Il sommo scrittore nazionale, il campione della tolleranza, della comprensione della diversità, dell’accettazione dell’altro, della sopportazione, della pazienza, del dialogo, della disponibilità, della generosità, della pietà, dell’altruismo ritiene che il pericolo più grande per Israele non siano gli estremisti palestinesi, Hamas, Hizbollah e nemmeno l’atomica di Ahmadinedjad. No, quelle sono quisquilie. Il pericolo più grande sono gli ultraortossi. Quelli violenti? Quelli che non lavorano? Quelli che non fanno il servizio militare? No, tutti gli ebrei che non vestono, che non pensano, che non mangiano come lui. Questa è la vera minaccia che richiede la creazione di un partito. DP
Francesco Battistini
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME – Un sabato mattina, una tv stava accesa a Gerusalemme: «Guardavo le contestazioni degli ultraortodossi – racconta Uri Regev, rabbino riformato – e non credevo ai miei occhi. Urlavano ai poliziotti: “Nazisti!”. Una cosa intollerabile». Lo stesso sabato, su uno schermo di Los Angeles: «Quelle scene mi han colpito – spiega Stanley Gold, top manager della Walt Disney -. Non è possibile che la decisione “sacrilega” d’ aprire un parcheggio di sabato, sia pure vicino al Muro del Pianto, scateni quella furia». Sempre quel sabato, in un tinello di Arad, il televisore era spento ma il pc funzionava da ore. Alla tastiera, Amos Oz. Che, nelle pause del suo nuovo romanzo, aveva il tempo per indignarsi via mail: «Shalom, amici. È venuta l’ ora di formare la nostra organizzazione. Spero sarà il punto di svolta della realtà israeliana, nell’ eterna lotta tra fanatismo e tolleranza…».
«Non staremo zitti, non sopporteremo oltre». Lunedì prossimo, al 16 di Rothschild Boulevard, l’ indirizzo di Tel Aviv che servì a Ben Gurion per proclamare l’ indipendenza, sarà presentato ufficialmente Hadush, acronimo ebraico di libertà (hofesh), religione (dat) e uguaglianza (shivion): «Una formazione aperta a chi, di Ben Gurion, vuole mettere in pratica l’ insegnamento principale: coniugare questi tre valori con le regole dei Profeti». Al nuovo movimento aderiscono intellettuali (Meirav Michaeli), un ex giudice dell’ Alta corte, Amnon Rubinstein, i leader delle comunità ebraiche americane, 180 rabbini, pezzi di sinistra… «Noi ebrei della diaspora abbiamo sempre sostenuto la terra d’ origine – dice Gold, che col suo colosso di cartoon sta investendo un miliardo di dollari in Israele -. Ma c’ è troppo fondamentalismo. Su questa strada, il sistema non può che crollare». Il sistema già scricchiola.
Secondo la Banca centrale, l’ aumento degli ultraortodossi è «un duro colpo all’ economia e alla sicurezza del Paese»: negli ultimi dieci anni, le iscrizioni alle scuole religiose sono aumentate del 51%, i giovani che rifiutano il servizio militare sono raddoppiati, ed è un haredi il 25% dei bambini di prima elementare; solo il 35% degl’ integralisti lavora, mentre gli altri campano di pensioni sociali. «Questo parassitismo – commenta il rabbino Regev – indebolisce la nostra società». Una delle battaglie di Hadush sarà per abolire i contributi pubblici, come accade nelle comunità Usa, dove gli ortodossi sono tenuti a guadagnarsi la pagnotta: «Per generazioni – dice Amos Oz, che ci riprova dopo il buco del suo Partito degli scrittori – l’ ebraismo è stato una religione aperta. Questo è lo spirito della sua tradizione. Non a caso non c’ è mai stato un papa ebreo. Ci fosse, tutti gli ebrei andrebbero a dirgli: “Ehi papa, tu non conosci me, né io te, ma mio nonno e tuo zio commerciavano insieme a Minsk o a Casablanca, e allora lascia dire anche a me quel che Dio vuole da noi”.
È questa la vena anarchica del pluralismo ebraico: tutti hanno il diritto di commentare. Noi siamo il risultato di generazioni cresciute nel dialogo. Per questo siamo sopravvissuti. E non ci faremo cancellare da chi protesta per un parcheggio. O sui bus, fa viaggiare separati uomini e donne. Il nostro bus, mi spiace, va da un’ altra parte».
Corriere della Sera