Tratto da “Shabbath – A cura di Augusto Segre”, Ucei 1972
Shmuel Yosef Agnon
Accadde che un pover uomo, tornando a casa dal Beth ha-Keneseth un venerdì sera, vide per strada una perutà. Disse: «Sono stato fortunato; ma cosa posso fare? Oggi è sabato e non posso prenderla. Se l’avessi trovata prima di sera, avrei potuto comperarmi alcuni chicchi d’uva secca e prepararmi il vino per il Kiddùsh oppure del pane di grano o qualch’altra cosa per rendere più piacevole il sabato. Se ne andò a casa ed accolse il sabato senza vino e senza pane e senza nessuna di quelle cose che lo rendono più lieto e fece il kiddùsh su un pezzo di pane nero.
La mattina dopo, recandosi al Beth ha-Keneseth, quel povero uomo si disse: «La rivedrò; se non l’ha vista qualche non ebreo che svolge i suoi servizi di sabato e se l’è presa, la ritroverò allo stesso posto». Come giunse ivi, vide che non era più una perutà di rame, ma una monetina d’argento. Disse il povero: «Sono veramente fortunato, pensavo di trovare una perutà e invece vi ho trovato una monetina d’argento. Il Signore mi sottopone veramente ad una grande prova». Perciò s’affrettò e andò al Beth ha–Keneseth.
Dopo la Tefillà pensò: «Ora certamente non la troverò più. Molti devono essere passati di lì e devono averla vista. E’ mai possibile che l’abbiano vista e non l’abbiano presa? In ogni modo voglio andare a vedere: se non l’hanno presa, voglio vedere se è veramente d’argento; e se l’hanno presa mi libererò da pensieri proibiti e non ci penserò più».
Allorché giunse sul posto, la vide lì com’era il giorno prima e come l’aveva vista nella mattinata. Però la sera prima era di rame, la mattina per tempo era d’argento ed ora era diventata d’oro! Se non era opera di magia, era certamente opera del sole, del sole di mezzogiorno che risplende sulla perutà ed essa sembra d’oro. Però se non era d’oro doveva essere certamente d’argento.
Meditava quel poveretto in cuor suo quante cose sarebbero state possibili prendendo quella moneta. Sarebbe bastato sollevarla e tutte le delizie del mondo sarebbero state a portata di mano: pane bianco, un sorso di acquavite, pesce salato e le altre buone cose con le quali si può deliziare il sabato e, con la dovuta differenza, anche il corpo. Si piegò una, due volte, ma il timore del sabato lo dominava e così se ne ritornò a casa a mani vuote.
Per la tefillath minchà non s’avvicinò alla moneta. «Chi lo sa- si disse – se sarei in grado di dominarmi. Di sabato le botteghe son chiuse e avrei potuto dominare il mio istinto. Ma poco dopo minchà, un’ora circa dopo, le botteghe s’aprono e il profumo dei cibi e delle bevande s’espandono, giungono alle narici e allora diventa veramente difficile dominarsi».
Ma spesse volte l’istinto dell’uomo è più duro dell’uomo; egli inizia un discorso con l’istinto e quello glielo ritorce contro. Gli dice: «E chi mai t’ha detto di prenderla in mano? Basta trascinarla col piede e nasconderla in una angolo o metterci sopra una pietra affinché non venga un altro e se la prenda». Terminata la tefillath minchà ci ripensò su e si recò sul posto. Guardare non vuol dire commettere una trasgressione.
Stava per imbrunire, il sole al tramonto mandava scintille d’oro. Come giunse ivi vide la moneta al suo posto. Ma non era più una moneta sola, ve n’erano molte. Poteva essere che non fossero vere monete, ma che la stessa moneta mandasse splendore tutt’intorno, perché quando una moneta cade nella spazzatura, tutta quanta la spazzatura ne trae lucentezza. In ogni modo si doveva trattare di una moneta d’oro. Se quel poveraccio si fosse inchinato e l’avesse raccolta, avrebbe potuto avere di che vivere per due o tre settimane. Quali sono le necessità di un povero? Con una moneta d’oro lo puoi mantenere per diverse settimane.
Disse il povero: «Mi va bene che in casa mia non c’è niente e sono quindi esente dall’obbligo del terzo pasto sabbatico e sono libero di starmene qui a guardare questa moneta. Certo però che dev’essere stato ben matto colui che ha messo il suo denaro nella spazzatura. Forse pensava che sarebbe fiorita e avrebbe dato frutti? Io al suo posto l’avrei custodita sul mio cuore ed ogni qualvolta mia moglie e i miei figli m’avessero chiesto qualcosa da mangiare, avrei detto loro: ‘Golosoni che non siete altro, volete mangiare?’ Avrei preso subito la moneta d’oro e sarei entrato nella bottega».
Quando stava però per inchinarsi per raccoglierla, gli venne in mente che forse v’era lo zampino del diavolo, il quale aveva messo proprio lì il denaro davanti a lui per metterlo alla nuova prova. Allora si raddrizzò e disse: «Che furbacchione! Se ne sta nella spazzatura e vuol prendersi gioco di un ebreo… Non ha nessun obbligo per la tefillà e può fare ciò che vuole. Io invece devo dire ‘arvith e non ho tempo di dedicarmi a simili scherzi. Si strappò da quel posto e andò di corsa al Beth ha–Keneseth.
Dopo la Tefihlath ‘arvith, non volle neppure andare a dare una occhiata alle monete Disse: «Si son prese gioco di me abbastanza!». Come tentava di distogliere da loro lo sguardo, le monete invece si facevano notare da lui come monete d’oro brillanti. Visto che le cose stavano così, si disse: «Ora che il santo sabato è passato, voglio vedere che cos’è che brilla tanto».
S’inchinò e vide ciò che l’occhio non è abituato di vedere e la mano di contare. Tese le mani e mise tutte le monete nelle tasche, fino a che non ne furono ripiene. Forse le tasche erano piccole? No, erano grandi. Si trattava di piccole monete? Vieni e vedi che cosa comprò con una sola moneta: vino per l’havdalà, pane di grano, arringa, ed altre cose che fanno bene al corpo e non danneggiano l’anima. E nota che ebbe anche il resto di questa moneta.
Fece un lieto ritorno a casa sua. Mentre cantava «V’era un uomo giusto», la moglie apparecchiò riccamente la tavola. Si lavò le mani, prese posto e con i familiari consumò la cena del «Melavvè Malkà» (Congedo del Sabato). D’allora in poi nessuna cosa mancò per festeggiare il sabato. Neppure per lui e per la famiglia mancò alcuna cosa.
Poiché aveva osservato un sabato in povertà, ebbe in premio molti sabati in agiatezza.