Dopo gli attentati degli ultimi anni sembrava ci potesse essere una migrazione in Israele, ma la più grande comunità ebrea in Europa sta invece imparando a convivere con la minaccia
James McAuley – The Washington Post
Il capodanno ebraico dovrebbe essere un momento di gioia, passato tra mele e miele, famiglia e religione. Ma in Francia – il paese con la più grande comunità ebraica d’Europa – le feste sono anche un periodo di metal detector e perquisizioni su tutto il corpo, controlli dei documenti e interrogatori sulle strade fuori dalla sinagoghe. Nella Francia del 2016 è questa la nuova normalità. Nonostante le molte notizie che parlano di un possibile “esodo” degli ebrei dalla Francia verso Israele, gli ebrei di Francia rimangono in gran parte dove sono e si adattano alla nuova e arbitraria minaccia del terrorismo, che non colpisce le persone solo sulla base della loro religione ma anche a seconda del bar con i tavoli all’aperto che hanno scelto.
«La cosa importante da sapere è che oggi – anche se continuano a essere un bersaglio – gli ebrei non sono i soli a essere minacciati», ha detto Francis Kalifat, presidente del Conseil Représentatif des Institutions juives de France, la più grande organizzazione ebrea in Francia. Da anni la violenza di stampo antisemita è una presenza fissa nei titoli dei giornali francesi: accoltellamenti, sparatorie e insulti. Dopo l’attacco del gennaio 2015 a un supermercato kosher fuori Parigi, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva invitato gli ebrei francesi a trasferirsi in Israele. Alcuni l’hanno fatto: in una comunità di circa 600mila persone, l’anno scorso in circa 8mila si sono spostati in Israele, il numero più alto di sempre. Nonostante molti di loro se ne siano andati dalla Francia per motivi che non hanno a che fare con l’antisemitismo – ma piuttosto con fattori come le prospettive economiche, la pensione e il desiderio di riunirsi alla loro famiglia – l’immagine è stata comunque terribile.
Agli occhi del mondo la Francia, il primo paese europeo a riconoscere gli ebrei come cittadini con pari diritti, non sembrava più un posto sicuro.Questa idea è stata ampiamente diffusa dai media internazionali, soprattutto negli Stati Uniti. Il provocatorio articolo principale del numero dell’aprile 2015 dell’Atlantic si concentrava molto sulla situazione in Francia, arrivando a chiedersi se «non è il momento che tutti gli ebrei lascino l’Europa?». In molti hanno iniziato a pensare che fosse così. Ma poi sono arrivati gli attacchi di novembre a Parigi e quelli di luglio a Nizza, in cui il numero dei morti è stato il più alto sul territorio francese dal 1945. Le oltre 200 persone uccise nei due attacchi erano state scelte in maniera totalmente casuale: erano adolescenti che avevano comprato per caso i biglietti per un particolare concerto, o bambini che in quel preciso istante stavano guardando i fuochi d’artificio sul lungomare.I due attacchi non hanno fatto discriminazioni: sono stati una specie di minaccia improntata alle “pari opportunità”.
Oggi la Francia potrebbe non essere un posto più sicuro per gli ebrei, ma non è sicura per nessuno allo stesso modo. «Gli ebrei di Francia sono stati condannati e trascurati per troppo tempo dalla società, che tendeva a osservare da lontano le persone morte in attentati e altri attacchi», ha detto Haïm Korsia, il capo dei rabbini francesi. Subito dopo gli attentati del gennaio 2015 – quelli al giornale satirico Charlie Hebdo e al supermercato kosher – il governo francese aveva fatto partire l’Opération Sentinelle, uno squadrone di 10mila soldati armati pesantemente che erano stati mandati a controllare i posti sensibili, tra cui scuole ebraiche, sinagoghe e centri per la comunità locale. L’operazione fu criticata quasi subito da membri delle forze armate, analisti e alcuni politici, che la giudicavano una spesa alta senza una chiara missione. «Pensavano che non fossero degli obiettivi e che una violenza del genere non li avrebbe mai colpiti», ha detto Korsia, aggiungendo che «ora che tutti sanno di essere un potenziale bersaglio. Ho la sensazione che siano tutti diventati più responsabili e attenti nei confronti degli altri».In un periodo di attacchi indiscriminati una comunità nazionale più unita potrebbe essere qualcosa in più di una banalità politica. “L’esodo” di massa degli ebrei francesi non c’è mai stato. Quest’anno l’immigrazione verso Israele è diminuita sensibilmente, secondo alcune stime addirittura del 40 per cento.
Alcune delle persone che avevano lasciato la Francia, inoltre, stanno iniziando a tornare. A luglio il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato una lunga indagine secondo cui ogni anno tra il 15 e il 30 per cento degli ebrei francesi che si trasferisce in Israele finisce per tornare in Francia. Non si conoscono le cifre esatte, dal momento che Israele non compila statistiche sulle persone che lasciano il paese. Per dirla con le parole di una donna intervistata da Le Monde: «In Israele mi mancava l’idea della Repubblica; la meritocrazia e il principio di uguaglianza. In Israele ho capito di essere prima di tutto francese, mentre prima avevo l’impressione di essere innanzitutto ebrea».In Francia l’antisemitismo è tutt’altro che sparito. Nonostante le ampie misure di sicurezza, ha continuato a esserci un flusso stabile di attacchi su piccola scala contro ebrei religiosi. Un venerdì sera di agosto un uomo ebreo di 62 anni è stato accoltellato a Strasburgo.
A settembre fuori da una sinagoga di Marsiglia è stata trovata un’auto contenente alcune bombole di gas. «La cosa non dovrebbe sconvolgervi», ha detto Kalifat, «abbiamo una minaccia da cui proteggerci». Da qui i metal detector e le perquisizioni durante le feste. Per Korsia è semplicemente un dato di fatto, soprattutto in una Francia presa sempre più di mira dallo Stato Islamico. «Sì, ci piacerebbe andarcene in giro, andare alle funzioni o lasciare i nostri figli a scuola senza dover essere scortati», ha detto, «ma per quanto possa sembrare un paradosso, gli ebrei francesi ci si sono abituati». Come ora deve fare tutta la Francia.
© 2016 – The Washington Post
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