La Seconda guerra mondiale ha delle date e degli eventi che tutti ricordiamo. Ma la narrazione dominante ci ha sempre insegnato a guardarla da un punto di vista europeo e occidentale, tralasciando gli effetti che invece ha avuto in Medio Oriente.
Cambiare prospettiva è sempre utile. Qualche volta necessario. Quindi Tutta un’altra guerra (Bollati Boringhieri, 2022) è un libro necessario. Spezzando un’uniformità di immaginario che affonda le proprie radici nella tradizione imperiale europea del Novecento, si addentra nel racconto di uno dei conflitti più importanti della storia europea, la Seconda guerra mondiale, partendo da un settore del conflitto che i manuali di storia militare inseriscono tra quelli “di contorno” rispetto alle operazioni che coinvolgono il vecchio continente.
Alle soglie della Seconda guerra mondiale, il panorama politico del Medio Oriente è in subbuglio quanto e più che in Europa, tanto da determinare una storia parallela, una guerra con direzioni proprie e inedite agli occhi occidentali.
In poco più di trecento dense ma piacevoli pagine, Dan Diner espone l’evoluzione delle vicende del Medio Oriente tra le due guerre, ponendo l’accento sulla visione d’insieme che di quel pezzo di mondo ha la superpotenza allora dominante: un impero britannico in cambiamento, minacciato nei propri interessi primari dall’ascesa dei totalitarismi e dei nazionalismi, la cui visione globale si scontra con le aspirazioni di potenze grandi e piccole e anche con la volontà di milioni di sudditi sparsi tra Singapore e Gibilterra. Un cambio prospettico che l’autore pone anche nella datazione: non più il canonico ‘39-’45 ma, per molti, un meno familiare 1935-’42, vale a dire il periodo in cui viene messo più sotto pressione quel settore dello scacchiere geopolitico che ruota attorno a Gerusalemme e Suez e che parte proprio con l’invasione italiana dell’Etiopia; un azzardo che mette in pericolo la Imperial defense della colonia indiana e che obbliga Londra a riconsiderare molte delle sue politiche, tra cui quella nei confronti dello status della Palestina, allora sotto mandato britannico. La narrazione si conclude con El Alamein, la vittoria inglese che allontana il pericolo nazifascista dai mandati britannici.
Diner tocca molti punti focali di quel conflitto: espone le difficoltà inglesi nel gestire la situazione degli ebrei immigrati senza urtare la sensibilità di milioni di sudditi musulmani di sua maestà; racconta il progressivo spostamento dell’asse di appoggio alla causa sionista dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, che prefigura gli equilibri post Seconda guerra mondiale; ricorda il grande dilemma della dirigenza sionista sui modi e i tempi di nascita dello stato di Israele, in cui la tragedia dell’Olocausto, in quel momento solo immaginata, gioca un ruolo pesante.
Un libro di sintesi prezioso insomma, in cui, tra l’altro, il fascismo italiano pare giocare un ruolo più pesante di quanto la stessa storiografia europea abbia finora generalmente riconosciuto.
Non leggetelo se per voi le “guerre che contano” sono solo quelle combattute attorno a casa vostra.
Non leggetelo se pensate che tutto, anche la storia del conflitto israelo-palestinese, possa ridursi a un quadretto in bianco e nero.
Non leggetelo se credete ancora al “duce da operetta”: le politiche fasciste ebbero responsabilità importanti nella costruzione (e distruzione) del Novecento.
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