Carmine Monaco
Questi sono tempi difficili in cui, per ammissione delle stesse istituzioni (non soltanto religiose ma anche governative, come dimostrano i ripetuti inviti in tal senso da parte del Ministro degli Interni Giuseppe Pisanu), è più che mai necessario un dialogo tra le diverse comunità di fede, in particolare tra le religioni che affermano di riconoscersi in Abramo. Credo però, per una serie di ragioni, che sia più che mai l’amicizia ebraico-cristiana a rivestire una fondamentale importanza, in un momento storico in cui i rapporti tra ebrei e mussulmani sembrano toccare il punto più basso della loro storia e il mostro dell’antisemitismo torna a farsi sentire pressoché ovunque nel mondo. Da qualche anno a questa parte sembra quasi che, per le dinamiche geopolitiche connesse alla gestione delle riserve energetiche mondiali, più che per il conflitto arabo-israeliano, si sia scoperchiato un novello vaso di Pandora, i cui venefici effluvi hanno abbassato enormemente la “soglia di intolleranza” verso tale ripugnante fenomeno.
Partendo dal presupposto che, chiunque partecipi al dialogo inter-culturale e inter-religioso, offra la sua sincera disponibilità a partecipare a ogni impresa scientifica, civica e politica che si proponga di arricchire la società, mi rivolgo ai giornali e alle Istituzioni politiche, culturali e religiose preposte a tale dialogo, nonché alle associazioni di amicizia ebraico–cristiana, per chiedere di dare al Paese e ai cittadini di ogni fede e orientamente politico, non solo un segno concreto e immediato della volontà di combattere il risorgente antisemitismo in ogni sua forma, ma anche e soprattutto dell’amicizia profonda che lega i cittadini italiani di fede ebraica e di fede cristiana.
Come laico ritengo che credere in Gesù e ancora oggi respingere, o addirittura odiare la sua fede ebraica, il suo popolo e i suoi fratelli, sia fuori da ogni logica e contrario alle fondamentali norme etiche e morali che regolano i rapporti tra esseri umani; come cristiano credo sia semplicemente abominio. Ogni persona civile avverte il dovere ineluttabile di allontanare da sé la routine del pregiudizio antiebraico, che affiora di continuo nonostante i notevoli cambiamenti seguiti alla immane tragedia della Shoah e alle dichiarazioni conciliari come Nostra Aetate, che, insieme a tanti altri documenti, manifestano la vitale decisione di avviare un nuovo e fecondo rapporto tra ebraismo e cristianesimo.
E’ nostro dovere di cristiani e/o laici rifiutare ogni forma di razzismo e di antisemitismo, anche quando si presenta in forma subdola e strisciante, come nel caso del film The Passion, di Mel Gibson, il quale è comunque solo un anello, e nemmeno l’ultimo, di una ormai lunghissima catena di episodi e produzioni che, quando non sono dichiaratamente antisemite, pregiudicano certo gravemente quella che la Chiesa stessa definisce “una corretta presentazione del popolo e della religione ebraica”.
Il film di Mel Gibson è il trionfo degli stereotipi antisemiti (superati peraltro dall’analisi storica, dall’esegesi biblica e dalla stessa dottrina ecclesiastica): da quelli “fisici” a quelli morali, economici e religiosi, fino alla becera presentazione delle istituzioni e del popolo ebraico come belve assetate del sangue di Gesù, Gibson non rinuncia a nulla nel vasto repertorio antisemita a sua disposizione. Addirittura un criminale di guerra feroce e spietato quale fu Ponzio Pilato, richiamato a Roma per la sua intollerabile crudeltà, manifestata con decine di migliaia di esecuzioni capitali e torture sia prima sia dopo la crocifissione di Gesù, viene presentato al pubblico come un sant’uomo tormentato dal dubbio, che fece di tutto per salvarlo dalle grinfie di Caifa e dei suoi “carnefici giudei”. Nulla di più storicamente improponibile.
Per comprendere i fatti narrati nei Vangeli occorre conoscere approfonditamente la storia di quei luoghi, i protagonisti, le loro aspirazioni, la loro fede, la lotta del popolo ebraico per l’indipendenza dall’impero romano, i dissidi interni causati da tale occupazione e tutti gli avvenimenti che portarono alla distruzione di Israele da parte di Roma nel 70 d.C., e, da allora in poi, a persecuzioni millenarie nei confronti degli ebrei: anche sotto questa luce si può meglio comprendere la natura primordiale e la forza dirompente del messaggio di amore, libertà e perdono di Gesù.
In un momento in cui l’antisemitismo torna a cavalcare la tigre del deicidio persino nel mondo arabo (aspetto singolare per l’Islam che ritiene Gesù solo un profeta, e che nega la sua resurrezione e anche la crocifissione, che ritiene essere stata inflitta ad un altro al suo posto), in un periodo in cui tale fenomeno diventa addirittura redditizio (e di ciò approfittano anche l’industria editoriale e quella cinematografica), il film di Mel Gibson, con i suoi ettolitri di sangue e la sua immane violenza, si pone sullo stesso livello “artistico” e “culturale” della telenovela egiziana ispirata ai Protocolli dei Savi anziani di Sion, il micidiale falso storico opera della polizia zarista. Allo stesso modo dei Protocolli, il film vedrà una insolita distribuzione in un mondo arabo dove è generalmente proibito addirittura detenere una Bibbia o un Vangelo, un “reato” che in alcuni di quei paesi può costare la prigione o la stessa vita. A dimostrare che questa non è certo un’apertura al cristianesimo vi è la significativa dichiarazione di un “testimonial d’eccezione”, come Yasser Arafat, che si è detto “molto colpito dal film”, visto come paradigma di “quanto accade giornalmente al popolo palestinese”. Ovvero, altra benzina sul fuoco.
L’operazione mistico-commerciale di Mel Gibson, figlio di un acceso negazionista della Shoah, trasforma il messaggio d’amore universale del Vangelo in due ore di sangue, torture, ferocia e odio omicida. Una miscela esplosiva abilmente canalizzata verso un disgustoso quanto capillare merchandising legato al film, con “chiodi della Passione” venduti a cifre variabili dai 9,99 ai 12,99 dollari, in base alle “dimensioni” del chiodo… e poi corone di spine a mo’ di spillette, borse, portachiavi e croci, bracciali, collanine, unghia finte e croci, portafogli, magliette, fasce e croci, croci e ancora croci, simboli della fede vilipesi, oltraggiati e derisi dalla simonìa di un guitto della celluloide, passato dal genere comico-grottesco a base di pallottole a quello splatter-religioso; un vero amante del sangue e della notorietà, al punto che ama uccidere con le sue stesse mani i vitelli del suo allevamento, e che arriva addirittura a millantare eventi miracolosi durante le riprese del suo “capolavoro”, pur di ottenere pubblicità.
I giornali, le istituzioni politiche, culturali e religiose preposte al dialogo inter-culturale, nonché le associazioni di amicizia ebraico–cristiana, possono affrontare l’argomento e combattere in molti modi l’ulteriore diffusione di questi infami pregiudizi. Ma occorre farlo ora, ancora una volta, e prima che sia troppo tardi, prima cioè che qualche mano criminale o qualche squilibrato approfitti del clima di odio che rischia di generarsi per compiere un gesto violento di cui incolpare, magari, qualche fantomatico gruppo fondamentalista cristiano.
Non possiamo soltanto sperare e pregare che ciò non avvenga, bisogna operare concretamente al fine di impedire che ciò avvenga. Occorre dimostrare che l’antisemitismo cristiano è morto. I giornali possono contribuire con efficaci e durevoli iniziative come, ad esempio, una rubrica fissa dedicata alla reciproca conoscenza culturale e magari, per cominciare, la preparazione di un documento in cui siano soprattutto i cristiani e i laici a prendere le distanze da questo modo di presentare e sfruttare il messaggio evangelico a fini spettacolari e soprattutto economici, ricordando al pubblico le incongruenze storiche, l’assoluta arbitrarietà della prospettiva, i contenuti anticonciliari di tale film e il male infinito che è derivato dalla strumentalizzazione in chiave antisemita degli eventi narrati.
Siamo proprio noi cristiani e noi laici a dover rigettare per primi ogni forma di antisemitismo, anche quella di quei registi e scrittori saccentelli che, senza alcuna vergogna, tornano a chiedere ai nostri fratelli ebrei di “giustificarsi”, ancora una volta e di fronte alla loro ridicola “autorità”, per eventi estremamente controversi accaduti duemila anni fa, unicamente allo scopo di ottenere un quarto d’ora di notorietà e magari rimpinguare i loro già considerevoli conti in banca.
Coordinatore responsabile dell’Osservatorio sul razzismo e sull’antisemitismo della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo
Dai “Vangeli” ai “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, dal “Mein Kampf” a “Il Signore degli Anelli”, tutto serve ai nazi-islamisti per incitare all’assassinio degli ebrei
Carmine Monaco
Che il film di Mel Gibson si prestasse alle strumentalizzazioni di fanatici antisemiti lo avevamo già anticipato in un coro di Cassandre. A Napoli il pericolo è già diventato realtà: è da “The Passion” che viene infatti tratto il volto martoriato di Cristo, icona di una volgare campagna neonazista firmata dai “Pellegrini Erranti in Armi”. Centinaia di manifesti sono apparsi ieri, 8 aprile, da Mergellina a Piazza del Plebiscito, in quello che viene definito il “salotto buono” della città. Il testo, rilanciando l’accusa di deicidio agli ebrei, incita alla vendetta contro i responsabili dell’assassinio di Gesù e recita: “2.000 anni dopo, ancor non Ti è concessa giustizia!”. A quale tipo di “giustizia” alluda il suo autore è indicato da una scorretta citazione dai Vangeli, “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”, definita come una “Profezia del sacerdote ebreo Caifa”. Nei Vangeli non vi è invece alcuna profezia sugli ebrei destinati a scontare in eterno il sangue di Gesù che, per i suoi veri fedeli, tutto ha perdonato, tutto ha voluto scontare di Sua volontà per tutti, senza lasciare conti aperti.
Il manifesto lancia apparentemente all’indirizzo della Chiesa ulteriori accuse di complicità: “I tuoi discepoli venduti strisciano ai piedi dei tuoi assassini per trenta denari, lasciando sola la spada di pochi fratelli fedeli nella battaglia del sangue contro l’oro”.
Di “sangue contro oro” parlarono i leader nazisti sconfitti descrivendo i due blocchi della seconda guerra mondiale. L’autore del manifesto, Ferdinando Ottaviano Quintavalle, ha dichiarato a Il Mattino di Napoli che “i pochi fratelli fedeli sono i mussulmani. Io mi considero un cattolico che non ha tradito una fede ridotta ormai al nulla. Dietro quelle sigle ci sono solo io. I Pellegrini in armi? Loro esistono, anche se è la prima volta che si firmano. Ma non corra. L’arma, oggi, è anche l’arma della parola, del pensiero”.
La Digos intanto ha acquisito il manifesto e avviato le sue indagini. Inquieta in particolare, oltre alla firma “Pellegrini Erranti in Armi”, anche la firma apposta sulla destra del manifesto, appartenente al noto gruppo neonazista ALTA TENSIONE, che utilizza per l’occasione i caratteri runici simbolo delle SS al rovescio (vedi dettaglio).
L’Osservatorio sul razzismo e sull’antisemitismo della Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo vuole formare un pool di associazioni e di cittadini per chiedere alle autorità preposte di procedere legalmente contro questo gruppo neonazista per incitamento all’odio razziale, che in Italia è un reato.
Chiediamo la cooperazione di tutti per far sì che questo oltraggio non resti impunito.