Piccola ma significativa antologia dell’antisemitismo arabo
Carlo Panella
L’ebreo può uccidervi e prendere il vostro sangue per impastare il suo pane sionista. Questa realtà apre davanti a noi una pagina ancora più orribile del crimine in se stesso: le credenze religiose degli ebrei e le perversioni che contengono, che si impiantano su un odio cupo verso tutto il genere umano e tutte le religioni”. Sarebbe bene leggere queste frasi deliranti prima di ognuna delle commemorazioni pubbliche della Shoah. Perché non sono state scritte settant’anni fa, sono state scritte oggi. Non sono di Adolf Hitler né di un fanatico cattolico dell’Ottocento convinto dei riti di “sacrificio umano” degli ebrei. Sono le parole di un leader arabo di un paese cui la diplomazia di molti Stati, purtroppo anche quella italiana, riconosce un’evoluzione moderata. Sono frasi del libro “Il pane azzimo di Sion”, pubblicato nel 1983 da Mustafa Tlas che, dal 1972, è l’uomo forte del regime siriano, che da allora, ininterrottamente è ministro della Difesa baathista della Siria, che garantisce oggi al presidente Beshar al Assad la fedeltà al regime delle forze armate. Con orgoglio la stampa siriana ricorda sovente che questo libro è un best seller. Con altrettanto orgoglio più di un serial televisivo ha tratto ispirazione da queste pagine: in una fiction si vede un povero arabo legato come un salame su un tavolo da cucina, circondato da famiglie di ebrei dal naso adunco che stanno per ucciderlo con coltellacci per usare il suo sangue per riti immondi.
Si possono avere rapporti diplomatici normali con paesi che vivono di questa “cultura”? Si può convivere senza dir nulla, senza fare un gesto, un cenno di disapprovazione con un mondo islamico in cui le correnti negazioniste della Shoah si sposano con saggi storici sull’omicidio rituale da parte degli ebrei, in cui vanno in onda in continuazione, al posto di Beautiful, serial ispirati dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion? Questo è il tema oggi, 2005, in Europa, nel Mediterraneo, se si vuole parlare seriamente di Shoah.
Il giorno in cui le truppe alleate sono entrate ad Auschwitz in una parte non piccola del mondo musulmano è considerato una sciagura e non ci si vergogna a dirlo, a esprimere pubblicamente il dispiacere perché “il lavoro non è stato portato a termine”. In Europa si stenta a credere che questo sia possibile, che possa accadere a poche centinaia di chilometri da noi, ma così è. L’insulto di Auschwitz nei paesi islamici è prassi costante, continuativa, diffusa. Non è patrimonio di poche nicchie di negazionisti, ma di una larga parte della cultura di massa. Rivolgendosi a Hitler con un rimprovero per non aver “finito il lavoro”, l’editorialista Abdallah Mahamud scriveva in prima pagina del quotidiano ufficiale del regime egiziano Al Aharam il 29 aprile del 2002, a chiosa di un’analisi in cui spiegava che gli ebrei – non i sionisti, gli ebrei – sono “un modello di degrado e degenerazione: “Se solo tu l’avessi fatto, fratello… Il mondo potrebbe respirare in pace senza la loro malvagità e i loro peccati”. Il “fratello” cui si rivolge Abdallah Mahamud è naturalmente Hitler. E non è, purtroppo, un caso isolato: le speranze di pace in Palestina sono oggi affidate ad Abu Mazen, successore di Arafat ed è quasi un luogo comune, non da oggi, definirlo un pragmatico moderato. Probabilmente è così, e forse riuscirà sul serio a fare qualcosa sulla strada della pace. Resta il fatto che Abu Mazen è un negazionista, che ha conseguito a Mosca un dottorato nel 1982 con una tesi dal titolo inequivocabile: “L’altro volto: i legami segreti tra nazismo e sionismo”, oggi pubblicata dalle edizioni Ibn Rashid di Amman. Tesi che coincide perfettamente con quanto ha dichiarato il 24 aprile 2001 l’ayatollah Ali Khamenei, guida della Rivoluzione islamica iraniana, aprendo a Teheran la conferenza interparlamentare musulmana: “I sionisti e i nazisti avevano strette relazioni e sono state fornite cifre esagerate sull’Olocausto degli ebrei per attirare la simpatia dell’opinione pubblica, per preparare il terreno all’occupazione della Palestina e per giustificare i crimini dei sionisti”.
Il vero Olocausto in atto
Le tv egiziane trasmettono in continuazione talk show in cui “esperti” sostengono che la bomba all’hotel Hilton di Taba (16 israeliani straziati, più gli altri) l’hanno piazzata gli ebrei per ragioni di propaganda. Ora spiegano che “Auschwitz è una falsificazione, un’esagerazione per giustificare il vero olocausto in atto”, quello di cui sarebbero vittime i palestinesi.
Infiniti sono gli esempi di un antisemitismo feroce, radicale, intollerabile diffuso oggi nel mondo islamico, anche nel più distante dal teatro dello scontro israelo-palestinese, come la Malaysia, il cui leader Mohammad Mahatir, il 16 ottobre 2003 rispolverò la dottrina nazista del “complotto ebraico”, dicendo davanti a capi di Stato di tutto il mondo: “Anche se gli ebrei domineranno il mondo per procura non vinceranno contro l’islam”.
Oggi buona parte di quell’Europa che pure commemora contrita la Shoah fa finta di credere che tutte le classi dirigenti arabe, palestinesi in testa, siano state entusiaste di Hitler soltanto per problemi tattici. Fa finta di credere che tanto odio di oggi sia stato suscitato nei musulmani non da un radicato, millenario antisemitismo musulmano (come è) ma esclusivamente dalla “provocazione” della nascita dello Stato di Israele (che ovviamente un suo peso gioca).
Gli Stati Uniti, l’11 settembre 2001, hanno iniziato a capire che è vero il contrario.
Il Foglio – 27 gennaio 2005