Shuki Friedman – Israel Hayom
Uno straniero che tendesse l’orecchio ai media israeliani nelle settimane scorse, riconoscerebbe immediatamente il nemico di turno: l’ebraismo, i religiosi e il più terribile di tutti: il genio della lampada della haddatà (religionizzazione). Questo genio della lampada viene evocato regolarmente da alcuni laici professionisti, che hanno fatto della trasformazione del grido di “al lupo, al lupo” in “haddatà, haddatà” una carriera professionale, e si è gonfiato in dimensioni mostruose durante la campagna elettorale.
L’ultima sconvolgente manifestazione di questa falsa isteria è l’atmosfera di delazione evocata del partito “Campo Democratico”, che chiama i cittadini a uscire e a investigare ogni espressione di ebraismo nella società israelianà, Dio non voglia, perché venga denunciata al commando laico del Campo Democratico. La questione ebraica e il suo ruolo in Israele e nello spazio pubblico è sicuramente rilevante. È certo necessario parlarne in campagna elettorale. Ma la campagna di intimidazione e di odio strumentale non fa che generare odio verso l’ebraismo e verso gli ebrei (religiosi).
Haddatà è una parola relativamente nuova. È stata introdotta solo nel 2006 nel vocabolario ebraico da parte dell’Accademia per la Lingua ebraica, ma sembra che sia stata ben assorbita nel linguaggio corrente. Questo principalmente grazie a alcuni laici professionisti secondo i quali ogni segno di ebraismo nello spazio pubblico è un’ulteriore espressione di un processo di haddatà, che ha come scopo – così minacciano – il ritorno completo (all’ebraismo) dello Stato e delle sue istituzioni. E così, negli ultimi anni, veniamo a scoprire la haddatà sotto ogni albero. Nell’esercito troviamo la haddatà; nel sistema educativo troviamo la haddatà; nel mondo accademico troviamo la haddatà; nei quartieri laici e nelle piazze troviamo la haddatà, e in sintesi, dove mai non la troviamo? Diventa chiaro che la campagna di intimidazione del genio della lampada della haddatà da’ buoni frutti. Nella penultima rilevazione dell’indice di democrazia del Centro Israeliano per la Democrazia, il 79% dei laici ritiene che “i religiosi stiano occupando il Paese”, ed è quindi ragionevole pensare che da allora la situazione può solo che essere peggiorata.
La vera realtà israeliana però, cioè non quella descritta sulle colonne di alcuni giornalisti o negli articoli terrorizzanti sui principali canali radio-televisivi, è differente. Lo spazio pubblico israeliano non solo è molto laico, ma si è addirittura profondamente laicizzato negli ultimi anni. Lo statu quo riguardo stato e religione è morto da tempo. Le sentenze dei tribunali e la vita laica lo hanno eroso a piene mani da tempo: il commercio di shabbàt è florido e in alcune città funzionano i trasporti pubblici; il numero di chi si sposa con il rabbinato è in calo; nelle strade assistiamo ai gay pride; le coppie omosessuali hanno più diritti della maggioranza delle nazioni del mondo; il monopolio della kashrùt del rabbinato è stato spezzato e il mercato è in pratica aperto alla concorrenza e nell’esercito l’85% delle mansioni è aperto alle donne. Anche nel sistema educativo laico non sembra ci sia questa ondata travolgente di ritorno alla religione.
Lo spazio pubblico israeliano non solo è molto laico, ma si è addirittura profondamente laicizzato negli ultimi anni
I veri segni religiosi esistenti nello spazio pubblico e nelle cerimonie ufficiali così come i contenuti ebraici nel sistema educativo vengono accolti a braccia aperte dalla maggioranza degli israeliani. Israele oggi è più laica, ma laica-tradizionalista; dove l’ebraismo è fondamentale per la sua identità e la religione e le tradizioni ebraiche sono accettati e ricercati.
Dalla sua fondazione, esiste in Israele una lotta sulla natura ebraica dello Stato, e alla ricerca di un equilibrio tra le sue fondamenta ebraiche e quelle democratiche. Nessuno mette il dubbio l’importanza di questo dibattito, sia nella routine, sia in campagna elettorale. Anzi, queste domande debbono essere chiare di fronte agli elettori, e i politici hanno il dovere esplicitare le loro posizioni in merito, e certo non la Corte Suprema, come sta succedendo negli ultimi anni.
Ma l’attuale campagna anti-religiosa del “Campo Democratico” è lontana dal farlo. Invece di un dibattito puntuale su questi interrogativi, il partito sceglie un percorso di odio e di intimidazione. Gli argomenti chiave non riescono più a distinguere tra ebraismo, religione e religiosi. Dal loro punto di vista sono tutti da scartare, tutti pericolosi, tutti sospetti del peggiore dei crimini, la haddatà.
L’invito ridicolo alla delazione sulla haddatà è parte di una campagna pericolosa che, come nei regimi autoritari, tende a scatenare i cittadini uno contro l’altro, a distillare il disprezzo, il terrore e la paura per mezzo della diffamazione. Sarebbe meglio se gli artefici del panico della haddatà, assieme ai profeti di sventure, invece di odiare e di terrorizzare, si impegnassero in un dibattito puntuale che potrebbe forse raccogliere del consenso, ma senza suscitare paura e odio.
Il Dott. Shuki Friedman è Direttore del Centro Nazione, Religione e Stato dell’Istituto Israeliano per la Democrazia e docente di diritto nel Centro Accademico Peres.
Israel Hayom 1.9.2019 – Traduzione di David Piazza