Rav Giuseppe Momigliano
Al mio Maestro Morì weRibbi S. Yosef Sierra con gratitudine e affetto
BENÈ YISRAEL – I FIGLI D’ISRAELE
La suddivisione del popolo d’Israele in dodici tribù è un tema ricorrente e caratterizzante sia nelle parti narrative che in quelle legislative della Torà.
Le tribù hanno origine dai figli di Ya’aqov – Yisrael, la loro nascita è raccontata nel libro della Genesi cap. 29,31 – 30,21; 35,16 – 18. Da questi passi apprendiamo l’ordine di nascita dei figli che Ya’aqov ebbe dalle due mogli — Leà e Rachel — e delle rispettive ancelle Bilhà e Zilpà:
| Reuven | nati da Leà |
| Shim’on | |
| Levi | |
| Yehudà | |
| Dan | nati da Bilhà ancella di Rachel |
| Naftali | |
| Gad | nati da Zilpà ancella di Leà |
| Asher | |
| Yissakhar | nati da Leà |
| Zevulun | |
| Yosef | nati da Rachel |
| Binyamin |
Poco prima di morire Ya’aqov attribuì al prediletto Yosef un particolare privilegio assegnando ai suoi due figli — Efrayim e Menashè — dignità pari a quella dei suoi stessi figli e riconoscendo di fatto a Yosef il diritto di dar vita a due tribù.
Il numero di queste rimarrà tuttavia invariato a dodici; si deve infatti tener conto del fatto che alla tribù di Levi, da cui hanno origine le famiglie dei Sacerdoti e dei Leviti, viene in seguito assegnato il servizio sacro relativo alla presentazione dei sacrifici e alla cura del Tabernacolo e dei suoi arredi; questa tribù non partecipa quindi alla spartizione della Terra d’Israele e viene censita separatamente.
La Torà e gli altri libri della Bibbia mettono in luce il carattere di alcuni dei figli di Ya’aqov — prima — e delle rispettive tribù — in seguito, inoltre inquadrano e ci fanno comprendere i rapporti che via via si sviluppano tra loro. Così, ad esempio, la gelosia manifestatasi tra Yosef e i fratelli sembra anticipare le rivalità tra le diverse tribù che sfociarono nella suddivisione dell’antico stato ebraico nei regni di Giuda e Israele. La scarsa autorevolezza di Reuven, contrapposta all’ascendente esercitato da Yehudà nelle vicende di Yosef e di Binyamin, trova precisi riscontri nei diversi ruoli esercitati dalle due tribù.
L’attribuzione alla tribù di Levi del servizio sacro ha origine dalla particolare fedeltà a D-o dimostrata dai suoi membri in occasione dell’episodio del «vitello d’oro». Viene così ribaltato il giudizio severo che il loro avo, Levi si era meritato insieme a Shim’on a causa della violenza commessa per vendicare l’onore della sorella Dinà. La tribù di Shim’on d’altra parte, invece di riparare a questa pesante eredità, offusca ulteriormente la propria immagine macchiandosi di una grave colpa di idolatria e impudicizia. Di altre tribù abbiamo modo di conoscere soprattutto nei libri dei Profeti Anteriori i rapporti di solidarietà o di contrapposizione, la maggiore o minore fedeltà all’insegnamento della Torà ed in particolare alla purezza del monoteismo.
Queste vicende conoscono una brusca e drammatica svolta con la disfatta del Regno d’Israele che di fatto pone fine alla storia delle dieci tribù che lo avevano composto, rimane spazio solo alla mitica attesa del loro ritorno, legata alla speranza messianica.
Il Midrash e diversi commentatori della Torà hanno tuttavia continuato a considerare le vicende di tutte le dodici tribù come emblematiche di valori che trascendono la dimensione storica dell’epoca biblica e conservano quindi la continuità e l’unità simbolica attraverso tutta la storia ebraica. In quest’ottica possiamo cercare di cogliere e spiegare, con l’ausilio di commenti tradizionali, un aspetto particolare che si riscontra nella presentazione dei figli di Ya’aqov e delle rispettive tribù in diversi punti della Torà.
Scorrendo le pagine del Pentateuco troviamo quattordici passi in cui i nomi dei figli del patriarca Ya’aqov o delle tribù sono esplicitamente indicati e altri in cui lo sono in forma implicita; nella maggior parte di questi casi è possibile rilevare lievi e talvolta sostanziali differenze nell’ordine di presentazione.
In Genesi 35,23 – 26 l’ordine è il seguente:
| figli di Leà |
| figli di Rachel |
| figli di Bilhà |
| figli di Zilpà |
Ordine analogo si trova in Esodo 1,2 – 4, nel passo in cui sono ricordati i figli d’Israele scesi in Egitto; ovviamente Yosef è ricordato separatamente in quanto già si trovava nel paese del Faraone.
Un criterio simile si riscontra anche in Numeri 1,5 – 14, a proposito dei capitribù che avrebbero dovuto collaborare con Mosè e Aron nel censimento del popolo; in quel caso tuttavia l’ordine delle tribù discese dai figli delle ancelle appare diverso: Dan, Asher, Gad e Naftali.
Un differente ordine si trova invece in Genesi 46,8 – 27 in cui sono così elencati i figli di Ya’aqov che scendevano in Egitto:
| figli di Leà |
| figli di Zilpà |
| figli di Rachel |
| figli di Bilhà |
In Genesi 51,3 – 27, in occasione delle benedizioni che Ya’aqov impartisce ai figli prima di morire, la successione è la seguente:
| figli di Leà, fra questi tuttavia Zevulun anticipa Yissakhar |
| figli delle ancelle, nell’ordine: Dan, Gad, Asher e Naftali |
| figli di Rachel |
Le parole di commiato del patriarca contengono numerosi presagi relativi a quanto in seguito acquisito dalle diverse tribù; in particolare ne vengono attribuiti a Yehudà autorità e privilegio sugli altri fratelli. Il Midrash si sarebbe poi concretizzato nel ruolo guida assunto da questa tribù e nell’aver dato ad Israele la stirpe di David.
Di contrapposizione viene ridimensionato il ruolo di Reuven che, per le sue colpe, viene a perdere parte dei diritti che gli sarebbero spettati in quanto primogenito.
In Numeri 2,3 – 43, nel resoconto del primo censimento, troviamo questa disposizione:
| figli di Leà. Notiamo che Gad è inserito in questo gruppo forse per analogia con la disposizione successivamente indicata per le diverse schiere d’Israele |
| figli di Rachel |
| figli delle ancelle, Asher precede Naftali |
Lo stesso ordine è seguito nel censimento riportato in Numeri 26,5 – 51.
Nella suddivisione delle schiere d’Israele disposte in quattro accampamenti, l’ordine è il seguente:
| Yehudà | Yissakhar | Zevulun |
| Reuven | Shim’on | Gad |
| Efrayim | Menashe | Binyamin |
| Dan | Asher | Naftali |
Abbiamo quindi due accampamenti con le tribù di Leà; il primo è guidato da Yehudà che viene ad assumere il ruolo di leader preconizzato da Ya’aqov, nel secondo si affiancano le tribù degli altri figli di Leà minori di Yehudà.
Il secondo è inserito Gad, primogenito delle ancelle, in luogo di Levi proposto al servizio sacro. Il terzo accampamento corrisponde ai figli di Rachel e il quarto per le restanti tribù discendenti dai figli di Bilhà e Zilpà.
Eguale procedura è seguita per gli spostamenti degli accampamenti, in Numeri 10,14 – 29 e nelle cerimonie per l’inaugurazione dell’altare, in Numeri 7,12 – 83.
R. Moshè ben Nachman (Ramban), nel commento a Genesi 46,15, ravvisa alcuni criteri formali nell’ordine di presentazione dei figli d’Israele o delle tribù; generalmente viene data precedenza ai figli delle mogli del patriarca rispetto a quelli delle ancelle, in alternativa può essere seguito l’ordine di nascita o ancora quello della consistenza numerica della famiglia o della tribù.
In alcuni casi i figli sono ricordati in ordine alterno, come nell’elenco degli esploratori inviati a perlustrare la Terra d’Israele — Numeri 13,14 – 16 — in cui si registra questa successione: Reuven, Shim’on, Yehudà, Yissakhar, Efrayim, Binyamin, Zevulun, Menashè, Dan, Asher e Naftali. In questo caso, secondo Ramban, l’ordine di successione può essere stato determinato non dal ruolo delle tribù ma dall’importanza dei loro capi oppure, come sostiene Ovadyah Sforno, dall’anzianità degli stessi ultimi. Considerazioni analoghe sono proposte da Ramban anche per un altro passo, Numeri 34,17 – 28, nelle disposizioni in cui vengono designati i proposti incaricati di rappresentare ciascuna tribù nell’assegnazione dei rispettivi territori in Terra d’Israele. In tale elenco si riscontra quest’ordine: Yehudà, Shim’on, Binyamin, Dan, Menashè, Efrayim, Zevulun, Yissakhar, Asher e Naftali. Reuven e Gad non compaiono in questa lista in quanto avevano scelto di insediarsi nei territori al di là del Giordano.
Più difficile ancora individuare il criterio orientativo con il quale, in Deuteronomio 27,12 – 13, sono distinti i due gruppi di tribù destinati — l’uno a disporsi sul monte Gherizim e l’altro sul monte ‘Eval — per sancire rispettivamente le benedizioni e le maledizioni previste per l’osservanza e la trasgressione dei precetti. I due gruppi erano così stabiliti:
Sul monte Gherizim: Shim’on, Levi, Yehudà, Yissakhar, Yosef e Binyamin.
Sul monte ‘Eval: Reuven, Gad, Asher, Zevulun, Dan e Naftali.
Da tutte le benedizioni che Moshè impartisce alle tribù prima della sua morte l’ordine è il seguente:
Reuven, Yehudà, Levi, Binyamin, Efrayim, Menashè, Zevulun, Yissakhar, Gad, Dan, Naftali e Asher.
In questo caso il criterio seguito, secondo le interpretazioni di Ramban e Itzchaq Abrabanel, è quello di considerare l’importanza delle tribù e l’ordine di insediamento in Terra d’Israele.
LE SCHIERE D’ISRAELE – DEGALIM
A prescindere da questi criteri più formali la diversa disposizione delle tribù nell’ordine del testo ha dato luogo a molteplici commenti di carattere simbolico o allegorico; questo tipo di esegetica si è sviluppato in maniera particolarmente rigogliosa e ricca di poesia nell’interpretazione del passo del Ya’aqov viene stabilita la disposizione degli accampamenti d’Israele. Il popolo è diviso in quattro schiere — Degalim — composte di tre tribù ciascuna, disposte a quadrilatero; al centro di questo collocato il Tabernacolo — Mishkan — a sua volta contornato dai quattro lati dai sacerdoti e dai leviti.
Il Midrash racconta che ogni tribù aveva un vessillo, contraddistinto da colori corrispondenti alla tinta della pietra incastonata a suo nome nel pettorale del Sommo Sacerdote e da simboli afferenti alla sua storia o al ruolo ad essa assegnato nella rispettiva benedizione. Il vessillo di Reuven aveva come emblema le mandragole, quello di Shim’on la città di Shekhem, quello di Levi raffigurava gli Urim e Tummim, quello di Yehudà aveva come simbolo un leone, quello di Yissakhar portava raffigurato il sole e la luna. La tribù di Zevulun recava nel proprio vessillo la figura di una nave, quella di Dan un serpente, quella di Gad un accampamento, quella di Naftali una cerva, quella di Asher un albero di olivo, il vessillo di Yosef portava la figura di un toro, quelli di Efrayim e di un bufalo per Menashè. Infine Binyamin aveva nel proprio vessillo l’immagine di un lupo.
Secondo il Midrash la disposizione del popolo nei diversi schieramenti, ciascuno con il proprio vessillo, è il segno dell’amore e della fedeltà del Signore per Israele che in tal modo ha reso il Suo popolo simile alle schiere degli angeli celesti.
La simbologia delle tribù d’Israele viene quindi sviluppata dal Midrash su diversi piani.
La suddivisione degli accampamenti d’Israele riflette l’ordine disposto da D-o nella creazione del cielo, della terra e delle schiere angeliche all’inizio Benedetto Egli ha creato quattro estremità nel mondo, oriente occidente nord e sud… così ha disposto quattro esseri angelici attorno al trono della Gloria e in modo corrispondente ha collocato le quattro schiere d’Israele. Il Midrash procede quindi illustrando l’analogia e la connessione tra i quattro accampamenti ed i rispettivi punti cardinali a cui sono assegnati. L’oriente, da cui proviene la luce (il sorgere del sole), si addice all’accampamento di Yehudà che rappresenta l’autorità regale, affiancato da Yissakhar, tribù particolarmente dedita allo studio della Torà e da Zevulun, benedetta da prosperosa ricchezza.
Questo accampamento muove per primo, poiché rappresenta l’autorità del regno benedetto dal Signore e la forza della Torà che ha la priorità su ogni altro valore.
A sud, «da cui provengono piogge e rugiada di benedizione e stanziano l’accampamento di Reuven; questo procede in seconda posizione poiché rappresenta la forza del pentimento — Teshuvah — che viene, come importanza, subito dopo la Torà, inoltre la pioggia viene concessa da D-o alla terra in virtù del pentimento degli uomini (Bemidbar Rabbà 3,12).
A Reuven si affianca Gad che è espressione di forza (Gen. 49,14). Entrambi proteggono Shim’on, tribù debole sia perché priva di territorio sia per le gravi colpe di cui si era macchiata. Ad occidente, da cui provengono le manifestazioni più impetuose della natura, «neve e grandine freddo e arsura», è disposto l’accampamento di Efrayim che, insieme a Menashè e Binyamin, guida le tribù più forti, capaci di affrontare i rischi delle intemperie.
Nel midrash la forza occupa quindi la terza posizione dopo Torà e Teshuvà; non si tratta tuttavia della forza in senso materiale, quanto piuttosto di un vigore spirituale che l’ebreo esprime attraverso la Torà stessa e soprattutto dimostra nella capacità di dominare i propri istinti. Per ultimo l’accampamento di Dan a settentrione rappresenta l’oscurità. Il midrash interpreta la posizione di retroguardia di questa tribù come effetto e manifestazione delle gravi colpe di cui essa si sarebbe resa responsabile accettando di ospitare i culti idolatri introdotti dal re Yarov’am. Secondo il midrash l’oscurità dell’idolatria di Dan poteva essere rischiarata dalle buone opere di Asher, simboleggiata dall’olio puro, prodotto delle piantagioni di ulivi di cui è ricco il territorio di questa tribù, le perdite recate dalle colpe di Dan potevano inoltre essere compensate dalle abbondanti benedizioni di cui è colma la tribù di Naftali. Per questo motivo lo stato retrogrado di quelle tribù.
Lo stesso ruolo di retroguardia che suscita questo giudizio severo del Midrash è invece colto da altri commenti in maniera più favorevole alla tribù di Dan. Rashi ricorda che Dan procedeva come ultimo accampamento perché era la tribù più numerosa, inoltre si preoccupava di raccogliere e restituire gli oggetti smarriti dalle tribù che la precedevano.
Da’at Zeqenim (Tosafot) aggiunge che Dan aveva anzi di sé il compito di riprendere tutti coloro che, per qualsiasi motivo, si fossero attardati nel percorso.
Oznaim la-Torà pone in relazione l’interpretazione del Midrash Rabbà con quella di Rashi e Tosafot: il Signore, prevedendo che questa tribù si sarebbe macchiata di gravi colpe di ordine religioso (ben adam la-Maqom) le diede opportunità di procurarsi dei meriti almeno sul piano morale (ben adam la-chavero), per questo le attribuì una posizione nella quale poteva essere di aiuto alle altre tribù negli spostamenti nel deserto.
Un altro midrash ci insegna come la diversa collocazione delle schiere d’Israele non costituisse una novità per il popolo che vivesse un ordinamento e un accordo stabilito dai tempi più antichi, fin da quando Mosè aveva disposto ai figli per il trasporto del sacro avevano trovato sepolcro in terra di Kena’an. Il midrash racconta che Moshè aveva espresso al Signore il timore che le prescrizioni sullo schieramento degli accampamenti potessero suscitare nuove contestazioni fra i figli dei tribù.
Il Signore rassicurò allora Moshè dicendogli «non te preoccupare, essi conoscono già il posto, hanno conservato il testamento del patriarca Ya’aqov, nella stessa disposizione assunta a suo tempo per trasportare le sue spoglie e l’accompagno ora attorno al Tabernacolo».
Il midrash ricorda quindi che Ya’aqov aveva così prescritto: «Yehudà, Yissakhar e Zevulun sosterranno la mia bara da oriente, Reuven, Shim’on e Gad da meridione. Efrayim, Menashè e Binyamin da occidente. Dan, Asher e Naftali da settentrione».
Altri commenti si soffermano invece su aspetti più concreti e contingenti di questa disposizione delle schiere, in particolare Avraham Ibn ‘Ezra e Itzhaq Abrabanel vi riscontrano una struttura di carattere tattico-militare, si trattava di collocare le tribù più forti e numerose ai lati dell’accampamento esponendole direttamente esposti all’attacco dei nemici, per questo Yehudà avanzava in prima posizione e Dan alla retroguardia. Avrahanel rileva inoltre che la combinazione delle schiere prevedeva l’associazione delle tribù fra cui regnavano più forti sentimenti di intesa ed amicizia, in questo modo si ponevano le premesse di rapporti di buon vicinato durante le soste e si rafforzavano le capacità militari in caso di combattimento.
L’EFOD
Abbiamo visto precedentemente accennata dal Midrash la relazione tra le Dodici Tribù e i paramenti del Sommo Sacerdote (Kohen Gadol); questa relazione è stabilita nella Torà per l’Efod — dorsale o per il Choshen — il pettorale.
A proposito dell’Efod leggiamo in Esodo 28,10 «Prenderai due pietre d’onice — Shoam — e inciderai in esse i nomi dei figli d’Israele. Sei dei loro nomi su una pietra e i nomi dei sei rimanenti sulla seconda pietra secondo l’ordine della loro nascita — «ketoledotam».
Le due pietre dovevano essere applicate alle spalline dell’Efod cosicché i nomi delle tribù d’Israele venivano portati dal Sacerdote sulle proprie spalle quando si presentava nel Tabernacolo al cospetto del Signore. Attraverso queste pietre preziose recanti incisi i nomi dei figli d’Israele, il Sacerdote poteva rappresentare tutto il popolo nel servizio sacro.
I Maestri sono discordi nell’indicare l’ordine nel quale i nomi delle tribù erano incisi sulle due pietre; la controversia ha origine dalla diversa interpretazione della parola «ketoledotam» che viene discussa nella Ghemarà, Talmud Bavli, Sotah, 36.
Secondo un’opinione (Tannà Qammà) i nomi erano incisi in ordine di nascita, i primi sei su una pietra, i rimanenti sulla seconda, unica eccezione a questo ordine era costituita dal nome di Yehudà che era posto in cima alla prima pietra. Rabbi Chaninà ben Gamliel ritiene invece che la disposizione dei nomi fosse diversa e corrispondesse a quella seguita all’inizio del libro dell’Esodo, cioè:
| figli di Leà |
| Binyamin |
| figli delle ancelle |
| Yosef |
L’ordine che Maimonide stabilisce in proposito nel Mishneh Torà, Hilkhot Kelè ha-Miqdash, 9,9 sembra diverso dall’una e dall’altra opinione della Ghemarà; secondo Maimonide i nomi erano così disposti:
| Shim’on | Reuven |
| Yehudà | Levi |
| Zevulun | Yissakhar |
| Dan | Naftali |
| Asher | Gad |
| Binyamin | Yosef |
R. Yosef Qaro, nel commento «Kesef Mishneh» sul Mishneh Torà di Maimonide, spiega che il Maestro segue l’opinione di R. Chaninà ben Gamliel ricordando però i nomi in ordine bustrofedico sulle due pietre. Rashi, nel commento a Esodo 28,10, sostiene invece che i nomi erano così per ordine di nascita:
| Reuven, Shim’on, Levi, Yehudà, Dan e Naftali |
| Gad, Asher, Yissakhar, Zevulun, Yosef e Binyamin |
Rashi segue sostanzialmente il giudizio del Tannà Qamma della Ghemarà, però non colloca Yehudà in posizione prioritaria. È commentato da R. Yehudà ben Betzalel Liwa — «Maharal» — nel Gur Aryeh cerca di appianare la difficoltà sostenendo che le parole di Rashi includono e rispecchiano in forma implicita l’opinione del Tannà Qammà e che di fatto Rashi concordava nell’assegnare a Yehudà la collocazione prioritaria.
Anche per l’Efod dopo aver ricordato gli aspetti più strutturali, relativi alla disposizione dei nomi delle tribù sulle due pietre preziose, cerchiamo di cogliere alcuni significati simbolici, sviluppati dal Midrash e dai commentatori.
La Ghemarà, in Talmud Bavli Zevachim 88b, riporta un Midrash secondo il quale ciascuno dei paramenti sacerdotali recava espiazione per diversi peccati, in particolare l’Efod espiava la colpa di idolatria. Il commento Kelì Yaqar trae spunto da questo midrash spiegando che le pietre dell’Efod portavano espiazione per la rottura delle Tavole di Pietra dei Dieci Comandamenti, infrante da Moshè per la colpa di idolatria commessa dal popolo.
Lo stesso Kelì Yaqar ricorda anche un commento omiletico che coglie il valore intrinseco delle lettere costituenti la parola «shoam» – onice. Queste lettere, anagrammate, sono le medesime di Hashem — il Signore — e di Moshè. Con l’incisione dei nomi delle tribù si ricompone quindi nell’Efod l’unità di D-o, Israele e Moshè che il peccato del «vitello d’oro» aveva infranto.
Abrabanel evidenzia in particolare la collocazione delle due pietre «sulle spalle» di tal modo esse si trovano all’altezza delle braccia quando il Kohen levava le palme delle mani per impartire la benedizione. Abrabanel vede quindi nelle pietre dell’Efod un’allusione alla Berakhà che il sacerdote rivolgeva a tutto il popolo d’Israele.
La stessa caratteristica collocazione delle due pietre viene interpretata da Beer Mayim Chayim come simbolo della grande responsabilità del sacerdote, questi con la sua guida spirituale doveva essere per il popolo come un padre che porta il figlio sulle spalle: per preservarlo da ogni pericolo.
Il Ketav Sofer, sempre in chiave simbolica, vede invece nei nomi incisi sulle pietre un monito destinato ai figli d’Israele affinché traggano esempio dalle opere dei Padri. Se questo avverte allora il sacerdote potrà «levare in alto i loro nomi» ossia invocare l’Eterno perché i meriti dei padri vengano ricordati a favore dei figli.
Dalle diverse interpretazioni emerge il valore unificante di tutto il popolo d’Israele raccolto nelle pietre dell’Efod, con una simbologia che sottolinea maggiormente l’uguaglianza delle tribù piuttosto che il ruolo e le qualità di ciascuna componente.
IL CHOSHEN MISHPAT
Il Choshen Mishpat — Pettorale del Giudizio — era l’altro paramento sacerdotale recante i nomi dei figli di Ya’aqov; in esso erano incastonate dodici pietre preziose disposte in quattro ordini orizzontali di tre pietre ciascuno delle quali portava inciso uno dei dodici nomi.
A differenza dell’Efod la Torà non indica per il Choshen l’ordine di corrispondenza tra ciascuna pietra e la rispettiva tribù.
Maimonide, in Hilkhot Kelè ha-Miqdash 9,6, afferma che i nomi erano messi sulle pietre «ketoledotam» senza tuttavia specificare se si trattasse dell’ordine di nascita di ciascuno dei figli di Ya’aqov o di altro criterio.
Il Midrash in Shemot Rabbà 38,5 riporta quest’ordine:
| 1° fila | Reuven | Shim’on | Levi |
| 2° fila | Yehudà | Yissakhar | Zevulun |
| 3° fila | Dan | Naftali | Gad |
| 4° fila | Asher | Yosef | Binyamin |
Il criterio adottato, secondo i commenti al Midrash in loco, è quello di seguire l’ordine di nascita «ketoledotam», riunendo però i figli di Leà in modo da comporre una continuità immediata tra le quattro madri.
Questo sembra essere anche l’opinione di Rashi che ripropone la definizione «ketoledotam», interpretata dal super commento «Siftè Chakhamim» nel senso qui esposto.
L’ordine riportato dal midrash consente inoltre di attribuire a tribù di Dan la pietra denominata «leshem» – opale (?); in questo modo si avrebbe la corrispondenza con l’omonima località di cui si parla nel libro dei Giudici 19,29 che venne conquistata dalla tribù di Dan. Nel passo del libro dei Giudici, Rashi spiega che la città era stata così denominata in quanto vi era stata ritrovata una pietra Leshem, come quella che si trova nel Pettorale del Giudizio a nome della tribù di Dan.
Il Midrash interpreta anche il nome della pietra assegnata alla tribù di Binyamin «yashfeh» (diaspro?) come anagramma delle parole «yesh peh» che significano «c’è bocca». Secondo il midrash questo nome allude al comportamento di Binyamin che, pur sapendo della vendita di Yosef, non l’aveva rivelato al padre poiché aveva intuito che questa era la volontà di Dio. Un altro Midrash, citato da Rashi nel commento a Esodo 28,15, afferma che il Choshen arrecava espiazione per le colpe commesse nell’amministrazione della giustizia.
Kelì Yaqar sviluppa questo tipo di simbologia proposta dal midrash, paragonando le tre pietre di ogni fila del Choshen al tribunale — Bet Din — che è composto da un minimo tre giudici; il diverso valore delle pietre, così disposte in ordine vario, simboleggia il dovere dei giudici di seguire con eguale impegno e serietà tanto le cause più rilevanti quanto quelle di entità più modesta. La disposizione delle tribù in ordine di nascita e non di importanza significa che il giudice non deve avere alcun riguardo per il censo o il ruolo delle parti in causa e deve operare con assoluta imparzialità.
Un’interpretazione simbolica assolutamente diversa è invece sostenuta da Abrabanel, secondo il quale le dodici pietre del Choshen sono paragonabili alle fondamenta di un edificio, rappresentano quindi la base e l’elemento portante del popolo — «yesodot ha-ummà uvinyamah» — destinato ad edificare la Casa del Signore. Abrabanel ricorda che un’analoga simbologia è espressa dalle dodici pietre corrispondenti alle tribù d’Israele disposte da Yehoshua’ sulle rive del Giordano quando il popolo oltrepassa il fiume per entrare in terra d’Israele, significato simile ha anche la disposizione delle dodici pietre del Profeta Elia per edificare l’altare dove consacrare il Nome di D-o. Sulla base di questa interpretazione Abrabanel ritiene che le tribù del Choshen fossero in alcun modo corrispondente all’ordine di nascita, dal momento che non viene esplicitamente indicato nel testo sacro il termine «ketoledotam», l’ordine sarebbe stato invece analogo a quello delle schiere, quindi senza la tribù di Levi e con i nomi di Efrayim e Menashè per la discendenza di Yosef.
I FIGLI D’ISRAELE E LA GHEULÀ
Nel solco di queste diverse suggestioni che emergono dalla presentazione delle dodici tribù d’Israele, è possibile scoprire questi fili invisibili e tuttavia poderosi che tutte quante le uniscono in un unico intreccio.
Ancora una volta è il Midrash, in Shemot Rabbà 2,5 – 6, che ci indica il percorso scoprendo nei nomi di ciascuno dei dodici figli del patriarca gli echi delle allusioni alle diverse tappe e ai diversi eventi della redenzione d’Israele; da Reuven, che nella radice «raò» — vedere — reca implicito l’annuncio che il Signore ha visto e ha tenuto in considerazione l’afflizione del Suo popolo (Esodo 3,7) fino a Yosef, che nell’etimologia di «hosìf» — aggiungere — porta in sé la promessa di una nuova redenzione con la quale il Signore libererà definitivamente Israele da ogni giogo (Isaia 11,11).
Tutti quanti i dodici figli e le loro tribù sono necessari affinché si compia l’intero corso della storia che dovrà condurre alla piena libertà materiale e spirituale d’Israele.
Il percorso si può concludere quindi con le parole di R. Yehoshua’ di Sakhnin a nome di R. Levi che si chiede proprio nello stesso passo midrashico «perché i nomi delle tribù sono ricordati ogni volta con ordine diversi»? Per insegnarci che non v’è sostanziale differenza d’importanza tra le une e le altre, non si tiene conto di chi discenda da Rachel e Leà e chi da Bilhà e Zilpà, tutti quanti indistintamente sono essenziali per raggiungere la Gheulà.
Istituto Di Studi Ebraici Scuola Rabbinica «S.H. Margulies – D. Disegni»
Hebraica – Miscellanea di studi in onore di Sergio J. Sierra per il suo 75° compleanno
A cura di F. Israel – A.M. Rabello – A.M. Somekh – Torino 5759-1998
