REBECCA LOCCI
Vissuta nei primi anni del Seicento, la così definita “bella ebrea” del ghetto Sara Copio Sullam, risulta essere una particolare figura femminile nella storia della letteratura italiana ed ebraica. Gli studi sulla poetessa ebrea del ghetto veneziano, negli anni, sono stati discontinui e la sua figura seppur risulta essere stranamente nota è allo stesso tempo in parte dimenticata.
Sara Copio Sullam nasceva a Venezia nel 1592 circa. Figlia di Simone e Rebecca Copio e con una sorella dal nome Stella, apparteneva ad una delle famiglie più ricche ed illustri della Comunità Ebraica veneziana. E la sua famiglia, da sempre dedita al commercio, intratteneva dei forti rapporti con la città di Mantova, probabilmente città d’origine della famiglia Copio.
Sara Copio Sullam è stata una delle donne più colte della sua epoca. La giovane ebrea del ghetto lagunare – che grazie alla sua famiglia che le aveva dato l’opportunità di una completa istruzione – vantava conoscenze letterarie, musicali, teologiche e storiche. Fin da giovane era appassionata di astrologia, filosofia e lettere antiche. Era in grado di comprendere testi in lingua originale spagnola, latina ed ebraica, e conoscitrice dell’Antico Testamento tanto quanto dei testi ebraici. Di questa straordinaria donna si diceva che amava «leggere libri di poesia e d’altre materie curiose».
L’alto ingegno della poetessa ebrea non passava inosservato nella città di Venezia, specialmente quando riusciva ad aprire – con grande anticipo sui tempi – all’interno del Ghetto Vecchio, nella propria casa, un prestigioso salotto letterario.
Non le era mancato l’appoggio della sua famiglia, inizialmente spronata dal padre Simone, e successivamente al 1613 – anno in cui la giovane donna si lega a Giacobbe Sullam – da suo marito.
Sara riusciva così a collegare la propria notorietà al suo salotto, aperto indistintamente agli ebrei come ai suoi contemporanei intellettuali cristiani. I letterati ed i poeti dell’epoca, genuinamente curiosi di questa giovanissima donna di nemmeno trent’anni, del suo alto grado culturale e del suo ritrovo letterario, erano altrettanto affascinati dal fatto che fosse ebrea, e che il suo salotto si trovasse nel Ghetto Vecchio, un luogo che richiamava l’idea della segregazione ed emarginazione predisposte dalla Serenissima per gli ebrei. Che i cultori fossero italiani o stranieri, ebrei o cristiani, nella casa di Sara Copio Sullam trovavano un punto d’incontro per discussioni costruttive e culturalmente rilevanti.
L’inusualità dell’essere donna, e donna ebrea tra l’altro, sono fattori determinanti della sua notorietà. La casa di Giacobbe Sullam non divenne mai un’accademia vera e propria, perché nonostante l’affluire di dotti e di intellettuali volti a scambiarsi idee, ricercare la verità e conversare, l’intento di Sara era quello di ricreare un «piccolo cenacolo letterario». Una piccola perla nel ghetto veneziano, luogo di interesse e fervore intellettuale.
Sara Copio Sullam ha intrattenuto rapporti importanti con varie persone rilevanti nel Seicento veneziano. Alcune di queste hanno segnato negli anni della sua vita un capitolo positivo – come i carteggi intrattenuti con il genovese Ansaldo Cebà – altre sono state figure di riferimento – come il Rabbino Leon da Modena, suo maestro e figura di spicco dell’ebraismo italiano di quei tempi –, altri interlocutori invece si sono rivelati essere degli approfittatori – come le vicende dei raggiri e dei furti di Numidio Paluzzi e Alessandro Berardelli – o accusatori pericolosi – come Baldassare Bonifacio, con la sua disputa teologica sull’immortalità dell’anima –.
Le “bella ebrea” del ghetto di Venezia è stata una figura straordinaria sotto vari aspetti, rendendosi nota per la sua cultura e i suoi scritti. Inoltre il ghetto – che nasceva come forma di segregazione per persone che professavano una religione diversa – non ha precluso alla giovane donna di creare intorno a sé un ambiente all’avanguardia e decisamente degno di nota. Lavorando sui limiti imposti, accettandoli, è riuscita ad attirare dall’esterno verso l’interno numerosi letterati e dotti dell’epoca compensando l’impossibilità di lasciare il posto a lei assegnato.
Affermatasi come donna, figlia, moglie e madre, Sara Copio Sullam nella vita si è spesso ritrovata oggetto di insistenti inviti alla conversione, a cui però non cedette mai.
Sarebbe stato facile abbandonare le proprie origini per la ricerca di una fama, di un’affermazione salda, o semplicemente di un futuro migliore, eppure la Copio Sullam non ha mai dato segni di tentennamento né mai la sua fede ha vacillato.
Osservando con maggior attenzione la documentazione presente su questa giovane donna, è stato possibile notare la singolare iscrizione in ebraico isha maskelet – ovvero “donna saggia” o “intelligente” – presente nell’annotazione della sua morte nel Registro Morti 1627-1653 presso l’Archivio della Comunità Ebraica di Venezia. Tali parole sono rintracciabili nel libro dei Proverbi – precisamente 14:1 e 19:14 – e seppure non molto utilizzata, questa iscrizione è stata utile per comprendere ulteriormente la portata innovativa di una donna del suo calibro.
E come altra prova della straordinarietà di questa poetessa, che è stata in grado di rendersi nota come donna tra uomini, è la presenza del suo epitaffio in un manoscritto che raccoglieva gli epitaffi di uomini colti, di spicco o rabbini importanti tutti appartenuti alla Comunità Ebraica di Venezia tra il XVI e XVII secolo.
Così frizzante e vivace l’intelletto, quanto cagionevole la sua salute, Sara morì il 15 febbraio 1641. È ancora oggi sepolta presso il Cimitero Ebraico di Venezia di San Nicolò del Lido. La sua epigrafe, quasi a riassumere la sua immagine eccezionale di donna, moglie amata e madre, sempre a disposizione nei confronti del prossimo e appoggio per i bisognosi, recita:
“Questa è la lapide della distinta Signora Sara moglie del vivente / Jacobbe Sullam: L’angelo sterminatore saettò il dardo, ferendo mortalmente la Sara / donna di grande ingegno / Saggia tra le mogli, appoggio ai derelitti / Il tapino trovò in lei una compagna, un’amica / Se al presente è data irreparabilmente preda agli insetti, nel dì predestinato / dirà il buon Dio: torna, torna o Sulamita / Cessava di vivere il giorno sesto (venerdì) 5’ Adhar dell’era ebraica / L’anima sua possa godere eterna beatitudine.”