Emanuele Calò
Fra le rievocazioni di George Steiner, critico letterario, linguista, scrittore e accademico, appena deceduto, abbiamo quella di Wlodek Goldkorn, valido intellettuale e giornalista, il quale scrive su Repubblica che costui “si proclamava ebreo diasporista perché negava la centralità dello Stato ebraico e dell’esperienza sionista nel vissuto del proprio popolo. Era molto critico nei confronti della politica e dello stesso uso di violenza da parte dello Stato d’Israele. Ripeteva che la sua patria fosse ovunque ci sia una macchina da scrivere. Ebraismo insomma come testo, invenzione e interpretazione. Per lui la vera patria, se ne aveva una, era l’Europa, con la sua architettura e i suoi modi di vita”.
Sennonché, sul Corriere della Sera dello stesso giorno, in un’intervista che Goldkorn non poteva conoscere perché destinata ad essere diffusa dopo la sua morte, dichiara a Nuccio Ordine: “Sono antisionista (posizione che mi è costata molto, fino al punto di non riuscire a immaginare la possibilità di vivere in Israele) e detesto il nazionalismo militante. Ma adesso che la mia vita volge al tramonto, ci sono momenti in cui ho qualche vivo rimpianto: forse mi sono sbagliato? Non era meglio lottare contro lo sciovinismo e il militarismo vivendo a Gerusalemme? Avevo il diritto di criticare, comodamente seduto sul divano della mia bella casa a Cambridge? Sono stato arrogante quando, dall’esterno, ho cercato di spiegare a persone in pericolo di morte come avrebbero dovuto comportarsi?»
La differenza fra George Steiner e, diciamo, un quisque de populo, anche per cercar di capire l’essenza del grande intelletto, la si ritrova nell’attitudine al pensiero critico e nella scoperta di ciò che costui chiama “l’irrazionalismo moderno”, che contrasta ricorrendo all’apagoge: “Sono stato arrogante quando, dall’esterno, ho cercato di spiegare a persone in pericolo di morte come avrebbero dovuto comportarsi?”. Ottimo riassunto, anche se pecca di ovvietà, perché non sarà stato il solo a capire quanta superbia vi sia nel pretendere che ci si difenda secondo altrui canoni.
Appare incredibile, ma le lettere possono questo ed altro: che Goldkorn scriva un interessante articolo e che Steiner gli risponda dalla tomba. In fondo, si tratta di un colpo d’ingegno ed è, ancorché in modo indiretto e ovviamente casuale, un coup de théâtre.
In comune, fra le due testate, abbiamo l‘atteggiamento dei titolisti, che fanno del defunto Steiner un soggetto di “origine ebraica”, al posto di “ebreo”, un’usanza che rende perplessi molti, da parte ebraica, non escluso il sottoscritto, come ormai risulta da diversi contributi.
Nel riferirci all’atteggiamento di George Steiner nei riguardi di Israele, sarebbe proficuo gettare un’occhiata ad un’intervista rilasciata a Forward il 27 marzo 2017, sia per la sua vicinanza di Nuccio Ordine, sia perché accentua lo spartiacque fra gli schieramenti d’italico stampo e la più fortunata cultura francese: “quando mi si presenta ad un duca inglese, dico a me stesso ‘la più alta nobiltà è quella di essere appartenuto ad un popolo che non ha mai umiliato un altro’. O torturato un altro. Ma ora, Israele deve necessariamente (e sottolineo questa parola e la ripeterei 20 volte se potessi) inevitabilmente, senza vie di fuga, uccidere e torturare per sopravvivere; Israele deve comportarsi come il resto di questa cosiddetta umanità normale. Ebbene, confermo di essere uno snob etico, sono completamente arrogante dal punto di vista etico; diventando un popolo come gli altri, gli israeliani hanno rinunziato a tale nobiltà. Israele è una nazione fra le altre, armata fino ai denti. E quando vedo dall’alto di un muro la lunga fila di lavoratori palestinesi che cercano di arrivare ai loro lavori giornalieri, in piedi nel caldo soffocante, non posso evitare di vedere la loro umiliazione e mi dico che è un prezzo troppo alto da pagare. Israele mi risponde: “Zitto, sciocco! Vieni qui! Vivi con noi! Condividi i nostri pericoli! Siamo il solo paese che accoglierà i tuoi figli se dovessero fuggire. Allora, quale diritto hai ad essere così moralmente superiore?” Ed io non ho risposta”.
Certo, sarebbe troppo facile replicare (a parte l’inaccettabile riferimento alla tortura) che se gli ebrei nel Galut non hanno umiliato altri popoli, per contro, sono stati continuamente umiliati, con picchi elevatissimi e momenti di bonaccia. Ad esempio, gli africani sono stati schiavizzati in Asia e in America, ma nessuno ha dato loro la colpa per il loro stato, mentre per gli ebrei al martirio materiale si è unito quello spirituale, per via della costante diffamazione.
Questo sarebbe un abbozzo di risposta, ma conta poco o forse, addirittura, nulla. Più importante ai nostri fini è spiegare (non opinare: spiegare) che Steiner è riuscito ad essere empatico con gli israeliani e con i palestinesi; da noi non sembra che sia così frequente. È un portato della sua sensibilità, oppure della sua intelligenza?
Il Foglio, 6.2.2020