Il rabbino Riccardo Di Segni: “Un progetto culturale grandioso reso possibile anche grazie all’intervento delle istituzioni dello Stato”. In libreria il primo volume
Elena Loewenthal
In ebraico si chiama Torah she beal peh, «Torah che sta sulla bocca». Ma la tradizione orale dei figli d’Israele è un immenso corpus scritto, redatto lungo una catena di secoli. Il suo cuore è il Talmud, parola ricavata da una radice che significa «imparare» e «insegnare»: «ho imparato molto dai miei maestri», dice un rabbino, ma ho imparato di più dai miei allievi».
Di Talmud ne esistono due, uno di Gerusalemme e uno di Babilonia, che è quello per antonomasia, arrivato intorno al V-VI secolo nella sua forma attuale: 5422 pagine fitte. Summa di fede scritta in due lingue, ebraico e aramaico, il Talmud contiene prima di tutto materiale legale, ma non è estraneo a nessun campo dell’antico sapere, dall’astronomia alla medicina. La sua forma è quella del verbale di discussione, di un «domanda e risposta» che parte dal versetto biblico e procede all’infinito. Testo aperto per eccellenza, il Talmud si legge con un metodo non dissimile da quello della pagina web con i suoi rimandi, cioè i link, in un continuo cammino di interpretazione.
Il progetto della prima traduzione in italiano del Talmud è siglato in un protocollo di intesa fra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Miur, Cnr e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane il 20 gennaio del 2011. Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità di Roma, medico e studioso, è il presidente del consiglio di Amministrazione nonché del comitato di coordinamento di questa opera davvero immensa.
Come è nato questo progetto, rav Di Segni?
«Quasi per caso. Mi sono detto: proviamo a proporre la traduzione del Talmud in italiano. Sotto sotto ero convinto che si trattasse di una missione impossibile. Ho avviato sondaggi informali, e mi sono reso conto che c’era un reale interesse da parte delle istituzioni dello stato. Questo sostegno è stato fondamentale. Così ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo messo su uno staff capace. Ora abbiamo una squadra di circa cinquanta studiosi fra traduttori esperti, traduttori in formazione, istruttori, redattori. E’ davvero una operazione enorme, ma anche innovativa. Abbiamo costruito un apparato di note e di schede illustrative fatto apposta per entrare in questo universo religioso, culturale, intellettuale».
Quale è stata la maggiore sfida traduttiva di un testo così antico, complesso?
«Malgrado la sua mole il Talmud è un testo terribilmente sintetico, ricco di termini tecnici, senza interpunzione. E’ tutto fatto di domande formulate in modo lapidario e di risposte altrettanto brevi: ogni frase va sciolta. Quasi una stenografia. Abbiamo fornito una traduzione parola per parola con una serie di inserimenti in neretto che danno corpo alla prosa. La traduzione è insomma una continua parafrasi, un commento al testo originario. Queste sono le difficoltà intrinseche del Talmud. Che si riflettono anche nella lingua di destinazione, ovviamente. Abbiamo anche dovuto “reinventare” l’italiano. Come ad esempio nell’espressione “uscire d’obbligo”, che ricorre frequentemente nel Talmud e che così abbiamo lasciato perché il suo senso è chiaro. Ma è una sorta di neologismo fraseologico, a ben guardare. E poi c’è naturalmente un ricco apparato di commento, approfondimenti, spiegazioni».
Questa traduzione del Talmud si avvale non soltanto della competenza di un folto gruppo di esperti – quasi un’evocazione di quei Settanta Saggi confinati ciascuno in un’isoletta diversa del delta del Nilo e impegnati alla traduzione in greco della Torah…
E’ anche il frutto di una tecnologia al servizio di un mestiere molto antico, non è vero?
«Il finanziamento pubblico stanziato per quest’opera ha implicato il coinvolgimento di grandi strutture di ricerca, prime fra tutte il Cnr e l’Istituto di linguistica. Così è stato elaborato un software apposito. In parole povere, il traduttore non usa Word ma un sistema centralizzato che sulla base dei dati ricevuti suggerisce la traduzione, la resa in italiano di espressioni, frasi, modelli espressivi. Una resa che è naturalmente non casuale ma frutto di lavoro, di grande approfondimento. Dunque i nostri traduttori non sono affatto ognuno su un’isola deserta… c’è una comunicazione continua, un passaggio di esperienze di lavoro e scelte traduttive che diventa bagaglio lessicale. E’ davvero un metodo nuovo di lavoro, che posso immaginare verrà esportato in altri campi».
I rabbini, gli studiosi, i talmudisti conoscono e frequentano il Talmud nella sua versione originale? Qual è il destinatario di questa traduzione italiana, la prima a circa millecinquecento anni dalla redazione di questo testo?
«Il Talmud è un testo fondamentale per la cultura universale. È la summa del pensiero e della parola del popolo ebraico. Direi che questa traduzione si offre a diversi livelli di pubblico. Lo studente, il curioso, lo studioso. Se ho bisogno di leggere o consultare un passo della Patristica greca dispongo di traduzioni “storiche”, del corpus completo di questo patrimonio, vuoi in italiano vuoi in un’altra lingua moderna. Ho studiato il greco al liceo, ma non sono più in grado di affrontare questi testi nella loro lingua originale… Questo discorso vale non meno per il Talmud, che è un patrimonio universale di cui tutti devono poter disporre. E noi stiamo offrendo con questo testo non solo una traduzione accurata e moderna, ma anche un immenso thesaurus di sapere, di conoscenze ed esperienza intellettuale».
La Stampa 20.3.2016