Giovanni De Martis (www.olokaustos.org) risponde alla provocazione di Giorgio Israel
Secondo Giorgio Israel “il genocidio è un concetto balordo e autocontraddittorio: se non esistono le razze – e non possiamo crederlo a meno di non essere razzisti, oltre che ignoranti – che senso ha parlare della soppressione di ciò che non esiste, se non nell’intenzionalità?”
Stupisce che Giorgio Israel non sappia che Raphael Lemkin – colui che coniò il termine genocidio – ne diede questa definizione: “per genocidio intendiamo la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico (che) intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, per annientare questi gruppi stessi. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali , e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui che appartengono a tali gruppi. Il genocidio è diretto contro il gruppo nazionale in quanto entità, e le azioni che esso provoca sono condotte da individui, non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale”
La Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio approvata il 9 dicembre del 1948 ed entrata in vigore il 12 gennaio del 1951, all’articolo 2 recita: “Con la presente Convenzione, viene definito Genocidio uno qualsiasi degli atti di seguito elencati, commessi con l’intenzione di distruggere, del tutto o parzialmente, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale:
a) il massacro dei membri di un gruppo;
b) l’attentato grave all’integrità fisica o mentale del gruppo;
c) la sottomissione intenzionale di un gruppo a condizioni di esistenza che comportano la sua soppressione fisica, totale o parziale;
d) le misure finalizzate ad impedire le nascite all’interno di un gruppo;
e) il trasferimento forzato di bambini da un gruppo verso un altro”
Se è ben vero che nella elencazione dell’articolo compare la parola “razziale” è altrettanto vero che i legislatori la introdussero in un periodo in cui l’uso di tale termine era abbondantemente accettato nella pratica legale e quotidiana. Israel coglie la parte per il tutto e cerca di delegittimare il concetto riducendolo a cosa “balorda e contraddittoria” in modo strumentale e approssimativo.
Un altro passaggio di Israel fa riflettere: “Ma, come dicevamo, il vero movente era quello di creare una categoria di crimine di livello superiore, il più efferato. In tal modo, attribuendo alla Shoah la duplice caratteristica del delitto di genocidio e di unicum nella storia, gli ebrei sono stati dotati di un “privilegio” straordinario e ad essi soltanto riservato.”
Israel – che rifiuta i processi alle intenzioni ma sembra celebrarli senza troppi problemi in questo caso – vorrebbe farci dimenticare che alla base dell’istituzione del crimine di genocidio stanno considerazioni ben più profonde e diverse. Rileggersi qualcosa dei dibattiti sorti in seno alla Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra istituita il 20 ottobre 1943 illuminerebbe abbondantemente su questo punto.
Quanto al fatto che un numero elevato di minoranze abbia reclamato il fatto d’essere stata oggetto di genocidio occorre essere cauti con buona pace di Amselle, di Finkielkraut e di Israel stesso. Se è ben vero che negli anni si è assistito ad un proliferare di “genocidi” presunti utilizzati per legittimare posizioni e rivendicazioni di varia natura è altrettanto vero che genocidi veri e reali hanno fatto non poca fatica ad essere riconosciuti come tali. Il classico esempio degli Armeni fa scuola in questo senso ma si potrebbe aggiungere quello perpetrato dai tedeschi in nome di una “Rassenkampf” ai danni degli Herero o quello a lungo misconosciuto dei Rom e Sinti. E mentre da un lato si assisteva da parte di alcuni ad un innegabile “arrembaggio” verso lo status di “vittime di un genocidio” si assisteva dall’altro alla altrettanto discutibile attività di negazione di genocidi veri. Il caso dei Rom e Sinti e la loro battaglia per essere riconosciuti all’interno dell’United States Holocaust Memorial Museum è in questo senso memorabile. Il caso degli Armeni lo è altrettanto. Perciò sarebbe il caso di sottolineare che oltre alla stortura di alcuni di voler essere politicamente legittimati da un genocidio esiste la stortura di coloro che si battono per non riconoscere genocidi la cui evidenza è lampante. Come sa bene Giorgio Israel le facce di una medaglia sono sempre due.
Su di un altra affermazione di Israel occorrerebbe soffermarsi. Israel ci illustra la “vulgata storiografica che è recente moda nelle madrasse” e tra gli elementi caratteristici di questa presunta “vulgata” fa un elenco tripartito:
“1) La Shoah è indiscutibilmente un unicum storico. Ne consegue che i delitti del comunismo appartengono a una categoria diversa e, ovviamente, più blanda”.
Che i crimini del comunismo appartengano a categoria diversa non vi è dubbio. Su questo punto le discussioni storiografiche nel decennio trascorso sono state profonde e attente. Basterebbe andarsi a rileggere quanto scrivono Nicholas Wert e Philippe Burrin in quel volume collettaneo dal titolo “Stalinismo e nazismo. Storia e memoria comparate”. Ma avendo tempo e voglia si potrebbero ripercorrere anche le pagine de “Lo stato razziale” di Burleigh e Wipperman o il più recente “Il Terzo Reich” di Burleigh. Una lettura attenta – approfittando magari dei giorni festivi di dicembre – ci potrebbe far riscoprire che gli storici seri (si spera non inclusi da Israel nel novero dei frequentatori di madrasse) hanno da tempo concordato sul fatto che il nazismo era proteso verso una “purificazione su base biologica” basata su una “utopia razziale”. Lo stalinismo commise i suoi crimini in nome di un percorso di perversione ideologica completamente differente. I crimini sono sempre crimini a prescindere dalle ideologie che li provocano o dal numero delle vittime. Stalinismo e nazismo furono fenomeni di criminalità politica le cui differenze ideologiche sono decisamente evidenti. Rimarcare tali differenze per capirne i percorsi è compito dello storico. Trarne conseguenze di bottega politica è compito dei polemisti di partito più attenti ai problemi dell’oggi che alla memoria di ieri.
Israel ci dice anche che la “vulgata storica” proveniente dalle “madrasse” sosterrebbe che “che la “vera” Shoah, quella “unica”, non è iniziata subito, bensì soltanto (guarda caso) in coincidenza con l’invasione nazista dell’Unione Sovietica. Perché è qui che si è dispiegata la teoria razzista universale che mirava alla distruzione totale, assieme agli ebrei, dei popoli slavi inferiori”.
Non mi intendo di “madrasse” ma questa che Israel sottolinea come frutto di “vulgata storica” non è il risultato un bieco complotto comunista ma la conclusione (ancorché provvisoria) di anni di dibattiti in ambito storico. Questa “vulgata” è sostenuta da Christopher Browning, Uwe Dietrich Adam, Deborah Dwork e persino Daniel Goldhagen. Tutti storici inquadrati in madrasse? Tutti reclutati nella macchina di propaganda di una Internazionale Comunista viva, vegeta e capace di sovvertire le menti? Sarebbe interessante sapere – se Giorgio Israel lo sa – come funziona questo complotto globalizzato di storici tutti evidentemente “criptocomunisti” siano essi statunitensi, israeliani o tedeschi.
Infine Israel giunge alla conclusione che nelle madrasse si completerebbe il teorema: il comunismo fu vittima del nazismo. Logica conseguenza di un percorso tutto teso a riabilitare il comunismo stesso.
Esiste un ordine scritto emanato alla vigilia della operazione “Barbarossa” nel 1941 che indica come vitale l’eliminazione fisica di tutti i commissari politici sovietici catturati. Esistono dati – per fortuna indiscutibili – sulla eliminazione fisica sistematica dei prigionieri di guerra sovietici morti a milioni nei lager nazisti secondo ordini precisi. Esiste la documentazione gigantesca della politica di sterminio sistematico attuata nei territori dell’Unione Sovietica occupata. Goldhagen ha operato un intelligente parallelo tra il destino degli ebrei e quello dei popoli slavi. Bartov ha analizzato il sistematico e cosciente imbarbarimento totale e progressivo della condotta di guerra nazista sul fronte orientale. Gli amanti della contabilità cimiteriale hanno abbondante materiale in proposito.
Il comunismo era un obiettivo da distruggere attraverso l’eliminazione fisica degli slavi visti anch’essi come subumani. Senza considerare gli oppositori politici tedeschi socialdemocratici e comunisti che furono i primi “ospiti” dei lager.
Questo fa del comunismo una vittima del nazismo? A me pare di sì se per comunismo intendiamo quei soldati e quei civili massacrati per creare lo “spazio vitale” tedesco ad Oriente. Sempre che non si voglia negare lo “status” di vittima in base al fatto che questa in vita professava il comunismo. In questo caso si instaurerebbe un curioso sistema in base al quale non basterebbe essere stati uccisi per ottenere da Israel il riconoscimento di vittime ma occorrerebbe anche possedere opportune credenziali ideologiche.
Il resto fa parte degli usi e degli abusi delle tragedie umane brandite disinvoltamente a destra come a sinistra. L’intervento di Israel si inquadra perfettamente nell’ambito della polemica politica e in questo senso e con questo valore va accettata. L’analisi storica però è qualcosa di profondamente differente come Giorgio Israel ben sa.