Con nettezza e incisività, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha detto quello che doveva essere detto e che finora non era stato detto in merito a come la Chiesa stia gestendo con comunicati, dichiarazioni e azioni l’attuale guerra tra Israele e Hamas. Lo ha fatto all’Università pontificia Gregoriana, il principale ateneo dei gesuiti a Roma, in occasione della trentacinquesima giornata di dialogo tra cattolici ed ebrei.
L’intervento di rav Di Segni
Dall’equiparazione fatta da Monsignor Ravasi tra Israele e Lamech,http://www.linformale.eu/la-logica-di-lamech/dalla kefiah indossata da Monsignor Pizzaballa a Betlemme nel corso della Messa natalizia, dalla riproposizione da parte del vescovo di Anversa degli ebrei in chiave blut und boden, questo è solo un piccolo campionario di un quanto si è ascoltato, visto e letto recentemente in ambito cattolico.
Di Segni ha parlato di “teologia regredita”, perché di questo effettivamente si tratta, di un passo indietro, della riproposizione di stereotipi preconciliari, di idee derivate da quella teologia di ispirazione marcionita che dalla dichiarazione Nostra Aetate in poi la Chiesa ha respinto insieme all’accusa di deicidio e alla teologia della sostituzione.
Di Segni ha anche sottolineato come non sia possibile confondere le categorie morali, non rendersi conto che il male non è rappresentato da Israele che si difende ma da Hamas.
Chiunque non abbia infatti smarrito le più elementari categorie morali è in grado di intendere che il male è Hamas e che Israele sta combattendo contro questo male.
Il male è chi, il 7 ottobre 2003, è entrato in Israele, uccidendo, mutilando, stuprando, decapitando e portandosi appresso come trofei macabri da vendere, le teste dei decapitati, non Israele che si difende e ha come scopo quello di distruggere a Gaza la struttura operativa che ha reso possibile questo orrore.
Purtroppo oggi, a partire dai suoi vertici, la Chiesa ha smarrito il senso chiaro della posta in gioco e la nettezza delle distinzioni, introiettando la vittimologia palestinese e, cosa ancora più grave per il dialogo ebraico-cristiano, riattivando categorie di pensiero radicate da quell’antigiudaismo ecclesiastico che troppo ottimisticamente si era creduto fossero state ormai consegnate al macero della storia.