La parashà di Balak e le altre fonti che parlano del mago – profeta Bil’am non danno un’immagine che giustificano l’affermazione dell’identità tra due personaggi che sembrano agli antipodi. E’ interessante quanto stabilisco i Maestri nel Talmud (Bavà Batrà 14b), “Moshè ha scritto il suo libro, la parashà di Bilam e il libro di Giobbe” (Sifrè ….) Il suo libro è evidentemente la Torà. Il libro di Giobbe ha alcune caratteristiche simili alla Genesi e questo giustifica l’affermazione dei Maestri, ma perché era necessario affermare che Moshè ha scritto anche la parashà di Bil’àm, che è già parte integrante della Torà? In effetti, Bil’am osservava dall’alto delle montagne tutto ciò che accadeva nell’accampamento di Israele, ma il popolo e Mosè non ne avevano la consapevolezza. Quindi dato che Moshè ha scritto la Torà, era comunque necessario sottolineare che aveva scritto anche la parashà di Bil’am (cioè Balak) in cui il suo nome non compare.
Il Midrash (Sifrè) afferma: Non sorse un profeta in Israele come Mosè: Come Mosè non sorse, ma tra i gentili sorse e chi fu – Bil’àm. I motivi di questa affermazione può essere stata la volontà di volere comunque dire che la profezia è stata un dono che è stato elargito anche ai non ebrei. Bil’am non ne ha fatto un grande uso, tuttavia il testo dice che era in grado di conoscere da’at ‘Elion, la conoscenza dell’eccelso, esattamente come Mosè.
Il Natziv Naftalì Zvì Yehuda Berlin (1817 – 1893), capo della “Madre delle Yeshivot, la Yeshiva di Volozhin, paragona Mosè e Bil’am a due uccelli: Mosè era come l’aquila e Bil’am come un pipistrello. L’aquila ama i raggi del sole, il giorno , mentre non ama la notte, al contrario del pipistrello. Quindi entrambi sanno quando sorge il Sole: l’aquila per tornare a volare, il pipistrello per rifugiarsi in luoghi bui. Di notte nei lomenti dell’oscurità, Mosè cercava di astenersi dal fare profezie che avrebbero potuto essere negative; mentre di giorno, quando era un momento di grazia, Mosè interveniva per portare benedizione nel Mondo. Bil’am, come il pipistrello, di giorno alla luce del sole non faceva nulla, aspettava la notte per profetizzare, perché era il momento il cui le sue profezie potevano avere una influenza negativa sull’uomo, su Israel in particolare.
Per cercare di dare una risposta al paragone che fanno i Maestri tra Mosè e Bil’àm, dobbiamo approfondire la relazione tra due passi compresi nelle parole che Bil’am, all’inizio contro la sua volontà, indirizza al popolo d’Israele nelle sue dichiarazioni – profezie:
1) En ‘am le-vadàd ishkòn uvagoìm lo itchashàv, Ecco un popolo che dimora isolato e non viene annoverato tra le genti” (Numeri 23, 9);
Questo testoha dato adito a molte interpretazioni: qual è il significato da dare alla prima parte del verso (Le-vadàd ishkòn) e alla seconda parte (uvagoìm lo itchashàv):
a) En ‘am le-vadàd ishkòn, Ecco un popolo che dimora LE – VADAD
Cosa significa BADAD?
Scrive Shalom Rosenberg che la parola ha assunto significati diversi nel corso del tempo:
· Salmi (4, 9) Beshalom Yachdav eshkeva veishan … le-vaddad la-betach tosìhiveni …..
In pace mi coricherò e dormirò … da solo in sicurezza mi farai stare..: BADAD può essere interpretata come sinonimo di BETACH, una radice che significa sicurezza.
· Geremia (49, 31) Yoshev la- betach … lo delatàim velo berìach lo, badad ishkònu. (Alzatevi, salite contro) una nazione tranquilla che abita fiduciosamente… . Non ha né porte né sbarre; abita in solitudine. Quindi chi sta in sicurezza non ha bisogno né di porte né di chiavistello, dimora BADAD”: la parola BADAD fa immaginare una situazione in cui non c’è assolutamente bisogno di mura di protezione, una situazione di isolamento in cui chi vive in mezzo agli altri popoli non dipende dalla benevolenza degli altri e non ha neanche la presunzione quasi nevrotica di pensare che gli ebrei devono essere “Luce per i gentili”.
· Micha (7, 14) Pascola il tuo popolo con la tua verga il gregge della tua eredità,, che dimora isolato (le-BADAD) in una foresta. Radak aggiunge nel suo commento: è bene che sia solo anche nella sua terra e non ci sia un altro popolo con lui.
In effetti questo verso si può interpretare sia in senso positivo che negativo: il popolo ebraico ha vissuto in solitudine, ma quale prezzo ha dovuto pagare per affermare la propria identità? Il Natziv scrive nel suo commento: “Ogni nazione e cultura quando i suoi membri vanno in esilio si assimilano con chi li ha deportati e conquistano così il loro amore e importanza ai loro occhi…. Non così il popolo d’Israel che non si è assimilato”. Queste parole del Natziv non hanno certamente lo scopo di giiust ificare gli antisemiti, ma possono essere interpretate nel senso che l’antisemitismo è in parte una reazione al rifiuto del popolo ebraico ad assimilarsi e la determinazione di volere mantenere la propria identità: le proposte dei gentili erano molto attraenti e convenienti, ma implicavano il tradimento e la rinuncia alla propria identità .
Nella Iggheret Teman Maimonide nell’11° secolo scrive parole molto critiche verso i Cristiani e i Mussulmani che, pur avendo ricevuto molto dall’Ebraismo, non solo non sono stati riconoscenti, ma quando i loro tentativi di allontanare dalla Torà gli ebrei fallirono, si sono “vendicati” con persecuzioni e eccidi.
2) Ma tòvu ohalèkha Yaakov, mishkenotèkha Israel, Quanto sono ben disposte le tue tende Giacobbe, le tue dimore Israele” (24, 5).
Quando Bilàm vide che l’Eterno era propenso a benedire Israele, non proseguì più, come ogni volta (precedente a fare) gli incantesimi, ma rivolse il proprio viso verso il deserto. Bil’am alzò i propri occhi e vide che Israele era accampato (suddiviso) secondo le proprie tribù e lo spirito del Signore fu su di lui. Egli pronunciò il suo oracolo e disse. …. Come sono ben disposte le tue tende o Giacobbe e le tue dimore Israele. (Numeri 24; 1-5).
Dopo i primi tentativi di maledire Israele, Bil’am si rende conto che il destino del popolo ebraico non può essere modificato agendo con incantesimi: esiste un progetto divino e il popolo d’Israele è destinato a svolgere una funzione che la magia non può modificare con stratagemmi di alcun genere. In questo passo, Bil’am cambia il proprio atteggiamento quando rivolge il proprio sguardo verso il deserto, un luogo che è legato alla nascita di Israele, un momento di nostalgia reciproca da parte di Israele e del Signore: “Ricordo il tuo andare dietro di me nel deserto in una terra non seminata” (Geremia 2, 2), “ha trovato grazia nel deserto il popolo scampato alla spada, di un amore eterno ti ho amato e pertanto ti ho attirato a me con affetto, ti edificherò nuovamente … tu pianterai nuovamente le vigne sulle alture della Samaria .::. ” (Geremia 31, 1-4); “Ecco io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore e darò a lei i suoi vigneti e d alla valle dell’esilio le concederò una possibilità di speranza come nei giorni della sua fanciullezza e come nel giorno in cui è salita dall’ Egitto …; (Oshea 2, 16 – 17)”
Troviamo qui un linguaggio che guarda con nostalgia al tempo in cui il popolo uscì dall’Egitto e si era appena formato e aveva avuto il primo incontro con Dio. La costituzione di una società “civilizzata” con istituzioni centralizzate, aveva finito per sostituire quella società che Bil’am vede dall’alto. Tutto il brano è una sequenza di fatti che valorizzano il periodo trascorso nel deserto: è necessario tornare a quel periodo per rigenerarsi. Rileggendo il brano non possiamo non capire che Bil’am sottolinea la divisione dell’accampamento in tribù (dove ognuno aveva una sua privacy), l’inutilità di incantesimi e stratagemmi per sedurre Israele, la visione del deserto e il risveglio nostalgico di ciò che ha rappresentato, l’improvvisa discesa dello spirito del Signore e infine la frase che ogni ebreo dice quando entra nel Beth hakeneset: Come sono ben disposte le tue tende o Giacobbe e le tue dimore Israele..
Cosa caratterizzano le tende (ohalim) e le dimore (mishkenot) che tanto effetto hanno su Bil’am e poi su noi: la tenda è una dimora in continuo movimento, è una casa, aperta ai cambiamenti; le dimore (mishkenot), a differenza dei santuari fissi fatti con pietre e calce, sono in continuo movimento. Ricordiamo che il Tempio nel deserto era il Mishkan fatto di pali i e tende e rappresentava l’esperienza del Sinai che continuava a camminare assieme a Israele nel deserto.
La situazione cambia continuamente e l’uomo deve essere attento e aperto alle novità, senza perdere la propria identità. Tutto questo ha visto Bil’am dall’alto della montagna, e mettendoci da una prospettiva diversa, anche noi dovremmo vedere i cambiamenti ed essere capaci di modificare i nostri comportamenti.
Per queste parole di lode per Israele, una meravigliosa nota chassidica sottolinea che la Torà ha destinato a Mosè, che amava il popolo, gli ammonimenti fatti al popolo d’Israele, mentre ha dedicato a Bil’am, profeta delle nazioni, che odiava il popolo ebraico, le parole di lode che si trovano nella parashà!
In sintesi quindi, il primo testo che parla dell’isolamento del popolo, è rivolto al rapporto e all’influenza del mondo esterno, al rapporto con gli altri popoli, e Bilàm comunica quello che sarebbe stato il destino del popolo ebraico nell’ambito dei popoli con cui Israele sarebbe entrato in contatto: un isolamento dovuto alla determinazione con cui gli ebrei hanno continuato a declinare la propria identità.
Il passo successivo spiega quelli che sono i requisiti che hanno permesso la “resilienza” ebraica” nel corso della storia, nonostante le molte persecuzioni cui furono sottoposti. Il popolo ebraico nelle sue varie diaspore ha dimostrato la capacità di fare fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.
Scialom Bahbout
Shalom Rosenberg (Buenos Aires 1935)
Lauree in Ingegneria civile, Matematica e diritto, (Israele). Pensiero e filosofia ebraica (Hebrew University). Docente di Filosofia alla Hebrew University dal 1979, Full professore dal 1992. Professore emerito dal 2004. Tra i suo insegnanti: Levinas, Shoshani, Elimelekh Urbach. Nominato Yakir di Yerushalim. Si occupa dei rapporti tra filosofia e pensiero ebraico. Pubblicato in diverse lingue: Spagnolo, Inglese, Tedesco, Giapponese.
Tra i suoi libri. Logica e Ontologia nella filosofia ebriaca del 14° sec, Il bene e il male nel pensiero ebraico 1985, Torà e sciensa 1988, Sulle tracce del Kuzari 1991, Lo bashamaim hi: torà orale, tradizione e rinnovameno 1997, Sulle tracce del tempo ebraico (la filosofia del calendario ebraico), 2013. Ha tenuto le rubriche di commento alla parashà su diversi giornali.
Sposato con Rina (psicologa clinica) con 7 figli. Vegetariano