Mauro Perani
Pubblicato in: La donna nell’ebraismo e nella riflessione mistico-esoterica della qabbalah, in L. GRAZIANI SECCHIERI (ed.), Vicino al focolare e oltre. Spazi pubblici e privati, fisici e virtuali della donna ebrea in Italia (secc. XV-XX), Collana “Atti del MEIS”, Giuntina, Firenze, 2015, pp. 281-304. Le pagine di questo testo non corrispondono a quello pubblicato, consultabile in Academia.edu Perani
Premessa
In questo studio mi propongo di trattare il tema della donna nella riflessione mistico-esoterica ebraica, partendo tuttavia, a mo’ di premessa, da un cenno a quello che dice della donna la Bibbia ebraica, quindi la Mishnah e la letteratura rabbinica, per concludere con un cenno all’approccio e alla concezione che l’ebraismo ha della sessualità, paragonato con quella tipica del cristianesimo.
Prenderò le mosse anche da una analisi di quella vera e propria ventata culturale che investe tutto il vicino oriente antico dal tardo V secolo prima dell’e.v. e nei successivi, fino al I dopo, per la quale nuove concezioni radicali di tipo apocalittico, di fatto influenzano fortemente le varie culture dell’epoca, compreso una parte di giudaismo, a tal punto da avere come risultato un vero e proprio stravolgimento delle concezioni religiose e teologiche del pensiero ebraico antico, sostanzialmente fissatosi o in via di fissazione nei libri della Bibbia ebraica. In particolare mi soffermerò sulla radicale trasformazione di concezioni relative al male, al peccato e, in particolare, per quanto riguarda il nostro tema, alla sessualità e alla donna. Il giudaismo rabbinico si terrà lontano e chiuso a questo movimento di pensiero, dal quale invece, si svilupperà, attraverso un processo di spiritualizzazione e di progressiva apertura universalistica, il movimento di Gesù che diverrà il cristianesimo.
Passerò, quindi, ad un esame di alcune delle più importanti fonti mistico-esoteriche dell’ebraismo, per esaminare che cosa emerge da esse nella loro riflessione sulla e integrazione della donna e del femminile nella loro visione cabbalistica del mondo e nella elaborazione di quella che, a partire dall’opera fondamentale di Moshe Idel, Qabbalah e Eros, potremmo chiamare metaphysica sexualis.
Fra di esse esporrò la concezione della donna che emerge in un’operetta medievale ebraica pre-qabbalistica, un vero gioiello per la limpidità del pensiero e la forte affermazione della concezione biblica positiva del creato, contro una degenerazione causata dall’accoglienza dell’aristotelismo, che ha avuto una grande diffusione a livello popolare: si tratta della Iggeret ha-qodeš, la quale ci offre davvero un bell’esempio di opposizione drastica a una deriva sessuofobica e misogina che nel Duecento stava cercando di entrare nell’ebraismo anche grazie alla concezione filosofica che Maimonide aveva introdotto attraverso l’uso sistematico delle categorie aristoteliche.[1]
Aspetti della concezione della donna nella Bibbia ebraica
Non si può negare che nel racconto genesiaco della disobbedienza dei progenitori, con la quale essi infrangono la proibizione data loro da Dio di non mangiare il frutto dell’albero del bene e del male – e non come spesso si dice la mela, espressione derivata dal latino malum che significa sia “male” sia “mela” – Eva, la donna, abbia un ruolo primario nel suo colloquio con il serpente, colga il frutto proibito, veda che è gustoso al palato e ne dà da mangiare ad Adamo, rendendo in tal modo Adamo ed Eva soggetti morali, perché senza conoscenza del bene e del male non lo sarebbero stati. Capire che cosa questo ruolo intraprendente della donna significhi, non è facile, ma forse rientra nell’immagine della donna tentatrice, tipica di molte letterature sapienziali del mondo antico.
Nelle due versioni del decalogo contenute in Esodo 20, 2–17 e Deuteronomio 5, 6–21, la donna compare nel decimo comandamento fra le cose che un uomo non deve desiderare, ossia: Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo, nella versione del Deuteronomio, mentre in quella dell’Esodo l’elenco inverte la donna con la case, elencando le prime due realtà possesso del prossimo che non si devono desiderare. In entrambe le versioni, comunque, la donna è elencata fra le altre cose possedute dall’uomo, connotandone l’appartenenza al marito come un possesso.
Possiamo, allora, dire che la Bibbia ebraica è misogina? La risposta è complessa e non così immediata. Certo, non mancano affermazioni che indurrebbero a crederlo, ma sono presenti, d’altro canto, anche affermazioni di segno contrario che sembrano esaltare la donna, considerandola anche più importante dell’uomo.[2]
È fuor di dubbio che «nel corso dei secoli questo “grande codice”, da cui è stata segnata l’identità appunto dell’occidente, ha rappresentato un armamentario da cui si è pensato di trarre versetti e argomentazioni allo scopo di imporre alla donna una condizione di inferiorità e mantenerla in tale assoggettamento».[3]
Occorre osservare che nei racconti della Bibbia ebraica o, con la differenza dei libri deuterocanonici, nell’Antico Testamento, certamente dobbiamo riconoscere due cose fondamentali: la prima è che il sesso non costituisce affatto un problema, anzi potremmo dire che se in essa c’è un non-problema è la dimensione sessuale umana; la seconda è l’approccio non ossessivo a temi sessuali, che potremmo chiamare semplice e in qualche modo, – confrontandolo con invece l’ipertrofia nella concezione occidentale e cristiana della sfera sessuale come cuore della morale e operando un consapevole falsamento di prospettiva storica – amorale. Si pensi alle figlie di Lot che, volendo avere figli e trovandosi in una regione dove non c’erano persone, ubriacano il padre e di notte si uniscono a lui, come si narra in Genesi 39,30-36:
30 Poi Lot partì da Zoar e andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie, perché temeva di restare in Zoar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie. 31 Ora la maggiore disse alla più piccola: «Il nostro padre è vecchio e non c’è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, secondo l’uso di tutta la terra. 32 Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così faremo sussistere una discendenza da nostro padre». 33 Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò. 34 All’indomani la maggiore disse alla più piccola: «Ecco, ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va’ tu a coricarti con lui; così faremo sussistere una discendenza da nostro padre». 35 Anche quella notte fecero bere del vino al loro padre e la più piccola andò a coricarsi con lui; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò. 36 Così le due figlie di Lot concepirono dal loro padre.
Un altro episodio è presente nel racconto di Genesi 38 nel quale si narra come Giacobbe si unisca con sua nuora, credendola una prostituta e la fecondi:
13 Fu portata a Tamar questa notizia: «Ecco, tuo suocero va a Timna per la tosatura del suo gregge». 14 Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse intorno, poi si pose a sedere all’ingresso di Enaim, che è sulla strada verso Timna. Aveva visto infatti che Sela era ormai cresciuto, ma che lei non gli era stata data in moglie. 15 Giuda la vide e la credette una prostituta, perché essa si era coperta la faccia. 16 Egli si diresse su quella strada verso di lei e disse: «Lascia che io venga con te!». Non sapeva infatti che quella fosse la sua nuora. Essa disse: «Che mi darai per venire con me?». 17 Rispose: «Io ti manderò un capretto del gregge». Essa riprese: «Mi dai un pegno fin quando me lo avrai mandato?». 18 Egli disse: «Qual è il pegno che ti devo dare?». Rispose: «Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano». Allora glieli diede e le si unì. Essa concepì da lui. 19 Poi si alzò e se ne andò; si tolse il velo e rivestì gli abiti vedovili. 20 Giuda mandò il capretto per mezzo del suo amico di Adullam, per riprendere il pegno dalle mani di quella donna, ma quegli non la trovò. 21 Domandò agli uomini di quel luogo: «Dov’è quella prostituta che stava in Enaim sulla strada?». Ma risposero: «Non c’è stata qui nessuna prostituta». 22 Così tornò da Giuda e disse: «Non l’ho trovata; anche gli uomini di quel luogo dicevano: Non c’è stata qui nessuna prostituta». 23 Allora Giuda disse: «Se li tenga! Altrimenti ci esponiamo agli scherni. Vedi che le ho mandato questo capretto, ma tu non l’hai trovata». 24 Circa tre mesi dopo, fu portata a Giuda questa notizia: «Tamar, la tua nuora, si è prostituita e anzi è incinta a causa della prostituzione». Giuda disse: «Conducetela fuori e sia bruciata!». 25 Essa veniva già condotta fuori, quando mandò a dire al suocero: «Dell’uomo a cui appartengono questi oggetti io sono incinta». E aggiunse: «Riscontra, dunque, di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone». 26 Giuda li riconobbe e disse: «Essa è più giusta di me, perché io non l’ho data a mio figlio Sela». E non ebbe più rapporti con lei.
Nel libro dei Proverbi al capitolo 31, sono contenute le parole di Lemuel che gli aveva insegnato sua madre, fra cui prima alcune raccomandazioni, come quella di Non dare il tuo vigore alle donne né i tuoi costumi a quelle che corrompono i re, esprimendo lo stesso concetto mediante il parallelismo dei due semi-versetti. Quindi dal v. 10 al 31 c’è la grande esaltazione della donna forte o di valore, la ešet ḥayil che è detta ben più preziosa delle perle. Certamente, a differenza del Cantico dei Cantici, in cui la sua preziosità sta nell’amore erotico e sessuale, nei Proverbi le sue doti sono tutte legate ai lavori della casa, è una vera e propria imprenditrice degli affari domestici, procura il cibo, i vestiti, prevede tutte le necessità a seconda delle varie stagioni, è piena di energia e le sue braccia di forza, insomma davvero perfetta e suo marito per questo è lodato alle porte della città. Quasi a fare da controcanto al Cantico, con espressioni contrarie a quella dell’amante che continua a celebrare la bellezza della sua donna amata, l’inno dei Proverbi alla donna forte termina con l’affermazione perentoria: Fallace è la grazie e vana la bellezza (Prov. 31,31).
Certamente la riflessione dell’Ecclesiaste o Qohelet, il cui pensiero è caratterizzato da un sano cinismo, da note di moderato edonismo e da una riflessione pessimista disincantata e sconsolata sulla condizione e la vita umana, presenta sulla donna tratti apparentemente opposti fra loro. Per lui c’è la stessa sorte per tutti, empi e santi, animali e uomini, come si può vedere in 8,1. 5-6; 9,1-9, idea confermata dal Salmo 49,6.
Da un lato il predicatore afferma, con che non c’è nessuna vita oltre la morte e combatte l’idea che esista una resurrezione che, nel III secolo a.e.v. quando egli scrive, stava iniziando a fare capolino nel mondo ebraico, come leggiamo al capitolo 9, 3-6:
3 Questo è il male in tutto ciò che avviene sotto il sole: una medesima sorte tocca a tutti e anche il cuore degli uomini è pieno di male e la stoltezza alberga nel loro cuore mentre sono in vita, poi se ne vanno fra i morti. 4 Certo, finché si resta uniti alla società dei viventi c’è speranza: meglio un cane vivo che un leone morto. 5 I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; non c’è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce. 6 Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole.
Per questo invita a godersi la vita fin che si può, quando si è giovani, perché con la vecchiaia verrà la depressione, come si legge in 9, 3-6:
7 Va’, mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha già gradito le tue opere. 8 In ogni tempo le tue vesti siano bianche e il profumo non manchi sul tuo capo. 9 Godi la vita con la sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace, che Dio ti concede sotto il sole, perché questa è la tua sorte nella vita e nelle pene che soffri sotto il sole. 10 Tutto ciò che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza giù negli inferi, dove stai per andare [nello Še’ol ossia il regno delle ombre, non l’inferno].
Ecco, tuttavia, per tornare al nostro tema, dopo aver invitato a godersi la vita con la propria donna, che al capitolo 7 la donna diviene qualcosa di negativo da cui tenersi alla larga, descritta essere amara come la morte:
26 Trovo che amara più della morte è la donna (u-moṣe ani mar mi-mawet et ha-išah), la quale è tutta lacci: una rete il suo cuore, catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge ma il peccatore ne resta preso. 27 Vedi, io ho scoperto questo, dice Qohelet, confrontando una ad una le cose, per trovarne la ragione. 28 Quello che io cerco ancora e non ho trovato è questo: Un uomo su mille l’ho trovato: ma una donna fra tutte non l’ho trovata (7, 26-28).
Il confronto fra la donna e la morte richiama immediatamente l’espressione del Cantico in cui in 8,6-7a si afferma che l’amore è forte come la morte, e la passione tenace come lo Še’ol, ossia non, come diverse traduzioni italiane rendono, gli inferi, che evocano l’inferno, ma il regno delle ombre, assai più simile all’Ade greco, dove tutti vanno e dove non c’è né premio né castigo:
6 Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! 7 Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo.
Il Siracide, libro deuterocanonico che non fa parte del canone della Bibbia ebraica, ha sulla donna una posizione ancora più tragica e negativa: è lei la responsabile della rovina dell’umanità e col suo peccato ha fatto entrare nel mondo la morte. Leggiamo infatti in questo libro che Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriamo” (Sir. 25,24). Questa affermazione mostra il clima culturale e teologico che Ben Sira respira ormai agli inizi del II secolo a.e.v., quando anche nel mondo ebraico è ormai entrata una ventata culturale caratterizzata da elementi dello gnosticismo e dello stoicismo, all’interno della cultura ellenistica, che si caratterizza nei movimenti ebraici che lo accolgono come di natura apocalittica.
Tuttavia, rileviamo anche nella sapienza di Yešu ben Sira un discrepanza schizofrenica nel capitolo 26, 1-18 che al tempo stesso esalta la donna con qualcosa che si avvicina ai toni positivamente erotici del Cantico dei cantici, quando dice La bellezza di una donna virtuosa adorna la sua casa, Lampada che arde sul candelabro santo, così la bellezza del volto su giusta statura. Colonne d’oro su base d’argento tali sono gambe graziose su solidi piedi (Sir. 26, 16-18), e i versetti 26, 5-12, che differenzio graficamente nella citazione seguente mettendo a sinistra la parte positiva e a destra quella negativa in cui la donna è davvero danno, pericolosa presenza diabolica e tentatrice da cui guardarsi:
Positivo
1 Beato il marito di una donna virtuosa
il numero dei suoi giorni sarà doppio.
2 Una brava moglie è la gioia del marito,
questi trascorrerà gli anni in pace.
3 Una donna virtuosa è una buona sorte,
viene assegnata a chi teme il Signore.
4 Ricco o povero il cuore di lui ne gioisce,
in ogni tempo il suo volto appare sereno.
Negativo
5 Tre cose teme il mio cuore,
per la quarta sono spaventato:
una calunnia diffusa in città, un tumulto di popolo
e una falsa accusa: tutto questo è peggiore della morte;
6 ma crepacuore e lutto è una donna gelosa di un’altra
e il flagello della sua lingua si lega con tutti.
7 Giogo di buoi sconnesso è una donna malvagia,
colui che la domina è come chi acchiappa uno scorpione.
8 Gran motivo di sdegno una donna ubriaca,
non riuscirà a nascondere la vergogna.
9 La scostumatezza di una donna è nell’eccitazione degli sguardi,
si riconosce dalle sue occhiate.
10 Fa’ buona guardia a una figlia libertina,
perché non ne approfitti, se trova indulgenza.
11 Guardati dal seguire un occhio impudente,
non meravigliarti se ti spinge verso il male.
12 Come un viandante assetato apre la bocca
e beve qualsiasi acqua a lui vicina,
così essa siede davanti a ogni palo
e apre a qualsiasi freccia la faretra.
Positivo
13 La grazia di una donna allieta il marito,
la sua scienza gli rinvigorisce le ossa.
14 E’ un dono del Signore una donna silenziosa,
non c’è compenso per una donna educata.
15 Grazia su grazia è una donna pudica,
non si può valutare il peso di un’anima modesta.
16 Il sole risplende sulle montagne del Signore,
la bellezza di una donna virtuosa adorna la sua casa.
17 Lampada che arde sul candelabro santo,
così la bellezza del volto su giusta statura.
18 Colonne d’oro su base d’argento,
tali sono gambe graziose su solidi piedi.
La svolta del IV secolo con l’affermarsi dell’apocalittica giudaica fra gnosi e stoa
Infatti, già dal IV secolo a.e.v. si diffondono fra alcuni movimenti ebraici concezioni e idee completamente nuove e che non hanno nulla a che fare con quelle che si erano o si stavano fissando nei libri sacri che verranno a costituire la Bibbia ebraica.
Questa vera e propria ventata culturale nata da influssi gnostici e stoici, con la loro concezione negativa della sessualità, e assolutamente pessimistica della condizione umana. In mix di queste ideologie che si erano imposte nella cultura greco-ellenistica assumeranno nel giudaismo degli ultimi tre secolo a.e.v. la forma letteraria e la concezione che chiamiamo apocalittica. Essa è caratterizzata da una concezione pessimistica dell’uomo, perché si ritiene che la natura umana sia stata intrinsecamente rovinata da un peccato compiuto nemmeno dall’uomo, e in una situazione collocata prima della storia e che vide degli esseri divini (elohim) lasciarsi sedurre da belle e attraenti donne, alle quali si unirono sessualmente. Da questa unione, peccaminosa prima di tutto per aver mescolato il livello divino con quello umano, e poi per aver compiuto un peccato sessuale, si connota come essenzialmente legata al sesso e al peccato della carne, sono nati degli esseri mostruosi e dei giganti. La donna diviene ormai la personificazione del male e del diavolo.[4]
Questa ideologia così pessimistica e negativa è stata ampiamente studiata da Paolo Sacchi,[5] Gabriele Boccaccini[6] e Piero Capelli,[7] in molte pubblicazioni italiane che hanno fatto scuola anche negli Stati Uniti.
La sessualità e la donna in Paolo
Considerando il Nuovo Testamento anch’esso come una fonte per lo studio del pensiero ebraico del I secolo e.v., troviamo in Paolo certamente il rigetto di posizioni radicali che giungevano a disprezzare il sesso e la carne al punto da proibire il matrimonio, come diverse sette dell’epoca fra cui Esseni, Terapeuti e Qumranici, come ha mostrato in un bel volume Laura Gusella,[8] ma anch’egli è stato influenzato dalla gnosi, dallo stoicismo e dall’apocalittica per le quali il sesso è un male necessario, e certamente subito, perché l’ideale resta la consacrazione verginale che a tutti l’apostolo suggerisce, a meno che non bruci, e allora gli si concederà il remedium concupiscentiae lasciandolo sposare. Si potrebbe definire la sua come una concezione minimalista della vita sessuale, molto diffusa nel mondo antico.
Intanto pe Paolo la donna è in qualche modo funzionale all’uomo e non viceversa come scrive nella 1 Lettera a Timoteo: Poiché non l’uomo è per la donna; ma la donna per l’uomo. Nè l’uomo è stato creato per la donna, ma la donna per l’uomo (1 Tim 2, 8-14; cfr. Ef 5, 22-24; 1 Cor 14, 34-35; 1 Cor 11, 7-9).
Paolo secondo alcuni sarebbe stato influenzato nella sua concezione del sesso dalla convinzione dell’imminenza della parusia di Cristo, alla quale poi è subentrata una progressiva e continua dilazione dell’evento.
Certamente Paolo nella lettera agli Efesini ha pagine belle sul matrimonio come sacramento dell’unione fra Cristo e la Chiesa, ma nel capitolo VII della I Lettera ai Corinti espone chiaramente la sua posizione: il matrimonio non è male, ma la verginità è meglio. Egli suggerisce la verginità e confronta la condizione della donna sposata e di quella vergine arriva a un atteggiamento che più opposto alla concezione ebraica dell’unione fra uomo e donna non avrebbe potuto esserci.
25 Quanto alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. 26 Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa della presente necessità, di rimanere così. 27 Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla. 28 Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele. 29 Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; 30 coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; 31 quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo! 32 Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; 33 chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, 34 e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. 35 Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni. 36 Se però qualcuno ritiene di non regolarsi convenientemente nei riguardi della sua vergine, qualora essa sia oltre il fiore dell’età, e conviene che accada così, faccia ciò che vuole: non pecca. Si sposino pure! 37 Chi invece è fermamente deciso in cuor suo, non avendo nessuna necessità, ma è arbitro della propria volontà, ed ha deliberato in cuor suo di conservare la sua vergine, fa bene. 38 In conclusione, colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio. 39 La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore. 40 Ma se rimane così, a mio parere è meglio; credo infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio.
Nei versetti 32-34 che ho messo in corsivo Paolo mette Dio e il marito sullo stesso piano come due competitor nei confronti della stessa donna, considerando la donna come posta di fronte a due persone che se la contendono, ossia il marito e Dio, per cui, a evitare di essere divisa o lacerata interiormente dalla difficile situazione di dover assecondare tutti e due i pretendenti, è meglio che lasci stare il marito e sia tutta dedicata solo a Dio. Davvero, nulla di più opposto alla concezione del matrimonio presente nella Bibbia ebraica o, con le debite differenze dei deuterocanonici, nell’Antico Testamento.
San Paolo, tuttavia, ha sulla donna una frase che avrebbe potuto essere espansa fino a una vera esaltazione della donna e della sua totale parità all’uomo, quando nella Lettera ai Galati 3,27-29 egli afferma che Cristo, donando a tutti gli uomini la salvezza, ha abbattuto il muro delle grandi separazioni caratteristiche del mondo antico:
27 Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. 28Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. 29 E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.
Sarebbe stata una affermazione fortissima e chiara per dare alla donna una posizione elevata e di onore nel cristianesimo!
David Biale nel suo bel volume su L’eros nell’ebraismo. Dai tempi biblici ai giorni nostri, Rileva come a differenza del cristianesimo, il giudaismo rabbinico ratifica e accetta la visione antica positiva che la Bibbia ebraica aveva della sessualità, restando in qualche modo in una “posizione contrapposta all’ascetismo degli stoici e dei Cinici, e anche a quello degli appartenenti alle sette religiose ebraiche dell’epoca del Secondo Tempio e dei primi Padri della Chiesa. Per questi diversi gruppi la procreazione non era necessariamente il bene sommo e la totale astinenza veniva spesso esaltata”.[9]
L’autore cita un interessante testo greco-ebraico da Le sentenze dello Pseudo-Focilide scritto fra il 50 a.e.v. e il 150 e.v., nel quale si trova un equilibrio fra una sana e positiva accettazione della sessualità ma con la moderazione che caratterizzerà i testi rabbinici sull’argomento:
Non rimanere celibe affinché tu non muoia senza nome. Dai alla natura ciò che le è dovuto, genera a tua volta come tu fosti generato. Non fare oltraggio a tua moglie con pratiche sessuali vergognose. Non trasgredire i limiti naturali della sessualità per un sesso illecito. E non permettere alle donne di imitare il ruolo sessuale degli uomini. Non darti totalmente a una sessualità sfrenata nei confronti di tua moglie. Perché “Eros” non è un dio ma una passione che tutto distrugge.
Il sesso, pure in una visione non sessuofobica come quella che nella stessa epoca si andava diffondendo, resta tuttavia legato alla procreazione, nega l’omosessualità e i rapporti lesbici, e mette in guardia da un uso sfrenato ed eccessivo di questo istinto.[10]
Un’eccellente analisi sul tema della sessualità nella Chiesa è stata fatta dallo studio di Uta Ranche-Heinemann, sulla sessualità nel cristianesimo e nella Chiesa cattolica, rigorosamente basata su citazioni della letteratura filosofica, teologica e patristica, dall’antichità ai giorni nostri.[11] Interessante per il nostro tema il capitolo 1 sulle Radici non cristiane del pessimismo cristiano in campo sessuale alle pp. 11-21.
Alcuni testi del giudaismo rabbinico sulla donna
È nota la disputa sul significato di una benedizione contenuta nel Talmud, Menaḥot 43b, nella quale l’ebreo maschio la mattina prega ringraziando Dio di non averlo fatto nascere donna o di altre condizioni di inferiorità: L’uomo è obbligato a pronunciare tre benedizioni al giorno: che egli (Dio) mi ha fatto ebreo, che non mi ha fatto donna, che non mi ha fatto zotico, che nelformulario delle preghiere diventa: Ti ringrazio Signore che non mi hai fatto pagano, schiavo o donna.
Lo zotico, come spiega la Mishnah in Avot 2,6, non teme il peccato. La spiegazione apologetica che il significato della benedizione sarebbe quello che l’uomo ringrazia Dio per aver avuto il privilegio derivante dall’obbligo di osservare i precetti, lascia il tempo che trova e non convince.[12]
Un bel passo tratto dal Midrash Genesi Rabbah 17,7 ilustra il potere che ha la donna di influenzare positivamente o negativamente l’uomo quando dice:
Si racconta di un uomo pio che aveva sposato una donna pia; non avendo avuto figli, divorziarono. L’uomo andò e sposò una donna malvagia che lo rese malvagio. La donna andò e sposò un uomo malvagio e lo rese giusto. Tutto, dunque, dipende dalla donna.
Altri passi affermano che Dio per creare la donna non si servì della testa dell’uomo, né dell’occhio, né dell’orecchio, della bocca, della mano o dei piedi, ma scelse la costola perché era una parte del corpo nascosta al fine che la donna fosse modesta (Genesi Rabbah 18,2). Si afferma nello stesso testo che le donne sono golose, curiose, pigre e gelose e a volte piagnucolose e loquaci (Genesi Rabbah 45,5). Quanto alla loquacità, ci pensa il Talmud, nel trattato Qiddušin 49b a dare la spiegazione: Dieci misure di parole discesero dal mondo; le donne ne presero nove e gli uomini una.
Per il trattato Talmudico Mo‘ed qaṭan alle donne piace tingersi gli occhi, farsi i riccioli, tingersi il volto di rosso, mentre alcuni passi dicono che le donne sono propense a traticare l’occultismo e la magia mediante sortilegi (Talmud, Yoma 83b;Mishnah, Avot, 2,8; Talmud, Sanhedrin 67a), e per questo la strega deve essere messa a morte come ordina Esodo 22,18.
Non mancano, tuttavia, grandi lodi: le donne sono di mente illuminata (Talmud, Šabbat 33b), e addirittura l’affermazione forte che Dio ha donato alla donna più intelligenza dell’uomo! (Talmud, Niddah 45b).
Il contesto culturale e ideologico della qabbalah nel sec. XII e la sua contestazione della filosofia aristotelica
Per comprendere il significato di questo testo, occorre tracciare qualche linea del contesto culturale dell’ebraismo dell’epoca in cui essa fu composta. Nel pensiero ebraico l’originaria concezione della sessualità che emerge dalla Bibbia è stata progressivamente abbandonata a favore di concezioni filosofiche di matrice gnostica, greco-ellenistica e, a Medioevo inoltrato, aristotelica che hanno gettato in maniera crescente una luce negativa e pessimistica su questa dimensione fondamentale dell’essere umano.
Come abbiamo appena visto, questo processo è iniziato presto, già con l’insinuarsi nel giudaismo rabbinico di linee di pensiero misogine non presenti nella Bibbia, ed ha raggiunto il suo culmine con l’affermarsi della filosofia aristotelica, nella mediazione operata da Maimonide. La concezione della sessualità viene radicalmente snaturata rispetto alla sua disinibita e positiva caratterizzazione biblica.
È la mistica ebraica del sec. XIII che si assume il compito di contrastare questo incredibile snaturamento della sessualità, riaffermandone la positività a partire dal concetto di creazione, come realtà positiva in cui l’uomo – lungi dall’esprimere la sua più bassa animalità – realizza l’immagine divina.
Se prendiamo in considerazione la Bibbia ebraica, certamente è chiaro come la dimensione erotico-sessuale sia stata perfettamente integrata nella sua Weltanschauung, del tutto libera da visioni pessimistiche e negative del sesso e della corporeità, mentre non trova posto in essa alcuna forma di sessuofobia, grazie ad un’antropologia profondamente ancorata alla dottrina della creazione compiuta da Dio, in cui tutto è “molto buono”.
Nell’ebraismo il rapporto sessuale è considerato generalmente come il segno del vincolo che assicura l’unione di due persone per tutta la vita nel reciproco sostegno, nel piacere, nella procreazione e nell’educazione dei figli. Non c’è nell’ebraismo l’ossessionante concetto che i rapporti sessuali siano, in qualche modo peccaminosi. Il corpo umano non è stato né divinizzato né rinnegato. (…) Il fatto che la pratica del sesso sia accompagnata da intenso piacere è, per il credente, un’ulteriore prova della bontà di Dio.[13]
L’assenza nel giudaismo del periodo pre-esilico e in quello del Secondo tempio di qualcosa di equivalente alla dottrina del peccato originale ed alla conseguente visione di una natura umana decaduta e in potere del male, lo hanno preservato da visioni negative e pessimistiche della condizione umana, almeno fino allo sviluppo dell’apocalittica giudaica negli ultimi secoli prima dell’era volgare.
Nei testi della letteratura profetica e nel Cantico dei cantici, la dimensione erotica diviene uno degli ambiti privilegiati dell’esperienza umana scelti al fine di illustrare alcune dimensioni fondamentali del rapporto stesso fra Dio e Israele. Scrive a questo proposito Moshe Idel: “Si tratta evidentemente di una parte del mito nazionale che trasfigura la nazione nella sua interezza in un’entità che intrattiene una relazione sessuale con l’altra entità, la divinità. Questa relazione mitica ha poco a che vedere con una mistica”[14].
Una dimensione percepita e vissuta in una luce di insospettata positività, in un atteggiamento naturale e disinibito che, anzi, vede nella dimensione erotica e sessuale uno degli aspetti della vita umana più adatti ad esprimere qualcosa della realtà divina. Se è fuor di dubbio che l’esegesi ebraica tradizionale del Cantico è stata – come anche quella cristiana – di carattere allegorico, ciò nulla toglie alla valorizzazione dell’esperienza erotica e sessuale dei due amanti protagonisti del poema, con la descrizione della bellezza del corpo della donna, esaltato anche nei suoi particolari: ombelico, seno, cosce, ventre, ecc.
Scrive Luciano Caro:
L’erotismo di cui è permeato il Cantico dei Cantici, è considerato dalla Bibbia normale e degno della massima considerazione in quanto è alla base di varie forme di corteggiamento finalizzato al matrimonio. Nella Bibbia sono presenti frequenti esempi di erotismo per così dire ‘teologico’. I Profeti si servono spesso di immagini erotiche per descrivere il rapporto tra Dio e Israele.[15].
Nella concezione del giudaismo rabbinico il comportamento umano è la risultante tra le due pulsioni fondamentali che Dio stesso ha posto nell’uomo: l’istinto cattivo (yeṣer ha-ra‘)e l’istinto buono (yeṣer ha-tov), dove è significativo che anche quello cattivo è stato posto nell’uomo dal creatore. In alcuni testi rabbinici ci si chiede se esso sia in realtà interamente cattivo e pare che la risposta prospettata sia negativa: “Se non esistesse l’istinto cattivo – osserva il Genesi Rabbah 9,7 – l’uomo non costruirebbe case, non si sposerebbe, non avrebbe figli e non si dedicherebbe agli affari”.
Sembra, dunque, esserci una misteriosa necessità anche dell’istinto cattivo, suggestione che pare in qualche modo anticipare di diversi secoli la dottrina cabbalistica della necessità del male nel processo di manifestazione sefirotica delle emanazioni divine, successive al ritrarsi di Dio per far posto alla creazione. L’ebraismo non è mai giunto – se si eccettuano i settari di Qumran, la setta dei Terapeuti e il movimento di Gesù nella misura in cui è uno sviluppo assolutamente interno al giudaismo – a considerare un valore l’astinenza sessuale o a gettare sulla sessualità l’ombra del disprezzo, in maniera analoga alla sessuofobia che ha caratterizzato alcune tendenze del pensiero cristiano fin dai primi secoli.
Le concezioni sessuofobe che si diffondono con forza negli ultimi secolo prima dell’era volgare, hanno causato nei movimenti ebraici che si sono lasciati influenzare dall’apocalittica e dalla gnosi, una vera e propria l’evoluzione nel giudaismo del concetto di impurità, in greco porneia,[16] che da fatto legato al sacro e teso a difendere l’integrità umana dalla potenza della vita e della morte, diventa sempre di più convergente fino a identificarsi con il peccato sessuale come l’essenza stessa del peccato che contamina l’uomo non più in senso ontologico senza alcuna colpa morale, ma come infrazione essenzialmente etica; ciò parallelamente allo svilupparsi di una visione negativa della donna, che si colloca fra una crescente misoginia e la rappresentazione di essa come incarnazione della potenza del male e della seduzione diabolica.
La sessualità nell’ebraismo – seppur con alcune eccezioni anche di rilievo a cui accennerò – è stata in genere integrata positivamente nel rapporto fra Dio e l’uomo; nulla di più estraneo ad esso del sospetto che il rapporto sessuale tra l’uomo e la donna possa ledere o rendere meno pieno il rapporto dell’uomo con Dio (lo sposo o la sposa non sono qualcosa di alternativo a Dio), oppure dell’idea che il legame matrimoniale crei nell’uomo una divisione interiore, difficilmente componibile, tra amore per Dio e amore per la sposa, secondo quanto afferma Paolo (1 Cor. 7,32-34: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!), suggerendo conseguentemente come più perfetto e migliore uno stato di astinenza e di consacrazione totale a Dio, meglio atto a realizzare una relazione più piena ed indivisa con lui. È nota la convinzione tradizionale ebraica che, nel momento dell’unione sessuale fra uomo e donna, se questa è compiuta in santità, la divina presenza o Shekinah scende, incombe sul loro amplesso e vi partecipa come partner nella procreazione. L’unione fisica, lungi dall’allontanare l’uomo dalla divinità, nel pensiero rabbinico e nella mistica ebraica è uno strumento per richiamarla vicino alla vita umana e per collaborare alla procreazione, i cui partners nella tradizione ebraica sono appunto tre: l’uomo, la donna e Dio.
Occorre precisare che la proibizione contenuta in alcuni passi della Bibbia ebraica di accostarsi a donna prima di una battaglia o per i sacerdoti, prima di celebrare atti di culto, non possono essere intesi come indecorosa e inopportuna contaminazione di tipo morale, bensì come una forma di depotenziamento dell’uomo, che, al contrario, deve affrontare questi impegni nella pienezza del suo vigore. Nella concezione dell’Israele antico, originariamente il concetto di impuro non riveste alcuna connotazione di tipo morale. Il contrarre qualsiasi forma di impurità, sia nella sfera della vita (mestruazione, polluzione ecc.) sia in quella della morte (contatti con cadaveri o malattie), nell’ideologia dell’Israele antico, non ha nulla di etico, essendo connotato come un fatto ontologico incolpevole. La contaminazione deriva da un contatto diretto con entità che non sono alla portata dell’uomo, trattandosi di realtà infinitamente più potenti di lui, in stretta relazione con Dio (vedi la convergenza fra i concetti di sacro-impuro), e che potrebbero annientarlo, allo stesso modo in cui nessuno può vedere Dio e restare in vita. Le impurità relative al ciclo vitale (la puerpera, il flusso mestruale, l’atto sessuale e il sesso stesso e la proibizione dei rapporti sessuali durante il periodo mestruale) sono connesse al “principio vitale” sentito come appartenente alla sfera del divino.[17] Certamente, anche questo concetto ha subìto una evoluzione nel pensiero ebraico dal periodo antico al sorgere dell’apocalittica, soggiacendo ad una certa ambiguità di interpretazioni, sfociata in due concezioni che hanno avuto differenti sviluppi.
Ritengo che in linea generale il giudaismo rabbinico abbia conservato un atteggiamento più positivo verso la corporeità e la sessualità proprio per essere stato consapevolmente refrattario e chiuso all’influsso di queste matrici culturali, restando più ancorato alla radice del pensiero biblico, in particolare all’idea della positività della creazione.
Nella concezione gnostica – scrive Idel – il mondo inferiore deve sforzarsi di copiare la regola superiore dell’androginia o della asessualità. L’attitudine gnostica risulta essere a certo riguardo simile all’attitudine cristiana di fronte alla sessualità: esse costituiscono un aspetto importante del loro più generale rigetto di questo mondo; le escatologie gnostiche e cristiane propongono una salvezza spirituale che riguarda sia la restaurazione dell’androginia paradisiaca sia uno statuto di asessualità per il credente. (…) L’ascetismo cristiano non è altro che un’attitudine più moderata [scil. dello gnosticismo] verso la condizione temporanea del mondo fino alla seconda venuta del Salvatore. L’istinto sessuale è stato sia obliterato, sia parzialmente sublimato sotto forma dell’amore del Cristo.[18]
In particolare la Qabbalah, all’interno dell’ebraismo, piuttosto di tentare di sopprimerla o di sublimarla, ha cercato di integrare la libido all’interno della sua visione del divino e delle sue emanazioni e di valorizzarla come atto teurgico che incrementa la presenza divina nel mondo e favorisce il processo sefirotico di restaurazione della pienezza della divinità, dopo la sua contrazione (ṣimṣum) resasi necessaria dall’atto creativo.
Certamente, se una visione più positiva e meno sessuofobica pare essere prevalente – con le debite eccezioni – nell’ebraismo, per completezza e oggettività occorre menzionare anche alcuni movimenti che hanno sviluppato tendenze di segno opposto. Mi riferisco ad esempio al Chassidismo tedesco dei secoli XII-XIII, fiorito pressoché contemporaneamente al movimento cabbalistico che ha prodotto la nostra Lettera, e che ha espresso le sue idee nel Sefer ḥassidim. Nella sua visione la donna diviene un essere problematico all’interno di una ideologia della “rinuncia ascetica [che] si fonda su una buia e spesso alquanto pessimistica valutazione della vita. (…). Il ḥassid deve lottare contro tutto ciò che lo attira nella vita di ogni giorno…chi ora si tiene lontano dalle tentazioni di questo mondo, e allontana il suo sguardo dalle donne, in seguito vedrà lo splendore della Šekinah, la Gloria, e nell’aldilà avrà il suo posto tra gli angeli”[19].
Ancor più marcate sono le forme di sessuofobia insinuatesi nel Ḥassidismo polacco dei secc. XVII e XVIII, come reazione agli eccessi di movimenti come il Sabbatianesimo e il Frankismo o di altre sette che avevano infranto il divieto dell’incesto affermando forme sfrenate di vitalismo che si esprimeva in pratiche orgiastiche intese come via mystica verso il divino. “Il rischio che ha atteso al varco la cabala ebraica medioevale non riguardava tanto una spiritualità esagerata che disprezzava l’amore ‘carnale’, quanto un’esplosione di relazioni sessuali percepite come positive al di là dei limiti della halakah”.[20] È questo il motivo per cui si assiste in alcuni movimenti come il Chassidismo ad una reazione di segno contrario, caratterizzata da una diffidenza verso la sessualità e dall’abbandono dell’uso del simbolismo sessuale.
Questo atteggiamento ha raggiunto la sua massima manifestazione nel movimento del pietismo ashkenazita del sec. XII e in quello posteriore degli Haredim[21] (letteralmente: i tremanti, i pii), ossia gli ultra-ortodossi insediatisi in Israele e negli Stati Uniti prima e dopo la loro quasi totale distruzione perpetrata dalla Shoah. Per essi lo scopo esclusivo del rapporto sessuale è la procreazione e in esso il piacere non deve avere alcun ruolo. In alcuni gruppi più rigoristi “i rapporti sessuali fra una coppia di sposi devono essere i più brevi e privi di emozioni che sia possibile, mentre anche solo il desiderio di un’esperienza sessuale più prolungata è considerata come eccessiva e peccaminosa”[22].
È risaputa la pratica diffusa fra alcuni di loro per cui marito e moglie si uniscono sessualmente nel tempo più breve attraverso un foro praticato in un lenzuolo, in modo che le altre parti del corpo non vengano a contatto fra loro e non si veda la nudità del partner. Questi movimenti, sviluppatisi nell’Europa centro-orientale dal Medioevo avanzato all’epoca moderna, con aspetti di continuità che giungono fino ai nostri giorni, secondo alcuni autori potrebbero essere stati influenzati, oltre che da tendenze pietiste, anche da Maimonide e della sua sintesi fra filosofia aristotelica e giudaismo. Essi non costituiscono la linea di pensiero prevalente all’interno della tradizione ebraica, mentre mostrano per alcuni aspetti una certa convergenza con l’attitudine del cristianesimo verso la sessualità. È stata la qabbalah rifiorita nel sec. XIII ad assumersi il compito di esprimere con maggiore ricchezza la valorizzazione della dimensione sessuale nella costruzione del suo sistema simbolico, prendendo le sue difese contro il suo deprezzamento operato dalla filosofia nella sua forma neoplatonica ed aristotelica, entrata quest’ultima con Maimonide in maniera massiccia nel giudaismo. L’operetta di cui ci occupiamo è forse il testo che in maniera più diretta ed esplicita compie questa operazione: in esso per la prima volta all’interno del giudaismo si dedica una riflessione esplicita e organica al significato dell’unione sessuale elaborando una vera mistica del matrimonio.
La donna ne La lettera sulla santità del rapporto sessuale
L’operetta di cui ci stiamo occupando fu per secoli erroneamente attribuita a Mosheh ben Naḥman o Nachmanide (Gerona 1194-Terra santa 1270), uno dei primi e più importanti cabbalisti delle cerchie catalane,[23] ma in realtà composta da Yosef Gikatilla. Si tratta di un breve trattato in forma di lettera che ha avuto una grande fortuna ed una vasta diffusione, circolato in molti manoscritti e edizioni a stampa con titoli diversi: Ša‘are ha-ṣedeq (Le porte della giustizia), attestato nei sei manoscritti più antichi; Sefer Qedušah (Libro sulla santità), Iggeret ha-Qodesh (Lettera sulla santità), Sod ha-ḥibbur (Il segreto dell’unione sessuale), ‘Inyan ḥibbur ha-Adam el išto (L’unione sessuale dell’uomo con la sua donna) e Ḥibbur iš we-išto (L’unione sessuale dell’uomo con la sua donna).
La Lettera sulla santità altrimenti nota anche come Porte della giustizia e Il segreto dell’unione sessuale. Non si può affrontare lo studio di questo testo, che considero un piccolo gioiello della rappresentazione che l’ebraismo della fine del sec. XIII ha dato di sé sotto l’impulso del rinnovato interesse per le dottrine esoteriche, senza rifarsi al magistrale studio che le ha dedicato Charles Mopsik, apparso nel 1986.[24] L’operetta è stata quasi unanimemente attribuita a Mosheh ben Nachman o Nachmanide (1194-1270), fino a che Gershom Scholem nel 1944 ha dimostra sulla base dello stile e del contenuto che non può essere sua, e ha proposto di attribuirla al cabbalista castigliano, discepolo di Abulafia, Yosef Gikatilla (1246 ca.-1325) che si è dedicato al mistero dell’unione sessuale anche nella sua opera Ginnat egoz (Il giardino delle noci)[25]. La Lettera, probabilmente composta tra il 1290 e il 1310, conobbe una larghissima fortuna, come attestano i manoscritti e le varie edizioni a stampa. Per quanto riguarda i primi ne abbiamo contati ben 38 giunti fino a noi, di cui il più antico, conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, fu copiato a Lerida nel 1328, verosimilmente pochi decenni dopo la composizione dell’originale. Esso si aggiunge ad altri tre manoscritti del sec. XIV. Si potrà osservare come su 38 manoscritti 8 siano vergati in grafia sefardita mentre ben 18 siano stati copiati da scribi italiani e solo 4 da scribi ashkenaziti; questo potrebbe dimostrare l’importanza che la nostra penisola ebbe nel diffondersi e consolidarsi della mistica ebraica nei secoli XV e XVI.
L’operetta ha avuto una vastissima difusione, se si considera che è conservata in quasi una quarantina di manoscritti, perm l’esattezza 38 manoscritti, che ho elencato in altra sede.[26]
Quanto alle edizioni a stampa, la Lettera vide l’editio princeps a Roma nel 1546, e successive tirature nelle seguenti città: Basilea 1580, Cracovia 1594, Salonicco 1595, Altona 1789, Berlino 1793, Lemberg 1858, Amsterdam 1928, Gerusalemme 1930. Recentemente è stata ripubblicata da Ch. D. Chavel (Gerusalemme 1963 assieme agli scritti di Nachmanide a cui l’editore continua ad attribuirla), da I. Zelig Margaliot e B. Klatzkin (Gerusalemme 1971), mentre una pregevole edizione critica è stata curata da S.J. Cohen (New York 1976). L’operetta è stata tradotta in latino, inglese, tedesco, yiddish, francese e italiano.[27]
I primi cabbalisti a citare la lettera sono Menaḥem Recanati, vissuto in Italia centrale tra la fine del sec. XIII e la prima metà del XIV, e Yeoshua‘ ibn Shuaib (prima metà del sec. XIV). Molte sono le fonti dirette e indirette dell’opera.[28] Le concezioni della medicina ippocratea, e quelle aristoteliche relative all’origine del seme maschile, assieme a quelle di Galeno sui processi digestivi, erano diffuse nel Medioevo dopo la riscoperta dei classici e sono riprese anche dall’autore della Lettera.[29] Molte sono, naturalmente, anche le fonti rabbiniche, dai testi talmudici e halakici, ai grandi medievali, fra cui Maimonide, il cui pensiero, pur essendo aspramente criticato su alcuni punti dal nostro autore, costituisce parte integrante della sua visione del mondo e del giudaismo. Molti sono anche gli influssi di opere specificamente cabbalistiche fra cui quelle di Ezra e Ariel da Gerona, Nachmanide, Mosè da Burgos, Yaaqov ha-Kohen da Soria, Todros Abulafia, Mosè de Leon, mentre, com’è ovvio, ci sono molti punti di convergenza fra la Lettera e le opere di Yosef Gikatilla, che ne è l’autore.
Venendo più particolarmente alla sua concezione della donna e al rapporto sessuale, che ovviamente è sempre inteso fra due persone sposate, occorre dire che Nachmanide – e questa è una ulteriore prova del fatto che non può esserne lui l’autore – afferma che esso è tollerato solo come mezzo necessario alla procreazione, mostrandosi in questo ancor più rigorista di Maimonide, che nell’atto sessuale vede anche uno scopo terapeutico di scarica della tensione istintuale dell’uomo. Nel suo commento a Lev. 18,6 così scrive il maestro di Gerona: “Sappi che il rapporto sessuale è cosa considerata sconveniente e disprezzata dalla Torah, salvo che per perpetuare la specie, per cui il rapporto da cui non nasce nulla è proibito allo stesso modo di quello che non è in grado di procreare e non raggiunge il suo scopo: essi sono proibiti dalla Torah”.
A differenza di questa concezione riduttiva, i cabbalisti in genere insistono non tanto sul valore procreativo dell’atto sessuale, quanto piuttosto sulla sua capacità di accrescere l’immagine di Dio sulla terra e di attrarre su di essa la presenza divina.
Ma veniamo ora ad un esame diretto del testo della lettera. Essa presenta la forma letteraria appunto della lettera, strutturata in sei capitoli “come i bracci del candelabro”, strutturata in una specie di dialogo tra il maestro-autore ed un fittizio fratello-discepolo-lettore. L’impostazione, evidentemente, non è di tipo halakico ma teoretico, mentre lo scopo che l’autore di prefigge è di svelare i segreti per cui l’atto sessuale possa essere compiuto “in nome del cielo”, ossia in maniera santa, svelandone le condizioni perché sia santo e pienamente soddisfacente, nel rispetto della sposa, rivelandone i segreti nessi con il cibo consumato prima dell’atto stesso e la sua digestione, il segreto della forza del pensiero e dell’intenzionalità al fine di generare prole santa, nonché le potenzialità teurgiche di attrarre e incrementare la divina presenza sulla terra.
Passiamo ora in rassegna i concetti principali esposti nei singoli capitoli. Nel II si parla dell’essenza dell’unione sessuale affermando che essa, se compiuta al momento giusto e con la giusta intenzione, è cosa santa e pulita e produrrà una goccia di seme santo, che darà vita a figli santi.
Non bisogna affatto pensare che l’unione carnale sia di per sé qualcosa di scabroso e di brutto, anzi, quando avviene nel modo giusto si chiama conoscenza.[30]
Ma l’atto è una forma di conoscenza in maniera direttamente proporzionale al suo grado di santità, perché “se nell’atto non c’è grande santità, l’unione carnale non può chiamarsi conoscenza”. Con questa affermazione l’autore colloca saldamente l’atto sessuale quasi al vertice del processo sefirotico, perché l’uomo simboleggia la seconda sefirah ossia Ḥokmah-sapienza che emana a destra, mentre la donna simboleggia la terza sefirah: binah-intelligenza che emana a sinistra: dalla loro unione ha origine la sefirah Da‘at-conoscenza, che si trova al vertice dell’asse centrale discendente dell’albero sefirotico. L’unione carnale dell’uomo e della donna realizzano l’unione delle più alte emanazioni divine ed interagiscono positivamente nel processo stesso di manifestazione della divinità, come parte integrante del ma‘aseh merkavah mediante la loro unione e del ma‘aśeh be-re’shit quando essa procrea una nuova vita: “questo è il segreto dell’uomo e della donna secondo le vie occulte della qabbalah interiore”.
L’autore lancia la sua sferzante critica a Maimonide e alla filosofia aristotelica, da lui assunta come nuovo contenitore categoriale per un ripensamento radicale ed una nuova inculturazione del giudaismo accusandola di aver travisato la concezione positiva della Bibbia. Ecco la critica:
Le cose non stanno come pensa e ritiene il rabbi Mošeh (Maimonide) di beata memoria, nella Guida dei perplessi: qui egli elogia Aristotele per quel che ha detto, e cioè che ‘il senso del tatto è un’onta per noi’. Non sia mai. Le cose non stanno affatto come ha detto il greco impuro (scil. Aristotele) e infatti nella sua affermazione vi è una traccia di eresia che è passata inavvertita; se avesse creduto al fatto che il mondo è stato inventato per volontà, questo maledetto greco non avrebbe certo detto ciò.
Vi è qui una decisa affermazione della bontà anche dell’aspetto fisico, sensibile e corporeo dell’uomo, compresi i suoi organi genitali, è basata dall’autore sul concetto di creazione buona.
Se dicessimo che la congiunzione carnale è cosa oscena, ne deriverebbe che gli organi della copula sono organi della vergogna. Ma ecco che è stato il Signore benedetto a crearli… Dunque, se gli organi della copula fossero cose oscene, come avrebbe potuto il Signore benedetto creare alcunché di malformato, osceno o difettoso? Se fosse così ne risulterebbe che le sue opere non sono perfette… È detto inoltre: Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono (Gen. 1,31).
Al contrario un membro del corpo è buono o cattivo a seconda di quello che fa, non per quello che è in se stesso: come la mano è santa se scrive il rotolo della Torah ed è malvagia se uccide, così gli organi genitali sono santi se servono a realizzare un’unione santa e sono da condannare se infrangono i precetti, commettendo ad esempio unioni sessuali illecite o un’unione non santa. L’unione carnale santa evoca e realizza l’unione mistica dei carri divini uniti, immagine del maschio e della femmina, o ancora l’unione dei cherubini. Questa affermazione è rafforzata con la citazione della tradizione midrashica per cui, quando l’uomo si congiunge alla sua donna con amore e santità, la Shekinah discende su di loro e adombra il loro amplesso; nei nomi ebraici di uomo e donna ’Ysh e ’IshaH è infatti presente la forma breve del nome di Dio YH. Se, al contrario, la loro unione non è santa, da ’Ysh e ’IshaH Dio si allontana e non resta che un fuoco distruttivo, come mostra il fatto che se togliamo dai nomi ebraici ‘uomo’ e ‘donna’ le lettere che ciascuno ha di diversa dall’altro, ossia YH (Yah) Dio, non resta che ESH, ossia fuoco. Dopo aver riferito l’idea talmudici che nella generazione dell’uomo ci sono tre soci, il padre, la madre e il Santo (Talmud, Niddah 31a).
Per la Lettera l’unione sessuale non è di natura animale ma, proprio compiendosi mediante la corporeità dell’uomo, esprime pienamente la sua umanità e la sua somiglianza con Dio e determina una unione spirituale fra l’umano e il divino.
Mopsik, citanto il Sefer ha-Bahir par. 168, così afferma: Compiere l’atto carnale non significa perpetuare la specie umana nella sua animalità mortale, ma accrescere la somiglianza con Dio, la divinità dell’uomo.[31]
Conformemente alle sue categorie aristoteliche, Maimonide associa l’uomo alla forma e la donna alla materia; quest’ultima è buona se e quando è dominata e plasmata dalla forma; è solo nella sua mascolinità che l’uomo è simile a Dio e non per la parte femminile della donna. Dunque l’imago Dei è riservata al maschio-forma, anche perché per Maimonide la donna-materia non ha cervello, mentre è solo per l’intelletto posseduto dall’uomo che egli è simile a Dio. In questo senso la donna nel rapporto sessuale non può esprimere alcun desiderio, poiché ciò equivarrebbe ad una grave insubordinazione e ribellione della materia contro la forma! Su questo punto, ossia la concezione del femminino – afferma Mopsik – filosofia e qabbalah si pongono agli antipodi[32]. Ma procediamo nell’esame dei capitoli successivi.
Il capitolo III tratta del momento adatto per l’unione. Il rapporto sessuale implica, se fatto in maniera non conveniente, un depotenziamento dell’uomo: per questo, riprendendo il Talmud, Berakot 22, l’autore afferma che l’uomo non deve stare sempre addosso alla sua sposa come un gallo alla gallina.
A questo punto l’atto sessuale viene integrato all’interno delle concezioni astrologiche dell’epoca, per cui gli astri esercitano un influsso positivo o negativo sulle azioni dell’uomo. Il tempo più adatto per l’unione coniugale è la notte dello Shabbat, perché questo è il fondamento del mondo e simulacro del mondo delle anime; durante la notte dello Shabbat si compie la rotazione della sfera in modo tale che l’uomo da essa può attingere forza, e compiere l’atto sessuale senza essere depotenziato.
Durante questo tempo santo, inoltre, la mente dell’uomo può unirsi all’anima intellettiva che durante lo Shabbat da Dio viene ricreata e donata come supplemento di anima a quella dei sei giorni feriali. Oltre al giorno adatto, vi è un momento propizio in riferimento sia al nutrimento da consumare prima dell’unione, sia all’ora della notte più adatta per essa. Occorre attendere, infatti, che il cibo sia stato digerito, poiché subito dopo il pasto, il sangue è mescolato alle sostanze nutritive, ribolle e non è limpido e cristallino. Questo avviene solo a digestione conclusa, quando il ribollire del pasto è terminato, e il sangue si tempera diventando limpido e puro; è infatti dal sangue che deriva direttamente la goccia di sperma che, a questo punto, sarà pura e limpida, mentre prima di aver raggiunto questo stato di quiete, essa, come il sangue, è torbida, sozza, fetida e corrotta e non potrà che generare figli empi, mentre da una goccia pura e limpida saranno generati figli santi. Queste condizioni favorevoli si verificano intorno alla seconda metà della notte. Ma l’unione sessuale riveste anche una valenza cosmica e rientra nelle leggi che regolano i ritmi cosmici del caldo e del freddo. Nella cosmologia antica, fatta propria dal Talmud e ancora diffusa all’epoca della redazione della nostra operetta, dal settentrione deriva il grande freddo e dal meridione il grande caldo; dato che l’atto sessuale deve compiersi in un clima temperato, occorre orientare correttamente nella stanza coniugale il letto fra settentrione e meridione, perché la goccia di seme non sia fredda, generando un figlio stupido e ignorante, né troppo calda, generando un figlio collerico e turbolento.
L’ultima affermazione, sulla scora di Lev. 12,2, si basa sulla concezione tradizionale talmudica per cui, se la donna emette il seme per prima, nascerà un maschio, mentre, se eiacula prima l’uomo, nascerà una femmina.
Vorrei, a proposito del tempo santo dello Šabbat come il più adatto e consigliato per compiere l’unione sessuale fra l’uomo e la donna, che rende presente e attua l’unione sponsale tra Israele e Dio simboleggiato dallo Shabbat-sposa, fare un confronto con alcune affermazioni patristiche relative ai rapporti sessuali dei cristiani nel giorno dedicato al Signore, il dies dominicus. Scrive Origene: “Sconsideratamente entra nel sacrario della chiesa chi dopo un rapporto sessuale e con la sua impurità viene per ricevere temerariamente il corpo di Cristo. Egli disonora e profana il Santo” (Selecta in Ezechielem, 7). Agostino, che auspicherebbe per l’uomo la possibilità di generare senza provare alcun piacere e con un semplice atto della volontà, col quale si comanderebbe agli organi genitali di generare senza libido, come si ordina ad una mano di scrivere (De civitate Dei, 14,16 e 23), afferma che il marito nel rapporto con la sposa “ama in lei il suo essere umano e odia il suo essere donna” (De sermone Domini in monte, 1,15 e 41). Per Agostino il rapporto sessuale uccide lo spirito e, di conseguenza, egli chiede l’astinenza sessuale alla domenica, nei giorni festivi, durante il catecumenato e la preghiera (De fide et operibus 6,8).
Ancora Agostino afferma: “Se infatti dal matrimonio si elimina questo [scil. la procreazione che ne è l’unico fine] i mariti non sono altro che turpi amanti, le mogli prostitute, il talamo un bordello e i suoceri dei ruffiani” (Contra Faustum 15,7).
Gerolamo, commentando il passo paolino di 1 Corinti 7,5: Non astenetevi tra voi se non per la preghiera e di comune accordo, temporaneamente e poi ritornate a stare insieme,rovesciandone completamente il senso, spiega che: “Se per il rapporto è impossibile la preghiera, a maggior ragione è impossibile ricevere il corpo di Cristo che è di più ..: lo dico in coscienza a coloro che si comunicano nello stesso giorno in cui hanno rapporti sessuali (Epistulae 48,15).
Colpisce l’atteggiamento esattamente opposto tra la concezione dominante dell’ebraismo e le affermazioni di alcuni padri in relazione a rapporto sessuale e giorno santo: il primo consiglia il rapporto sessuale nel giorno dello Shabbat, perché è un tempo santo, i secondi lo proibiscono come sconveniente e profanante proprio nella kuriake emera. Questo atteggiamento nel cristianesimo ha segnato fortemente la mentalità più diffusa sia a livello teologico sia popolare fino a non molto tempo fa, e dobbiamo attendere la dottrina del matrimonio e la riscoperta del valore della corporeità e della sessualità operata dal Concilio Vaticano II trent’anni fa, per assistere ad una vera rivoluzione epocale in questo campo.
Nel Nuovo Testamento, a differenza dell’Antico non c’è spazio per l’eros: lo dimostra il fatto che in esso il termine eros non compare neppure una volta, ma sempre quello di agape o filia. Questo è un problema lessicale assente nell’ebraico, dove esiste un unico termine ’ahavah (come del resto anche nell’italiano ‘amore’) che comprende tutti gli aspetti dell’amore dall’eros, alla filia, all’agape; Jenni, nel Dizionario Teologico dell’Antico Testamento, definisce ’ahavah come “Il rapporto fra persone (che abbraccia contemporaneamente Eros, Philia e Agape)”[33]. Questa tendenza, è già rilevabile anche nel giudaismo della diaspora alessandrina degli ultimi secoli prima di Cristo, che ha prodotto la versione greca della Bibbia ebraica. Anche nella Settanta, infatti, il termine eros compare solo due volte: la prima in Prov. 7,18 riferito al rapporto con la prostituta dove traduce l’ebraico ’ohavim plurale di ’ohav, amore; il secondo in Prov. 30, 15-16 dove compare all’interno del seguente proverbio numerico secondo la formula 3+1: Tre cose non si saziano mai, anzi quattro non dicono mai: basta! l’Ade, l’amore di una donna (eros gunaikos), il Tartaro, la terra mai sazia d’acqua, l’acqua e il fuoco che non dicono mai: ‘basta!”. L’espressione greca eros gunaikos, ossia ‘l’amore erotico per la donna’, suona nel testo ebraico ‘oṣer racham, ossia ‘sterilità’, lett. ‘chiusura dell’utero’, mentre Gerolamo ha: os vulvae che sembra più vicino al senso del testo greco. Il testo deve essere, ad ogni modo, corrotto, perché le cose elencate dalla Settanta, nonostante la formula numerica introduttiva 3+1, attestata unanimemente da ebraico, versione greca e latina, non sono quattro ma sei. Un’altra osservazione linguistica interessante si può fare a proposito del passo di Cantico 8,6: Poiché l’amore è forte come la morte, dove l’ebraico ’ahavah, amore, è reso rispettivamente dalla versione greca con agape – “un termine poco testimoniato in epoca precristiana all’infuori dei LXX”[34] – e da Gerolamo con dilectio.
Ciò dimostra come il concetto ebraico di ’ahavah, che comprende tutta la sfera semantica dell’amore: eros, libido, passione, tenerezza, amicizia, amore fraterno, filantropia, amore spirituale per Dio e per gli uomini, già nei Settanta e più ancora nel Nuovo Testamento abbia subito un processo di distinzione e di espurgazione dai suoi aspetti legati alla corporeità e alla sessualità, riservandogli le connotazioni più spirituali, e connotando invece le prime con altri termini negativi come quello di porneia.
Il capitolo V tratta dell’intenzione nell’atto sessuale: essa ha la forza di plasmare il frutto dell’azione, come la mente di un artista modella l’opera delle sue mani. Il riferimento biblico è ripreso dall’episodio narrato in Gen. 30,39 dove Giacobbe mostra rami con delle scorzature bianche davanti al gregge durante la monta, e la forza dell’immagine fa generare alle sue pecore agnelli striati e macchiettati. Altro episodio menzionato è quello di rabbi Yoḥanan, un uomo di bellissimo aspetto che, secondo il Talmud, Berakot 20a, andava a sedersi davanti all’uscita dei bagni dove le donne israelite andavano a purificarsi con il Miqweh o bagno ritualedopo il periodo dell’impurità mestruale per poi unirsi nuovamente ai loro mariti. Esse vedevano la bellezza del maestro e, quando si univano sessualmente ai loro mariti, il nascituro prendeva l’aspetto bellissimo di Yoḥanan a cui le donne pensavano durante il coito. Ma la cosa potrebbe sembrare banale se, poco oltre, non si spiegasse che la bellezza di Yoḥanan era in lui un riflesso della concentrazione del suo pensiero in Dio, da cui il rabbi attingeva la bellezza e la forza della Šekinah, comunicandola poi alle donne che lo vedevano uscendo dal bagno rituale. Ancora viene riportato l’esempio di una matrona che, essendo sia lei sia il marito bianchi, generò un figlio nero. Ciò avvenne perché durante l’amplesso ella aveva pensato a un uomo nero. Il pensiero e l’immaginazione, in questa concezione, hanno il potere di plasmare la realtà del nascituro; il vero segreto di ciò è spiegato più avanti: il pensiero ha origine dall’anima intellettiva, la quale proviene emanando dai mondi sefirotici superiori. Quando l’uomo eleva il suo pensiero alle cose celesti e superne, egli attinge con esso nell’alto l’energia divina che, quando discende sulle cose inferiori, è in grado di plasmarle.
Dunque, durante l’amplesso l’uomo deve pensare pensieri puri e santi, i quali renderanno pura e santa la goccia di sperma dando origine a figli santi.
Si veda la elevatezza di rispetto per la donna che emerge da questo passo:
Conviene dunque che egli (l’uomo) faccia rilassare sua moglie, che la metta di buon animo, la disponga e la assista con parole gioiose, affinché anche lei sia dedita a pensieri puri e dignitosi. Allora i due saranno insieme nel precetto, perché i loro pensieri saranno una cosa sola, e la Šekinah dimorerà in mezzo a loro, ed essi genereranno un figlio corrispondente alla forma pura che si sono figurati.
Il pensiero dell’uomo ha il potere di elevarsi in cielo verso la Šekinah e, discendendo, di trascinarla in basso ad informare ed adombrare di sé il suo amplesso con la sposa, permettendo alla Divina presenza di attualizzare la sua energia creatrice e plasmatrice nella generazione di un nuovo essere umano, che farà aumentare nel mondo l’immagine e la presenza di Dio.
Ne deriva – osserva Idel – che l’intenzione mistica dell’uomo, che deve accompagnare l’unione sessuale, può trascinare tanto la luce superiore che la Šekinah inducendole a discendere sull’uomo durante questa medesima relazione. Lo sposo deve elevare il proprio pensiero sino alla sua fonte, al fine di compiere una unio mystica, che sarà seguita dalla discesa di forze spirituali dall’alto sul semen virile; qui, ascensio mentis, unio mystica e reversio sono delle tappe che precedono la concezione ideale.[35]
Il capitolo VI splende di rara bellezza quando parla della natura e della qualità dell’atto sessuale medesimo. Ma credo che ogni commento sia inadeguato ed inferiore alle parole stesse del testo che citerò ampiamente:
Perciò, ogni qual volta ti unisci carnalmente alla tua donna, non comportanti con leggerezza, non dire cose futili e illusorie, non essere troppo spensierato con lei e non parlare più di tanto di cose da nulla. … dovrai dapprima invitarla con parole toccanti e distensive, dovrai metterla di buon umore al fine di legare la tua mente alla sua e la tua intenzione alla sua, dirle parole per un verso invitanti al desiderio, all’unione carnale, all’amore, alla voluttà e alla passione, e per un altro che l’attirino verso il timore del cielo, verso la pietà e la condotta pudica. (…) Perciò è opportuno che l’uomo inviti la sua donna con le parole giuste, alcune mosse da passione, altre dal timore di Dio, e che conversi con lei intorno alla mezzanotte, o all’approssimarsi del suo ultimo terzo…. Nel possederla, non farlo contro la volontà di lei, e non usarle violenza, giacché se l’unione carnale avviene senza tanta passione, senza amore né desiderio, la Šekinah non vi assiste… Conviene invece attrarre il suo cuore con parole di seduzione e di grazia, oltre che con altre degne e compiacenti, affinché l’intenzione di entrambi sia una cosa sola verso il Signore dei cieli… Parimenti non è opportuno possedere una donna mentre questa dorme, perché così non sussisterebbe mutuo accordo, e il pensiero di lei non sarebbe concorde con quello di lui. È bene svegliarla con parole benevole e appassionate, come abbiamo detto.
Non sfuggirà l’elevatezza e la bellezza di queste affermazioni scritte verso la fine del Trecento. Certamente, la concezione positiva della sessualità come atto teurgico profondamente integrato nella struttura del divino, e nella struttura cosmica del mondo fatto dell’unione di cielo e terra, simboleggiata e realizzata dall’unione dell’uomo e della donna, ha radici antiche nell’ebraismo ed ha visto uno sviluppo particolare nella mistica.
Questa correlazione tra i diversi piani del reale – osserva Idel – ha permesso ai cabalisti di apprendere l’unione sessuale da una parte come una imitatio Dei e d’altra parte come un atto teurgico destinato a produrre uno stato di armonia tra le entità superiori. (…) Le concezioni talora filoniane, talmudiche, midrashiche e cabalistiche della sessualità sono senza ambiguità positive. L’esistenza dei sue dessi è accettata come un fatto che rende l’umanità capace di riprodursi, senza che vi sia la minima insinuazione peggiorativa riguardo alla natura dell’atto sessuale. Il ritorno allo stato androgino originario dell’uomo, comunemente descritto dagli gnostici, o lo sforzo di trascendere la condizione femminile attraverso la trasformazione mistica della femmina in un ‘maschio’, ricorrono nell’antico pensiero cristiano e nello gnosticismo, ma sono estranei alla Weltanschauung del Talmud e della cabala teosofica[36].
I cabbalisti hanno integrato la relazione sessuale umana nell’intimo dei processi superiori interni al mondo divino, i quali in qualche modo sono condizionati dall’atto sessuale santo compiuto nel mondo inferiore; avviene esattamente il contrario di quanto si ritiene nella concezione gnostica in cui è il mondo inferiore a doversi adeguare a quello superiore, eliminando le differenze sessuali.
Idel ritiene che queste idee cabbalistiche abbiano le loro radici più antiche in una percezione sessualmente connotata del Santo dei santi, così come nella identificazione dei Cherubini con le potenze maschili e femminili, concezioni presenti già nel giudaismo antico.
Scrive Mopsik: “Se l’autore della nostra Lettera accorda a tale questione una simile importanza, è senza dubbio perché egli ravvisa in essa un punto di divergenza radicale fra la tradizione ebraica e la filosofia del suo tempo”[37]. Un passo talmudici di Nedarim 20 (= Kallah rabbati) afferma che “Tutto quello che l’uomo vuole fare con la sua donna, può farlo” che ovviamente deve essere fatto nel massimo rispetto della donna.
Torniamo alla donna. L’esoterismo ebraico della qabbalah le restituisce tutta la sua enorme dignità e sa perfettamente integrare l’eros e il sesso nella fusione perfetta dell’uomo e della donna, in una visione fruitiva della corporeità umana, e non nell’ossessione dell’astinenza cristiana.
Maschio e femmina possono guardarsi in faccia in maniera frontale, alla pari, come appare chiaro dall’espressione che Dio usa quando dice di voler creare una compagna all’uomo: vuole fare all’uomo un aiuto ke-negdo, ossia come di fronte a lui, non simile a lui,come spesso si traduce sulla scorta di Gerolamo.
Il sesso è una ricchezza che Dio ha donato all’uomo e alla donna, unendo uomo e donna accade un evento spirituale per cui, quasi un sacramento, anche la parte femminile di Dio, o Šekinah, si unisce alla copia umana unita sessualmente e agli uomini, uomo e donna unendosi uniscono le loro rispettive sefirot di riferimento, e con ciò facendo operano una restaurazione (tiqqun) della luce della divinità, che emanando ruppe i vasi che la dovevano contenere (kelippot) e si disperse nelle tenebre.
La donna non è danno e non è un possesso dell’uomo, mentre il grande dogma e il comandamento assoluto dell’unione sessuale è il rispetto.
Nella storia spesso il sesso ha fatto paura, e in particolare alle religioni: la repressione spesso attuata ha avuto come effetto che il religioso sessuofobo era, come rovescio della medaglia sessuomane, e che il sessuomane era di fatto sessuofobo.
Se nelle varie correnti e tendenze dell’ebraismo non sempre l’equilibrio di una soluzione inclusiva e positiva della donna e della sessualità nella spiritualità non sempre è risultato facile da raggiungere, ciò nulla toglie e, anzi, esalta per contrasto, la bellezza di una visione così bella, come si esprime nella simbolica cabbalistica dell’unione sessuale, del femminile che viene postulato anche in Dio e della sessualità.
Per concludere, con il Sefer ha-Bahir par. 168, ripetiamo che la donna, lungi dall’essere personificazione del demonio, lungi dall’essere tentatrice che spinge l’uomo al peccato, senza doversi vergognare del suo erotismo, senza considerare il sesso una vergogna necessaria, senza essere lacerata in un impossibile equilibrio nel suo rapporto con Dio e con il marito, al contrario permette di accrescere nel mondo la divinità dell’uomo e fra gli uomini la somiglianza di Dio: Compiere l’atto carnale non significa perpetuare la specie umana nella sua animalità mortale, ma accrescere la somiglianza con Dio, la divinità dell’uomo.
[1] Mi sono occupato di questo testo già nel mio studio M. Perani, Ebraismo e sessualità, fra filosofia e qabbalah: la Iggeret ha-Qodesh (Lettera sulla santità, sec. XIII), apparso in «Annali di storia dell’esegesi» 17/2 (2000), pp. 463-485, ripreso anche in M. Perani, Ebraismo e sessualità nel medioevo: la Lettera sulla santità,in Eros e Bibbia, Atti del Convegno nazionale di Biblia: “Mi baci con i baci della sua bocca. Amore e sessualità nella Bibbia”, Mantova 30 marzo-1 aprile 2001, a cura di Piero Capelli, Morcelliana, Brescia 2003, pp. 133-156, e disponibile anche online nel sito http://www.morasha.it/zehut/mp05_ebraismo_sessualita.html#footnote18#footnote18
[2] Per uno studio del problema, in chiave cristiana ed esteso al Nuovo Testamento, si veda: A. Milano, Eva e le sue figlie. Sulla misoginia nella Bibbia, in Id. (cur.), Misoginia. La donna vista e malvista nella cultura occidentale, Roma, 1992, pp. 25-122; per il medioevo cfr. F. Furlan, La donna, la famiglia l’amore tra medioevo e rinascimento, Olschki, Firenze 2004.
[3] A. Milano, Donna e amore nella Bibbia. Eros, agape, persona, Dehoniane, Bologna, 2008, pp. 7-8; il volume affronta anche le concezioni femministe estreme e moderate e percorre alla luce del tema indagato i libri biblici e la letteratura rabbinica.
[4] N.F. Marcos, Exégesis e ideología en el Judaísmo del siglo primero. Héroes, heroínas y mujeres, in P. Sacchi (a cura di), Il giudaismo palestinese: dal I secolo a. C. al I secolo d. C., Atti dell’VIII Congresso internazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo, San Miniato 5-6-7 novembre 1990, Bologna 1993, pp. 107-122; per le varie concezioni del diavolo si veda: P. Capelli (a cura di), Il diavolo e l’occidente, Morcelliana, Brescia 2005.
[5] P. Sacchi, L’apocalittica del I secolo: Peccato e giudizio, Atti del V Congresso internazionale dell’AISG, S. Miniato 1984, Roma, Carucci 1987, pp. 59-78; Id., Il diavolo nelle tradizioni giudaiche del Secondo Tempio L’autunno del Diavolo, I, (a cura di E. Corsini ed E. Costa) Milano, Bompiani 1990, pp. 107-128; Id., Storia del Secondo Tempio, Israele tra VI secolo a.C. e I secolo d.C., Storia Torino, SEI 1994; Id., Il giudaismo del Secondo tempio, Storia delle religioni, 2, Roma – Bari, Laterza 1995, pp. 47-105; Id., A new Step Towards a Deeper Knowledge of the Jewish Second Temple Thought, Henoch 19, 1997, pp. 367-377; Id., L’apocalittica: ovvero storia di alcune idee del Medio giudaismo, Sempre Apocalisse ( a cura di S. Dianich), Casale, Piemme (Saggi) 1998, pp. 85-104; Id., Introduzione, Apocrifi dell’Antico Testamento (a cura di P. Sacchi) Brescia, Paideia 1999, pp. 9-52; Id., Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. III, (a cura di) Biblica – Testi e Studi 7 Brescia, Paideia 1999.
[6] G. Boccaccini, Middle Judaism: Jewish Thought, 300 BCE-200 CE, with a foreword by James Charlesworth (Minneapolis James Charlesworth (Minneapolis: Fortress Press, 1991); Id., Portraits of Middle Judaism, 300 BCE-200 CE, in Scholarship and Arts: A Multimedia Catalog from Flavius, with a foreword by Paolo Sacchi (Torino: Zamorani, 1992); Id., Il medio giudaismo, per una storia del pensiero giudaico tra il III sec. A.e.v. e il II sec. e.v., con una prefazione di Francesco Adorno (Genova: Marietti, 1993); Id., Beyond the Essene Hypothesis: The Partings of the Ways between Qumran and Enochic Judaism (Grand Rapids: Eerdmans, 1998); Id.,
Rabbinic Origins: An Intellectual History, from Ezekiel to Daniel, Gran Rapids: Eerdmans, 2002; Id., (ed.), The Origins of Enochic Judaism: Proceedings of the First Enoch Seminar (University of Michigan, Sesto Fiorentino, Italy, June 19-23, 2001), Torino, Zamorani, 2002; Id., Oltre l’ipotesi essenica. Lo scisma tra Qumran e il giudaismo enochico, Morcelliana, Brescia, 2003.
[7] Piero Capelli, Il male. Storia di un’idea nell’ebraismo dalla Bibbia alla Qabbalah, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2012, studio di estremo interesse, in particolare il capitolo III “Il male al plurale. Le molte risposte ebraiche a un problema teologico nel periodo del Secondo Tempio” e il capitolo IV “Quando il sesso diventò peccato. Eros e purità nella letteratura ebraica antica e tardoantica”; dello stesso autore si veda: Id., Il male negli apocrifi dell’Antico Testamento, Biblia. Associazione laica di cultura biblica. Notiziario semestrale 12/2 (1998), pp. 7-10; Id., Il problema del male negli apocrifi dell’Antico Testamento,in P. Lombardi (cur.), Male, Bibbia e Occidente. Atti del Convegno “Colui che fa il bene e crea il male (Is 45,7). Male, Bibbia e Occidente”, Padova, 25-26 aprile 1998,Morcelliana, Brescia 2000, pp. 79-96; Id., (a cura di), Eros e Bibbia, Atti del congresso “Mi baci con i baci della sua bocca”. Amore e sessualità bella Bibbia, Mantova, 30 marzo – 1° aprile 2001, Morcelliana, Brescia, 2003, dove compare anche il suo testo: Purità e sesso nell’ebraismo dell’epoca ellenistica e romana pp. 63-90; in questo volume interessanti per il nostro tema sono anche gli studi di P. De Benedetti, La visione biblica del maschio e della femmina (pp. 33-40); R. Della Rocca, La sessualità nella tradizione ebraica biblica e postbiblica (pp. 91-105); M. Perani Ebraismo e sessualità nel medioevo: la Lettera sulla santità (pp. 133-156).
Per un esame della produzione poetica ebraica sull’amore, forte come la morte si veda: S. Ferrari, Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica, Belforte, Livorno 2007.
[8] L. Gusella, Esperienze di comunità nel giudaismo antico. Esseni, Terapeuti e Qumranici, Nerbini, Firenze 2003.
[9] D. Biale, L’eros nell’ebraismo. Dai tempi biblici ai giorni nostri, Giuntina, Firenze 2003, versione italiana dell’originale inglese Eros and Jews, Universityof California Press, Berkejey-Los Angeles-London 1997, p. 65.
[10] Biale, L’eros nell’ebraismo, p. 68-69.
[11] U. Ranche-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli. La Chiesa cattolica e la sessualità, Rizzoli, Milano 1995, versione italiana dell’originale tedesco apparso ad Hamburg nel 1998.
[12] Si veda A. Cohen, Il Talmud, Laterza, Bari 1935 e ristampe anastatiche successive fino ad oggi, p. 199.
[13] L. Caro, Considerazioni generali sulla sessualità nel mondo ebraico, in “La Sessualità. Aspetti religiosi, culturali, sociologici e sanitari”, Atti del convegno di studi svoltosi a Ferrara il 2 aprile 1995, Bologna 1996, pp. 15-19: 15.
[14] M. Idel, Cabala ed erotismo. Metafore e pratiche sessuali nella cabala, Milano 1993, p. 11; (non è detto su quale testo è stata condotta questa versione italiana di una conferenza tenuta in inglese dall’autore presso il Jewish Theological Seminary of America di New York, della quale esiste anche una versione francese a cura di C. Mopsik in appendice al suo volume Lettre sur la sainteté. Le secret de la relation entre l’homme et la femme dans la cabale, Paris 1986, pp. 327-358).
[15] Caro, Considerazioni generali sulla sessualità nel mondo ebraico, cit., p. 16.
[16] L. Rosso Ubigli, Alcuni aspetti della concezione della Porneia nel tardo-giudaismo, in “Henoch” 1 (1979), pp. 201-245.
[17] Sacchi, Storia del Secondo Tempio. Israele tra VI secolo a.C. e I secolo d.C., cit., pp. 415-453: 420.
[18] Idel, Cabala ed erotismo, cit., p. 37.
[19] G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Torino 1993 (Zürich 1957), p. 105. Si veda inoltre M. Harris, The Concept of Love in Sepher Hassidim; in “Jewish Quarterly Review” 50 (1959-60), pp. 11ss.
[20] Ibid., p. 37.
[21] Biale, L’eros nell’ebraismo, cit. il capitolo 5. La rimozione del desiderio nel chassidismo del XVIII secolo, alle pp.171-206.
[22] Samuel C. Heilman, s.v. Haredim, in Encyclopaedia Judaica, CD-Rom Edition, 1997. Si veda anche di Immanuel Jakobovits la voce Sex,in E.J., ibid.
[23] Per questo autore rimando al volume M. Idel e M. Perani, Naḥmanide esegeta e cabbalista. Studi e testi, La Giuntina, Firenze 1998.
[24] Mopsik, Lettre sur la sainteté. Le secret de la relation entre l’homme et la femme dans la cabale, Paris 1986.
[25] G. Scholem, Ha-’im chibber ha-Ramban et Sefer Iggeret ha-qodesh? [Fu davvero Nachmanide a comporre la Lettera sulla santità?], in «Qiryat Sefer», 21 (1944/45), pp. 179-186.
[26] Si veda: M. Perani, Ebraismo e sessualità, fra filosofia e qabbalah: la Iggeret ha-Qodesh, citato.
[27] Nell’antologia di testi cabbalistici curata da G. Busi e E. Loewental, Mistica ebraica, Torino 1995, pp. 415-444.
[28] Per un esame più dettagliato di questo punto si veda Mopsik, Lettre sur la sainteté, cit. pp. 33-37.
[29] Concezioni analoghe sono presenti anche in un testo midrashico, pressoché contemporaneo e già attento alle nuove idee cabalistiche, dedicato alla struttura dialettico-contrastiva del mondo; si veda M. Perani (ed.), Il Midrash Temurah. La dialettica degli opposti in un’interpretazione ebraica tardo medievale, Bologna 1986.
[30] I testi sono citati nella traduzione italiana di G. Busi, La mistica ebraica, cit.
[31] Ibid., p. 175.
[32] Non convince il tentativo di Monford Harris di vedere nella Lettera l’influsso del pensiero di Filone – in particolare della sua opera Sui cherubini e la spada fiammeggiante – entrato mediante lo gnosticismo nel mondo culturale spagnolo dell’epoca; per questo vedi M. Harris, Marriage as Metaphysics: A Study of the ‘Iggeret haKodesh, in “Hebrew Union College Annual”, 33 (1962), pp. 197-220.
[33] E. Jenni, s.v. ‘hb Amare, in E. Jenni – C. Westermann, Dizionario teologico dell’Antico Testamento, I, Torino 1978, col. 54.
[34] Ibid., col. 63.
[35] Idel, Cabala ed erotismo, cit., p. 24s. Si veda inoltre dello stesso autore, assai più ampio, M. Idel, Eros e Qabbalah, Adelphi, Milano 2007, edizione italiana dell’originale inglese del 2005.
[36] Ibid., p. 35.
[37] Mopsik, Lettre sur la sainteté, cit., p. 172s.