La Torah non è un libro di storia, ma un libro che ci narra del rapporto con H. dalla nascita dell’umanità. Per questo, quando non vi sono manifestazioni profetiche non troviamo nella Torah testimonianze di quanto avvenuto. Ad esempio la parashah di Qorach descrive eventi avvenuti nel secondo anno di permanenza nel deserto, mentre la parashah successiva, quella di Chuqqat, si occupa di fatti avvenuti nel quarantesimo anno. Anche il libro di Devarim si svolge appena nel giro di trentasette giorni.
Tuttavia, secondo la ghemarà nel trattato di Meghillah (14a) nella storia vi furono numerosissimi profeti, il doppio di coloro che uscirono dall’Egitto, ma, spiega la ghemarà, quelle profezie che hanno rilevanza per le generazioni successive, sono state scritte, mentre le altre no. Nei quarant’anni nel deserto sono avvenute molte cose, piccole o grandi, che non ci sono pervenute. La disputa fra Qorach ed i suoi seguaci contro Mosheh e Aharon si chiude con il seguente ammonimento (Bemidbar 17,5) “ricordo per i figli d’Israele affinché non s’avvicini chi non è sacerdote, chi non discenda da Aron, a bruciare incenso davanti al Signore, affinché non sia come Qorach e la sua gente…”.
L’episodio di Qorach funge da monito per il futuro, attraverso esperienze negative emergono degli aspetti positivi. Al termine della parashah di Beha’alotechà la punizione inflitta a Miriam fa risultare per contrasto la figura di Mosheh. L’episodio di Qorach costituisce una riaffermazione della figura di Aharon, e ci permette di concentrarci sulla funzione dei Kohanim e dei Leviim in generale. L’accusa principale di Qorach (Bemidbar 16,3) rivolta a Mosheh e Aharon riguardava il loro elevarsi al di sopra della congrega del Signore. Lo stesso punto viene toccato da Datan e Aviram (v. 13) “Ti par poco di averci fatto salire da una terra stillante latte e miele (l’Egitto) per farci morire nel deserto, che vorresti ancora signoreggiare su di noi?”. I chakhamim hanno posto un principio: “chi invalida, invalida con un suo difetto”. Vale a dire, per mascherare le proprie mancanze, gli individui sono portati ad attribuire quelle stesse mancanze ad altri. Non sempre ci si comporta così in modo pienamente consapevole. Anche se non volessimo sottolineare il fatto che pochissimi capitoli primi la Torah ha ricordato la modestia di Mosheh, dovremmo pensare che il ragionamento di Qorach e dei suoi deriva dal presupposto che l’ufficio sacerdotale costituisce una posizione elevata. Nel momento in cui Mosheh ascolta le argomentazioni di Qorach, cade sul suo volto. Non dobbiamo intendere questa reazione come una mancanza di forze, ma come una manifestazione di rabbia. D’un tratto Mosheh capisce che gli altri leviti avevano totalmente frainteso la natura del loro compito. Non essere vicini ad H. e al servizio del popolo, ma semplicemente avere una posizione onorevole.
Tutto il problema si riduce a “perché questo onore è arrivato a loro, e non a me!”. Mosheh capisce che la natura del servizio che Qorach aveva offerto sino a quel momento era totalmente deleteria e controproducente. La risposta esemplare di Mosheh (16,9) pone una serie di punti fermi: la vicinanza ad H. è di per sé un merito; il servizio offerto è un servizio divino; lo scopo di questo servizio è essere a disposizione del popolo. I leviti sono inviati del popolo e svolgono una funzione protettiva nei suoi confronti. Una delle funzioni dei Leviim è quella della kapparah, che traduciamo come espiazione. Questo termine ha la stessa radice di kapporet, coperchio. Il compito dei Leviim è estremamente pericoloso, come apprendiamo dalla storia di Nadav e Avihù. Mosheh era ben conscio di questi aspetti, e per questo inizialmente non accetta l’incarico. Anche quando nella parashah di Beha’alotechà apprenderà che Eldad e Medad stavano profetizzando, non si scompone; magari fossero tutti profeti e non avessero bisogno di me! Secondo il Midrash l’argomentazione di Qorach (un tallit completamente azzurro ha bisogno dello tzitzit, una casa piena di libri ha bisogno della mezuzah) vuole negare la necessità della presenza di un intermediario fra ogni singolo individuo ed H.
Basterebbe ricordarsi del popolo ebraico sul Sinai, che non sostenendo l’impatto del rapporto con H., chiede a Mosheh di fungere da intermediario, o dell’intervento provvidenziale di Mosheh in seguito al peccato del vitello d’oro. Se il popolo ebraico avesse dato nel tempo dimostrazione di maturità, il discorso di Qorach sarebbe stato sensato. Perché però le domande di Qorach non sono corrette? La casa piena di libri rappresenta un’entità nella quale i libri riempiono la casa fisicamente, ma non vi è un legame sostanziale. L’uscio della casa è parte della casa, ma svolge una funzione ben precisa, permettendovi di entrare e consentendo di sorvegliarla, ma è accessorio rispetto alla casa, non avendo una esistenza indipendente dalla casa. E questa è anche la natura che caratterizza i leader di Israele, che Qorach non aveva minimamente compreso. Le parole con le quali la parashah si apre sono sintomatiche: Waiqqach Qorach – Qorach prese. Questa era la sua visione del sacerdozio. Non dare, ma prendere. Questa disputa è istruttiva e degna di una profonda riflessione per tutti coloro che gestiscono la cosa pubblica nel popolo ebraico, ancora oggi.