centinaia di migliaia di cristiani polacchi uccisi).
L’ambasciatore Romano pare lamentare un eccesso di «musei dell’Olocausto» e di «giorni della memoria», eccesso che diventa, sembra, una tendenza. E questa «tendenza si è ulteriormente accentuata e ha assunto una evidente componente patrimoniale». Ma questa non l’ho capita proprio.
Infine l’ambasciatore Romano ha «l’impressione che dopo la soppressione del Sant’Uffizio esista ormai una inquisizione ebraica, autorizzata a controllare e verificare il tasso di antisemitismo delle società cristiane».
Ecco, questo è vero, almeno per quanto mi riguarda. Lo confesso, io sono un Inquisitore. Mi mancano però i fiammiferi che talvolta usava il Sant’Uffizio.
Luciano Tas
(giornalista e saggista, autore di una «Storia degli ebrei italiani»)
«Il dolore non può essere risarcito»
Ho sott’occhio il Corriere della Sera del 7 novembre, che riporta la insinuante prefazione di Sergio Romano alla nuova edizione del suo libro. Mi sembra inutile alimentare una polemica, che prevedibilmente e per intuibili motivi sarebbe gradita all’autore, su argomenti, tutt’altro che nuovi, che costituiscono il conosciuto patrimonio degli antisemiti di oggi e sui quali, comunque gli storici hanno già espresso il loro giudizio. Voglio soltanto ricordare all’autore, nel caso che lo avesse dimenticato, che la «unicità dell’Olocausto» (come egli scrive tra virgolette) non consiste nel genocidio in sè, purtroppo non unico nella storia dell’umanità, e neppure nella assoluta enormità del numero delle vittime. Consiste, invece, nella studiata ed attuata volontà di avvilire progressivamente, attraverso sofferenze inenarrabili e fino all’annientamento fisico industrializzato, la dignità umana dei predestinati, che erano tali, ovunque si trovassero, semplicemente a causa della loro nascita.
Consiste anche nella volontà di depredarli dei loro beni, non solo quelli di un qualche valore ma anche i più umili ed i più personali, come potrebbe essere uno spazzolino per i denti, o una semplice sedia da cucina, o delle posate per neonato. Nessun risarcimento, neppure simbolico, potranno mai avere coloro che possedettero quei beni e che sono finiti nei forni crematori. La Commissione presieduta dalla onorevole Anselmi, della quale mi onoro di avere fatto parte, ha compiuto una indagine storica su quelle rapine, ricostruendo documentalmente lo svolgersi di fatti, accaduti nel nostro Paese e riguardanti una parte della popolazione, fatti che, prima d’ora, mai erano stati indagati nel loro svolgimento e nei loro effetti. E la storia, con la memoria del passato, è indubbiamente, lo si sa, prezioso patrimonio delle generazioni presenti e di quelle che verranno.
Dario Tedeschi
(componente della Commissione presieduta da Tina Anselmi)
«I beni vennero confiscati e non furono mai restituiti»
Ho fatto parte della «Commissione Anselmi», la Commissione governativa che per due anni e mezzo ha setacciato gli archivi pubblici e privati italiani per indagare i meccanismi di spoliazione attuati contro gli ebrei italiani dal 1938 al 1945. Nell’aprile 2002 abbiamo consegnato alla Presidenza del Consiglio e al Paese un Rapporto Generale di 540 pagine fitte, ricco di ricostruzioni storiche e di indicazioni su ciò che nel dopoguerra era stato restituito, su ciò che era stato disperso definitivamente, su ciò che era o poteva essere rimasto in possesso di enti pubblici o privati. Nei successivi diciotto mesi si è verificato un solo episodio di restituzione, per meritoria decisione autonoma della Provincia di Trento. Nient’altro. Nel frattempo i depredati si sono anagraficamente ridotti di numero, le ricchezze del Paese sono cresciute e diminuite, le manifestazioni di antisemitismo sono calate o aumentate, viaggi (in Israele) sino ad ieri non offerti e non graditi sono diventati possibili. Ma la maggior parte delle Raccomandazioni conclusive del Rapporto Generale è rimasta inevasa. Una di esse auspicava che «il Governo, anche alla luce delle risultanze emerse dal lavoro della Commissione, e secondo modalità che riterrà più opportune, renda sollecitamente possibili i risarcimenti individuali alle vittime di sequestri, confische e furti avvenuti negli anni 1938-1945». Cara Tina Anselmi, non più ragazzina: quanta sprovvedutezza in quel nostro «sollecitamente».
A fronte di questa situazione, gli unici elementi di novità sono stati, il mese scorso, la pubblicità al libro di Norman Finkelstein sull’esosità (per non dir di peggio) ebraica «olocaustica» e, ora, i giudizi liquidatori della Commissione Anselmi scritti da Sergio Romano sul Corriere della Sera di giovedì 7 novembre.
In questi diciotto mesi (ci si potrebbero fabbricare due bambini, lavoro non da poco) tutti hanno avuto cose importanti da fare, più importanti anche della restituzione degli orologi confiscati dalle autorità italiane repubblichine ad ebrei arrestati sul confine svizzero (gli ebrei furono deportati; gli orologi nel dopoguerra vennero venduti dal nostro Stato democratico a beneficio dell’Erario), o della bandiera d’Italia confiscata nell’abitazione di un rabbino (a quella data già ucciso ad Auschwitz).
Se l’Italia non deve restituire, non restituisca. Ma, per cortesia, lo si faccia in silenzio. Ci si risparmi l’ironia sui soldi degli ebrei, sulla potenza degli ebrei, sulla protervia degli ebrei, sull’insopportabilità degli ebrei.
(Fondazione Cdec, Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano)
Michele Sarfatti