Pagine Ebraiche 24 – Ucei
“Siamo tutti angosciati per quello che sta succedendo. La brutalità dell’aggressione dei terroristi palestinesi è disumana e ci lascia senza parole”, dichiara Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova e assessore agli Affari Religiosi dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Ma davanti alle stragi compiute da Hamas e a questa nuova guerra, aggiunge, “ci ritroviamo tutti uniti come popolo”. La sfida è “conservare questo sentimento, oggi così forte e sincero, anche in futuro. Sia in Israele sia qui tra le comunità ebraiche italiane. E ricordarsi che abbiamo sempre bisogno gli uni degli altri”. Momigliano lo ha ribadito anche durante la festa di Simchat Torah, celebrata domenica nella diaspora. Dovrebbe essere un momento felice del calendario ebraico – come indica il nome che significa “Gioia della Torah”-, ma quest’anno l’allegria si è dissolta nelle notizie dei massacri.
“Le persone mi aggiornavano su quanto accadeva e inizialmente tutto era molto confuso. Si capiva però la gravità della situazione. Abbiamo deciso di proseguire con le funzioni, ma ho posto l’accento sulla preghiera che recitiamo per Israele. Ho invitato tutti a prestare attenzione alle parole, a ricordarsi che noi abbiamo bisogno di Israele e Israele ha bisogno di noi”. Un legame, ribadisce, indissolubile.
Da Haifa Michael Ascoli, ingegnere e rabbino, condivide l’idea che nella tragedia si sia ritrovata l’unità. “Nonostante quello che si poteva temere alla luce di tutte le diatribe, delle proteste di piazza, della lacerazione profonda, la società israeliana nell’emergenza ha saputo ritrovarsi. Come sempre in questi frangenti c’è uno sforzo comune per sostenere i soldati ed è stata avviata ogni forma di solidarietà con aiuti e ospitalità alle vittime degli attacchi da Gaza, in particolare a chi vive nelle zone di confine con la Striscia”. Ascoli non nasconde però una certa amarezza. “Tristemente abbiamo avuto bisogno di questo per riuscire a dirci l’uno con l’altro che soltanto insieme possiamo farcela”.
Al momento, sottolineano i due rabbanim, è difficile riflettere su quanto accaduto. “L’invito è alla lettura dei Salmi, a recitare le preghiere per i feriti e per gli ostaggi. Domenica scorsa – spiega il rabbino capo di Genova – ho invitato a studiare e leggere la Torah con il fine di ritrovarvi tutto quello che ci unisce. Nello studio, ricordare i nostri valori condivisi e rafforzare il nostro senso di comunità”. Per Momigliano bisogna anche cercare di contenere la visione delle immagini più crude che arrivano da Sderot, dalla festa dei giovani nel Negev, dai kibbutzim vicino a Gaza, teatro delle violenze più efferate da parte dei terroristi. “Lo shock di quelle immagini ci rende più difficile ragionare e agire”.
Sul tema della reazione israeliana all’attacco di Hamas e Jihad islamica, Ascoli cita il rabbino israeliano Ido Pachter, secondo cui “c’è un aspetto morale nel voler cancellare il male. C’è in questo caso una necessità non solo strategica e di sopravvivenza, ma l’imperativo morale di sradicare Hamas, di reagire in modo differente rispetto al passato in cui, a torto o a ragione, ci si è accontentati di cessate il fuoco o tregue momentanee”. In un suo intervento di queste ore, Pachter ricorda che nei Salmi si legge “Voi che amate il Signore, odiate il male”. E secondo il rabbino “chi ama la verità, la morale e il bene, in questi giorni dovrebbe odiare anche il male. Questo non è in contraddizione. È esattamente la stessa cosa”. Odiare il male, prosegue Pachter, significa impegnarsi per eliminarlo.
Rimangono aperti due dilemmi etici profondi inerenti la guerra. “Uno è come agire a Gaza, tenendo conto della popolazione civile di cui Hamas si fa scudo. È una considerazione a cui Israele ha sempre dato una enorme attenzione. Si è sempre impegnata, nel limite del possibile e anche vicino all’impossibile, a non colpire civili. Come agire ora? L’altro dilemma è quello legato alle persone rapite (tra 130 e 150 secondo alcune stime): quanto siamo disposti a dare in cambio del rilascio dei prigionieri, sapendo che liberare quantità enormi di terroristi significa potenzialmente permettere loro di tornare a colpire?”. Sono dilemmi noti, su cui ci sono alcune risposte ma che ora, conclude Ascoli, “assumono una rilevanza diversa in considerazione della dimensione della tragedia”.
TEHILLIM (I SALMI)