Alfonso Arbib
Nella parashà di Chukkàt il popolo ebraico si lamenta per due volte per la mancanza di acqua: la prima volta Dio risponde semplicemente fornendogli l’acqua, la seconda li punisce severamente. Come mai? Il Ralbag risponde che c’è una differenza fondamentale: la prima volta, gli ebrei non avevano veramente l’acqua; la seconda l’acqua c’era.
La seconda lamentela del popolo ebraico è la lamentela generica di persone insoddisfatte della loro situazione che hanno la sensazione che manchi tutto, anche se non è vero. Questo atteggiamento è profondamente sbagliato perché impedisce quello che nella tradizione ebraica è la hakkaràt hatòv, il riconoscimento del bene e ci spinge a una visione pessimistica della realtà. Dobbiamo invece essere in grado di vedere il bene e anche di ringraziare per il bene, questo per esempio è il senso delle benedizioni che siamo chiamati quotidianamente a fare.
Proverò ad applicare questo tipo di visione alla Comunità di Milano. Milano è una comunità vitale, ci sono moltissimi elementi positivi, c’è la scuola ebraica che è il vero centro di questa comunità. Ci sono altre due scuole che sono una fonte di ricchezza culturale e identitaria. Ci sono molti batte keneset, luoghi in cui studiare Torà, possibilità di mangiare kasher. C’è anche molta solidarietà e sostegno materiale e psicologico a chi si trova in difficoltà. Tutto questo non è scontato e dobbiamo imparare ad apprezzarlo.
Questo vuol dire che viviamo nel migliore dei mondi possibili? Non è così. Nella nostra comunità ci sono molti problemi, ci sono crescenti difficoltà economiche, c’è una perdita di alunni che ormai dura da anni nella Scuola della Comunità, soprattutto al liceo. C’è una crescente disaffezione e un allontanamento dalle istituzioni comunitarie, ci sono ebrei lontani ma anche ebrei vicini che si allontanano. Di tutto ciò bisogna prendere atto e tentare di affrontare questi problemi. In che modo? Facendo ciò che siamo chiamati a fare a Rosh haShanà: teshuvà. Ma come si fa teshuvà?
C’è un midrash che dice che il mondo è stato creato con la lettera “he” che è una specie di cornice con due aperture. Secondo i Maestri il mondo viene creato con questa lettera perché dalla cornice che Dio ha stabilito si può uscire (c’è libertà di scelta) ma c’è una seconda apertura perché si può ritornare e fare teshuvà. Il Talmùd si chiede perché due aperture. Dopotutto si può entrare e uscire dallo stesso punto. Un Maestro contemporaneo, Rabbi Chaim Shmuelevitz dice che non è così: per poter rientrare, per poter fare teshuvà bisogna fare un’altra strada, è necessario mettere in discussione le proprie idee e i propri atteggiamenti. Credo che sia quello che dobbiamo fare tutti, lo dico innanzitutto a me stesso come singola persona e come rabbino della comunità ma lo dico anche a tutte le componenti comunitarie, ai dirigenti comunitari e a ogni singolo membro di questa comunità.
Dobbiamo fare uno sforzo per mettere in discussione le nostre idee e i nostri atteggiamenti partendo però dalla visione positiva di cui ho parlato all’inizio, partendo dalla convinzione che questa comunità ha una grande forza e questa forza può aiutarci a risolvere i problemi.
Rabbi Menachem Mendel di Kozsk dice che la vera colpa non è commettere trasgressioni (tutti noi le commettiamo) ma non essere capaci di fare teshuvà. Rosh Hashanà è Yom Hadìn, giorno del giudizio, ma è contemporaneamente giorno di festa perché siamo convinti di essere in grado di superare il giudizio grazie alla nostra capacità di fare teshuvà e alla misericordia divina.
Tachèl shanà uvirkhotèha – Cominci l’anno con le sue benedizioni.
Rabbino Capo di Milano
http://www.mosaico-cem.it/articoli/primopiano/la-strada-per-la-teshuva