Giorgia Greco
Ci sono modi diversi per resistere e opporsi a un regime dittatoriale che viola in modo sistematico i più elementari diritti dell’uomo, quello alla libertà di espressione, di religione e in definitiva alla vita stessa. Chi è vissuto durante la seconda guerra mondiale sotto il giogo nazista si è trovato a scegliere se agire e resistere oppure voltarsi dall’altra parte mentre migliaia di ebrei venivano mandati nei campi di sterminio. “Agisci se te lo chiedono, ripeteva Jan Zwartendijk ai suoi cari. Non chiudere la porta, non voltarti dall’altra parte”. Queste parole del console olandese a Kaunas contenute nell’ultimo libro di Jan Brokken, “I giusti”, racchiudono il senso di ciò che si può annoverare come “resistenza civile e morale”. L’ultimo lavoro dello scrittore e viaggiatore olandese capace come pochi di raccontare le vite di personaggi fuori dal comune e i grandi protagonisti del mondo letterario e musicale – basti ricordare fra gli altri “Il giardino dei cosacchi” sul periodo siberiano di Dostoevskij, il bestseller “Anime baltiche”, viaggio in un cruciale ma dimenticato pezzo d’Europa – è una via di mezzo fra romanzo storico, saggio e memoir che racconta l’operazione di salvataggio del 1940 che coinvolse più di ottomila ebrei.
Chi sono i “Giusti”? Dopo la seconda guerra mondiale, il termine Giusti tra le nazioni (in ebraico traslitterato Chasidei Umot HaOlam) è stato utilizzato per indicare i non ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della vita e senza interesse personale per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista della Shoah. Fra queste figure eroiche la storia ci ha portato i nomi di Raoul Wallenberg, il diplomatico svedese che ha salvato migliaia di ebrei in Ungheria, Dimitar Peshev che salvò migliaia di ebrei bulgari dalla deportazione quando era vicepresidente del Parlamento oppure Giorgio Perlasca che si finse un Console spagnolo e salvò la vita a circa cinquemila ebrei ungheresi. Il saggio di Brokken si concentra invece su figure eroiche dimenticate dalla storia dando vita a un racconto corale fatto di voci diverse che testimonia il coraggio, la responsabilità e la profonda umanità di persone semplici che non avevano nulla di eccezionale se non la ferrea volontà di salvare vite innocenti. Sullo sfondo di un’Europa sulla quale avanzano le armate naziste, Jan Brokken rievoca la figura di Jan Zwartendijk, direttore della filiale lituana della Philips, nominato da poco console onorario dei Paesi Bassi a Kaunas in Lituania in sostituzione di Tillmanns, filonazista. Siamo nel 1940. Russia e Germania hanno firmato un patto di non aggressione ma di fatto i tedeschi hanno occupato la Polonia meridionale e la Russia si è impossessata dei Paesi Baltici. Migliaia di profughi polacchi si riversano in Lituania e dopo l’arrivo dei carri armati russi a Kaunas per gli ebrei diventa impellente trovare un lasciapassare per un paese sicuro. Zwartendijk coglie al volo la situazione e decide di “non voltarsi dall’altra parte”. Dopo il suggerimento dell’ambasciatore olandese a Riga, De Decker, un’ altra figura importante di questa storia, di prendere in considerazione Curacao nelle Antille olandesi dove non era richiesto un visto ma solo un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, Zwartendijk apre le porte del consolato alle migliaia di ebrei in fuga e inizia a datare, timbrare e firmare. Il viaggio però è lungo e l’unica via è attraversare tutta la Russia sulla Transiberiana fino a Vladivostok ( i sovietici avrebbero dato il permesso dato che ogni profugo pagava quel passaggio ben 400 dollari, in ambita valuta straniera!), poi prendere il traghetto fino a Tsuruga in Giappone, sperando di poter arrivare in Australia, Curacao, Stati Uniti…Un’impresa tutt’altro che facile anche perché per il Giappone era necessario disporre di un visto di transito. A questo punto Brokken ci presenta un’altra figura chiave della storia: il console del Giappone a Kaunas, Chiune Sugihara che vedendo arrivare alla sede diplomatica quegli ebrei alla ricerca di una via di salvezza non esita e completa il lavoro del collega calligrafando con un pennino il suo visto di transito in sei colonne di caratteri giapponesi. Per giorni entrambi lavorano senza sosta dalla mattina alla sera, interrompendosi solo per mangiare, dormendo pochissimo, con crampi dolorosi alla mano. Lunghe file si formano nei due consolati dove gente angosciata con storie disperate alle spalle si affida a loro per aver salva la vita. Un’opera di salvataggio che prosegue fino ad agosto quando entrambi i consolati vengono chiusi: Zwartendijk prosegue a distribuire permessi fino al 3 settembre giorno della sua partenza con la famiglia per l’Olanda, mentre Sugihara lavora fino alla fine di agosto rilasciando visti addirittura dal finestrino del treno prima della partenza per Koenigsberg. Senza mai incontrarsi ma legati dalla volontà di fare del bene, Zwartendijk e Sugihara riuscirono a salvare migliaia di ebrei che poterono rifarsi una vita lontano dall’Europa in Israele, negli Stati Uniti o in Australia. Purtroppo il console onorario olandese morì nel 1976 a ottant’anni senza sapere quanti ebrei era riuscito a salvare, un cruccio che gli amareggiò gli ultimi anni di vita cui si aggiunse nel 1963 la reprimenda del governo olandese per “non essersi attenuto alle norme dell’ambasciata” durante quegli anni terribili. Anche Sugihara fu costretto a dare le dimissioni per lo stesso motivo e sbarcò il lunario vendendo lampadine porta a porta. Tuttavia Brokken ci informa che il nome di Sugihara apparve nel Giardino dei Giusti di Yad Vashem nel 1985 mentre Zwartendijk dovette attendere il 1998 per vedere riconosciuto il suo operato solo dopo l’intervento del rabbino Ronald Gray e il ricorso del figlio.
Ascoltando la voce dei testimoni e dei discendenti, ricercando in modo accurato le fonti, compulsando gli archivi, Jan Brokken offre al lettore uno straordinario affresco dell’Europa negli anni Quaranta attraverso un mosaico di destini che ci racconta una delle più straordinarie imprese di salvataggio umano del Ventesimo secolo. Perché Brokken con rara capacità storica e narrativa, ripercorre non solo la storia della famiglia Zwartendijk ma anche quella dei profughi e le vicende degli altri diplomatici come De Decker inviato a Riga, De Voogd, console olandese a Kobe, Romer, ambasciatore polacco a Tokyo, che resero possibile l’operazione di salvataggio dei profughi ebrei. Un libro documentatissimo quello di Brokken fatto di tante piccole storie e destini che insieme confluiscono nel solco della storia d’Europa e dell’Asia Orientale e che rende onore a persone le cui azioni ci ricordano un principio fondamentale: “ L’essere umano è stato creato per insegnare che chi uccide un’anima sola è come se avesse ucciso il mondo intero, perché distrugge tutte le generazioni future che sarebbero venute da quella unica persona. Ma colui che salva la vita di una persona, è come se avesse salvato il mondo intero”.
I giusti
Jan Brokken
Traduzione dall’olandese di Claudia Cozzi
Iperborea
euro 18
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=78426