Aldo Torchiaro
Succede anche questo, in pieno 2003. Si va ad assistere alla presentazione di un saggio che si presume avere un interesse storico, “La destra e gli ebrei”, e si sente affermare dai presentatori che “le leggi razziali in Italia non sono esistite davvero. Una formalità scritta e mai applicata, ecco tutto.” Gli occhi dei presenti, molti dei quali ebrei romani, si incrociano con un misto di esterrefazione ed imbarazzo.
Responsabile di queste dichiarazioni è Pasquale Squitieri, regista, ex deputato di Alleanza Nazionale, classe 1938, lo stesso anno delle leggi razziali. Una passione per la storia, con qualche simpatia poco velata per quella del fascismo. Nella sua carriera di regista – definito discontinuo con una qualche predilezione per il melodramma – ha firmato nel 1984 un film dedicato alla giovane amante di Benito Mussolini, giustiziata nell’aprile del 1945. Con “Claretta”, presentato al Festival di Venezia, si attira subito le critiche di chi ravvisa nelle sue riprese una lettura troppo compassionevole nei confronti della vita del duce. “Le leggi razziali? Chi ne parla e le giudica sicuramente non le ha mai lette. Se un ebreo era di nazionalità italiana non poteva essere perseguitato e molti ebrei venivano proprio in Italia per questo”. Con questa affermazione Pasquale Squitieri, apre una rovente polemica che diventa uno squarcio durante la presentazione del libro di Gianni Scipione Rossi dal titolo “La destra e gli ebrei”. L’autore preferisce non intervenire, si ritira in silenzio dietro il bancone sul quale le copie esposte del suo saggio vengono ora guardate con sospetto.
In platea, inorriditi, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni e il presidente della comunità ebraica romana Leone Paserman. “L’accusa – prosegue Squitieri – a noi italiani di essere antisemiti non la sopporto. Il più grande antisemita era Dante. Come ha dimostrato il film di Polanski, ‘Il pianista’ esisteva anche una polizia ebraica”.
“Vergogna”, grida una donna, seduta in quinta fila. Ci sono parenti di ex deportati, in sala. Brusio e agitazione attraversano la platea, si tratta di persone che nella vita ne hanno mandate giù tante, vorrebbero intervenire. Ma la replica è affidata a Leone Paserman. “Sono sconcertato. Nel 2003 si sperava di non dover sentire queste cose. Le leggi razziali escludevano gli italiani dagli uffici postali, dalle scuole, i funzionari pubblici dall’insegnamento. Non è violenza fisica, ma una gran persecuzione. Le leggi razziali non sono state accolte con indifferenza, ma con acquiescenza. Inorridisco quando sento parlare di ebrei collaborazionisti con la polizia tedesca. Su persone ridotte a livello subumano che lottano per la loro esistenza è difficile esprimere un giudizio e aspettarsi che si comportino come gente normale. Respingo nella maniera più totale e ferma quanto è stato detto”.
Quando il pubblico si aspetta una risposta da Squitieri rimane però deluso. Il regista vicino ad An, nel frattempo, ha guadagnato l’uscita e lasciato la sala in fretta e furia.