La tradizionale ciambella americana diventò un tale affare che spinse i clan Lucchese e Genovese a entrarvi con la forza. La resistenza dei panificatori
Tonda con un buco in mezzo, da non confondere con la donut, la ciambellina fritta e spruzzata di zucchero, perché il suo impasto è simile a quello del pane, ma più denso. Le bagel sono alla base dell’alimentazione statunitense, esportate con successo ovunque. La pagnotta yankee, però, dietro le sue numerose farciture, nasconde un secolo di lotta violenta per il suo lucroso mercato, orchestrata dalla mafia italoamericana, sindacati e panificatori ebrei fuggiti dai nazisti.
Ogni mattino negli Stati Uniti tre miliardi di bagel sono sfornate dai panificatori e un altro miliardo è prodotto dall’industria alimentare. Create negli anni Venti da un ebreo ashkenazita, emigrato in America dall’Europa dell’Est, per la mancanza di sale, nell’impasto originale, le bagel divennero subito il pane quotidiano della popolosa comunità ebraica della costa orientale. Questo ignoto panificatore, non arrostiva, ma bolliva in acqua le ciambelle, completandole in forni a vapore.
Dagli anni Venti ai Sessanta le bagel invasero gli Stati Uniti, prodotte esclusivamente dai forni artigianali ebrei di New York. I cinque milioni di dollari annui di fatturato del 1929 divennero cinquanta milioni nel 1960. Poi le bagel, col boom economico degli anni Sessanta, inondarono anche l’Europa, diventando una moda alimentare. Produrle era più proficuo che comprare titoli petroliferi e gli artigiani panificatori ebrei, morti di fame in Europa, adesso si compravano ville milionarie negli Hamptons. Un flusso simile di denaro non poteva sfuggire alla mafia italoamericana, che, nella seconda metà degli anni Cinquanta, minacciando fornitori, panificatori e sindacati ebrei, iniziò la sua scalata alle bagel. Erano gli anni delle due potenti famiglie, i Lucchese e i Genovese, boss del gioco d’azzardo ad Atlantic City e Las Vegas, magnati della prostituzione, delle armi e del nascente traffico di stupefacenti. Mollarono il mitra e si allearono per quelle pepite d’oro di farina.
Un solo ostacolo disturbava i mafiosi: a non volersi piegare alle loro pretese era il potente sindacato creato ad hoc dai panificatori ebrei di bagel, il Local 338. Dettava legge su un mercato da ottanta milioni di dollari con margini di guadagno altissimi e un milione d’iscritti. Jason Turbow, nipote di uno dei fondatori ebrei ha raccontato la guerra delle ciambelle. «Gestire il mercato delle bagel per i Lucchese e Genovese era un gioco da ragazzi, a parte il sindacato che dopo avere subito intimidazioni, incendi dolosi e gambizzazioni, si era ricompattato. Le bagel fruttavano tanto e non c’erano i rischi del mercato dell’eroina».
Quando nel 1927 i panificatori di bagel fondarono l’Union Local 338, i pesanti turni da dieci ore e le condizioni di lavoro a sessanta gradi, furono regolamentati e i salari aumentati. Un dipendente panificatore di bagel negli anni Sessanta guadagnava più di un elettricista e aveva l’assicurazione medica. Gli iscritti erano gli unici in grado di cuocere le «ciambelle ebree col rigor mortis», come erano chiamate con disprezzo dai puristi del pane, per la loro inconfondibile durezza. Chiunque avesse voluto produrle, doveva assumere uno dei suoi iscritti. E chi non seguiva le regole, subiva i picchetti fuori dal forno. Il Local 338 era un’organizzazione chiusa e potente, dove erano ammessi solo figli e parenti dei fondatori. Impenetrabile perché tutti parlavano in consiglio solo in yiddish, mentre le mani della mafia si allungavano sui forni grazie a Giovanni Ignazio Dioguardi, detto Johnny Dio, il potente uomo della famiglia Lucchese. Il boss aveva portato nelle mani della mafia italoamericana quasi tutti i sindacati dell’East coast. Johnny era amico intimo di Jimmy Hoffa, il controverso sindacalista. A lui nel 1957, Dioguardi aveva fatto vincere le elezioni dell’International Brotherhood of Teamsters, il potentissimo sindacato degli autotrasportatori, truccando le elezioni.
Nel 1963 Dioguardi, dopo una condanna a tre anni di carcere per evasione fiscale, entrò alla Consumer Kosher Provisions, produttrice di carne kosher. Consumer era in competizione commerciale con American Kosher Provisions del gangster Max Block che imponeva i suoi prodotti a fucilate ai supermercati. Dioguardi trasformò la Consumer in First National Kosher Provisions per mangiarsi l’intero settore alimentare ebreo. Era nata «Kosher Nostra» che voleva anche le bagel. Dioguardi con la W&S Baking Corporation, un’industria del Bronx che usava manodopera non specializzata e sindacalizzata e una macchina da mezzo milione di ciambelle a settimana. Johnny Dio impose ai panificatori ebrei di spegnere i forni e rivendere le sue bagel industriali, dichiarando guerra al Local 338 che accettavano solo prodotti fatti a mano. Allora il sindacato chiamò i Bagel Boys, i pretoriani della ciambella doc del boss Thomas Eboli, temutissimo capo dei Genovese. Dopo un paio di sparatorie, Eboli e Dioguardi s’incontrarono e la W&S fu scaricata perché Johnny si alleò con i Boys. La Local 338, accerchiata dalle due più potenti famiglie mafiose d’America, però riuscì a far approvare ai mafiosi un nuovo contratto per i panificatori che stavano fuggendo dal sindacato indebolito e che, a breve, sarebbe stato spazzato via dalla Lender’s, un colosso industriale da cento milioni di bagel al mese. Impiegava tre operai non specializzati che lavoravano come otto abili artigiani. Nel 1965 Lender’s era la più grande azienda al mondo di bagel. Nel 1967 il consiglio degli anziani rabbini era debole e poco influente, mentre gli iscritti erano quasi scomparsi e le bagel erano congelate e cotte in qualsiasi bar. L’era d’oro della ciambella era finita. Mafia e sindacati erano stati piegati dall’industria.
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