Gli ebrei a San’à
Esistono tanti libri che descrivono l’antichissima e affascinante comunità ebraica yemenita, nata dai villaggi a nord di San’à. Vicino alla città di Ra’idah, infatti, c’è il vecchio cimitero degli ebrei, dove è possibile trovare una lapide ancora ben conservata con scritto: “Rachelbat Avraham”, ovvero Rachele figlia di Abramo.
Vi sono poi le due più vecchie scuole ebraiche per bambini e bambine, create nel XX secolo durante i primi spostamenti di ebrei in Yemen. Troverete ancora maestre velate con le cuffie colorate della tradizione ebraico-yemenita, alle pareti noterete l’alfabeto ebraico e, negli scaffali, libri che arrivano da Israele. Negli istituti per soli uomini, invece, è facile ritrovarsi in classi di ragazzini con le ’pe’ot’ che seguono lezioni di insegnanti che, da buoni yemeniti, masticano il Qat.
Attualmente, in Yemen, sono rimaste alcune centinaia di ebrei (tra 200 e 400), mentre negli anni ’50 se ne contavano circa 50 mila. Alcuni a Sa’dah e Ra’idah, altri a nella capitale Sana’a, dove esiste ancora un vecchio quartiere con stelle di David ben visibili su alcuni edifici.
Qual è, quindi, il segreto di questa pacifica convivenza tra ebrei e musulmani? Gli ebrei dello Yemen si sono stabiliti pacificamente, specializzandosi in molti mestieri che normalmente vengono evitati dai musulmani Zaydi yemeniti. Parliamo di tessitura, ceramica, muratura, falegnameria, metallurgia, produzione di scarpe e sartoria. Si convive come se vi fosse una sorta di patto, basato sulla reciproca dipendenza economica e sociale. Gli ebrei tra i venti e i cinquant’anni vivono in modo piuttosto semplice, isolati dal resto della comunità, limitati da proibizioni governative. Parlano e scrivono in ebraico, spesso parlano arabo yemenita, ma non sanno leggerlo per loro è vietato frequentare scuole diverse da quelle ebraiche.
Alcuni, comunque, vorrebbero emigrare in Israele e raggiungere parenti a Beer Sheva, Ashdod o negli USA. Per questo il loro futuro sembra diretto verso l’estinzione. Eppure la diaspora yemenita è una delle comunità più antiche e affascinanti della storia ebraica che inizia con re Salomone e la regina di Saba e attraversa i secoli per giungere fino a oggi, negli occhi pieni di speranza di dolcissime bambine che ripetono preghiere in ebraico, così come facevano le loro madri e le loro nonne, e così ripercorrendo il tempo che fu, fino a quella “Rachel bat Avraham” che, oggi, riposa in un cimitero abbandonato e ignoto a tutti ai piedi delle alte montagne.
Per saperne di più di questa comunità, abbiamo contattato l’associazione degli ebrei yemeniti a Londra. Per loro la tradizione ebraico yemenita antica è “ricca di letteratura e poesia”. Dichiarano anche che “il più grande poeta yemenita è il rabbino Shalom Shabazi, che scrisse canti religiosi nei quali ancora oggi è rimasta la prova d’eccellenza del desiderio degli ebrei dello Yemen per Gerusalemme”. Gli ebrei yemeniti, infatti, hanno sempre avuto la loro parte nello sviluppo della religione e della cultura ebraica nel mondo.
Alcuni studiosi affermano che per comprendere le leggi della Mishna e Talmud, si deve vivere con gli ebrei yemeniti. Inoltre, molti antichi manoscritti ebraici sono stati copiati e conservati in Yemen anche perché la comunità yemenita è la più letterata tra quelle ebraiche, in particolare per quanto riguarda la Bibbia e le preghiere, comprese le melodie yemenite che oggi sono gli elementi più importanti della musica israeliana. Dove finirà tutto questo immenso patrimonio culturale? Gli ebrei, come già detto, benché siano rimasti pochi, sono ancora oggi integrati nella società, anche se il crescente integralismo sta contribuendo a provocare i primi atti di intolleranza. Alcuni di loro (decine), in questo periodo rivoluzione, hanno sempre appoggiato il presidente Ali Abdallah Saleh con slogan come “I membri della comunità ebraica nello Yemen sostengono il presidente Saleh e la legittimità costituzionale“. A maggio, infatti, i dimostranti ebrei yemeniti hanno consegnato all’ambasciata Usa una lettera in cui si chiede che Saleh resti a capo del paese fino a fine del mandato nel 2013, circostanza che pone più di un interrogativo.
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