Un anacronistico segno di antisemitismo è la targa che campeggia sulla facciata del Duomo peloritano
Alessandro Allegra Piero Giacopello
«Questo è il segno dei perfidi giudei». Non è l’invettiva estrapolata dal discorso di un leader antisionista, ma ciò che si trova scritto su un piccolo cartiglio di marmo rosa che, dopo aver girovagato per secoli da un palazzo all’altro di Messina, da quattrocento anni ha trovato il suo domicilio sulla facciata del Duomo della città.
La vicenda si svolse il Venerdì Santo del 1347 nella piazza della Giudecca, l’attuale via Cesare Battisti. Gli Ebrei, dopo aver tentato di convincere i ragazzini a non passare per la strada cantando inni sacri, ne chiamarono molti in casa e li uccisero tagliando loro la gola, occultandone quindi i corpi in un pozzo che si trovava dentro la sinagoga. Iddio, che non poteva permettere che tale nefandezza restasse impunita, fece uscire dalle ferite dei giovani tanto sangue che ne fu riempito il pozzo, e ne traboccò in tal copia da scorrere per le vie e la piazza. Intervenne dunque il Tribunale di Giustizia, e i rabbini inquisiti vennero condannati a morte e le loro teste furono lasciate appese al muro della sinagoga. Proprio sotto questi macabri trofei venne incisa la «Pietra dei Giudei», a vergogna e ricordo della perfidia degli Ebrei. Quando la sinagoga venne distrutta, affinché non si perdesse la memoria di «operato sì scellerato dall’Hebrei commesso», la pietra, dove era inciso anche il segno distintivo dei giudei, una rotella rossa ormai scomparsa, venne posta nella facciata della Madrechiesa. L’attendibilità del fatto è ovviamente nulla, ma ciò che serviva era solo un pretesto per il pogrom. Messina dunque come città antisemita? Di certo nel corso dei secoli gli Ebrei di Messina hanno avuto di che lamentarsi.
Nel 1221 arrivò a Messina Federico II, il quale con un significativo accostamento emanò due leggi, una contro gli Ebrei ed una contro le prostitute. Ai giudei venne ordinato di rendersi riconoscibili con particolari abiti e facendosi crescere la barba. E l’imperatore svevo era considerato colui che apprezzava il patrimonio culturale ebraico, colui che disputava su alcuni brani del Talmud negli stessi anni in cui Luigi IX il Santo faceva bruciare a Parigi lo stesso libro. I giudei facoltosi erano poi costretti a sborsare ingenti cifre per evitare di portare la rotella rossa, o perché le loro spose potessero indossare il mantello o per cavalcare una mula con la sella. Molte imposizioni erano umilianti.
Nel 1400 si ingiunse nella giudecca di fornire i boia per le esecuzioni capitali e in seguito all’uccisione di un ricco mercante da parte di alcuni Ebrei, lo stratigò messinese designò come boia i tre Ebrei più in vista della città.
Venne quindi il 31 marzo 1492, giorno in cui Ferdinando e Isabella di Castiglia decretarono che «todos los judias grandes y pequenyos» dovevano lasciare il regno entro tre mesi. In teoria la rinuncia alla loro fede avrebbe dovuto permettere ai giudei di restare, ma in realtà 175 ebrei messinesi convertiti, i marrani, vennero sottoposti a processi e molti di loro finirono sul rogo. Un esempio della persecuzione dei convertiti fu quella contro Matteo Carruba ed i suoi. Andrea Carruba venne bruciato vivo sul rogo, mentre Matteo venne condannato al carcere e alla confisca dei beni. Matteo, esasperato, uccise il suo principale persecutore, Agostino da Urbino, capitano del Santo Uffizio, riuscendo quindi a darsi alla fuga, ma la Santa Inquisizione fece diroccare la sua casa.
Nel XVII e nel XVIII secolo si tentò di riportare in Sicilia comunità ebraiche, ma dei giudei che nel 1492 si erano dispersi a Costantinopoli e ad Edirne non tornò nessuno.
E poi venne il Ventesimo secolo. La promulgazione delle leggi razziali nel 1938 limitava la possibilità di esercizio delle professioni e il diritto di proprietà. Tuttavia bisogna esaminare se vi fu differenza nella applicazione delle leggi tra le varie regioni italiane. In effetti lo sbarco degli americani in Sicilia mise fine all’attuazione delle leggi razziali nell’isola, mentre nel resto d’Italia si assistette ad una accentuazione della persecuzione antiebraica. In conclusione, Messina come città antisemita? No, o non necessariamente. Per secoli l’antisemitismo ha circolato indisturbato per l’Europa e certo non poteva essere Messina ad andare controcorrente, ma la città siciliana non è tra quelle dove peggiori erano le relazioni tra i due gruppi. Gli Ebrei messinesi, e solo loro in Sicilia fino al 1450, godevano di tutti i privilegi che il re Federico II aveva concesso alla città. Con una tolleranza che non ha riscontro altrove gli Ebrei messinesi erano inoltre esentati dalle corvees e dai turni di guardia il sabato, in modo da poter osservare il loro precetto. Anche il più recente antisemitismo, quello del periodo fascista, si è manifestato in forme più attenuate in Sicilia rispetto a quanto avvenuto in altre regioni.
Forse le molteplici occupazioni, gli incontri con razze, culture, religioni diverse avevano attenuato la paura del diverso, minando la possibilità di un reale, radicato razzismo. O forse le minori disponibilità economiche degli Ebrei siciliani avevano suscitato una minor invidia nei loro conterranei. Ma anche se così fosse, la storia di Messina appare indissolubile dalla storia delle sue famiglie ebraiche, ed allora ci dobbiamo chiedere il significato della piccola Pietra degli Ebrei nel Duomo della città.
È forse un anacronistico segno di antisemitismo o è più semplicemente una semplice conseguenza dell’ignoranza della sua esistenza e della storia della propria città? Ed una volta venuti a conoscenza della sua presenza cosa è necessario fare per dimostrare l’assenza di un sentimento antisemita da parte della cittadinanza? Levarla subito? Catalogarla e metterla in una bella teca del nuovo Museo? Oppure lasciarla lì, a monito per le future generazioni, come è stato fatto altrove per altre testimonianze dell’eterna, non solo antisemitica Shoà, a ricordo di errori ed orrori che possono anche tornare? Deve forse restare, semplicemente perché belle sono entrambe le storie a lei legate.
Bella e drammatica è la falsa storia dei bambini cristiani uccisi dagli Ebrei, bella e drammatica è la storia vera degli ebrei uccisi dai cristiani.
Non è della storia che dobbiamo avere paura, ma del futuro.
La Gazzetta del Sud – sabato 8 novembre 2003
Grazie a Enzo Ferrara