Nel trattato Sanhedrin (110a) è raccontato che Yosef nascose tre tesori in Egitto: uno fu scoperto da Kòrach, che diventò immensamente ricco; il secondo fu scoperto dall’imperatore Antonino e il terzo è ancora lì e verrà scoperto nel futuro.
R. Mordekhai Hakohen (Safed, 1523-1598, Aleppo) in Siftè Kohèn esamina come avvenne che Kòrach scoprì queto tesoro. A tale scopo egli cita il versetto dove il Santo Benedetto disse a Moshè: “Comunica al popolo che ogni uomo chieda al proprio compagno e ogni donna alla propria compagna oggetti d’argento e oggetti d’oro” (Shemòt, 11:2). Questo ordine si riferiva solo alle tribù d’Israele che erano state asservite in Egitto; quello che avrebbero ricevuto sarebbe stato un pagamento per il lavoro di tanti anni. I leviti erano esclusi da questa ricompensa perché la loro tribù non era stata soggetta alla schiavitù. Nell’inaugurazione del Mishkàn i leviti non offrirono vassoi e altri oggetti d’argento come le altre tribù perché erano poveri. Oltre a non avere chiesto nulla agli egiziani prima dell’uscita dall’Egitto, i leviti non approfittarono neppure del bottino trovato al Mar Rosso quando l’esercito egiziano affondò nel mare lasciando galleggiare a riva una quantità di oggetti di valore.
Kòrach, anche lui della tribù di Levi, dopo aver visto cosa avevano preso gli israeliti delle altre tribù, divenne invidioso e fece di tutto per arricchirsi. Fu così che il Santo Benedetto gli fece scoprire il tesoro di Yosef perché come insegnarono i maestri, “nella strada che una persona vuole percorrere lo fanno andare” (T.B., Makkòt, 10a).
Fu così che Kòrach, con la sua reputazione di uomo ricco fu capace di convincere un gran numero di notabili delle tribù a seguirlo nella ribellione contro Moshè ed Aharon. La ribellione di Kòrach era basata sulla sua idea che nel popolo d’Israele sono tutti uguali: “Si adunarono contro Moshè e contro Aharon e dissero loro: Basta! tutta la comunità sono tutti kedoshìm, e l’Eterno è in mezzo a loro; perché vi elevate sopra la congrega dell’Eterno?’ (Bemidbàr, 16:3). Secondo i rivoltosi tutti avevano diritto ad aspirare ad essere Kohen Gadol.
R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993) in Mesoras Harav (p. 130) commenta che nessuno poteva negare la prima asserzione di Kòrach che tutta la comunità fosse composta da kedoshìm. Errò però quando disse che tutti erano uguali e quindi la leadership di Moshè e di Aharon non aveva giustificazioni. R. Soloveitchik aggiunge che in Israele non vi è solo la kedushà che deriva dall’essere parte del popolo. Vi è anche una kedushà individuale. A tale scopo cita un’affermazione dei maestri nel trattato Berakhòt (58a) che dicono: “Come gli individui sono fisicamente differenti, così le loro idee sono differenti”. E così pure, aggiunge r. Soloveitchik, ognuno di essi ha un diverso livello di kedushà. Non tutti sono uguali. [I kohanìm hanno più kedushà dei leviti e i leviti, più degli israeliti].
La risposta di Moshè fu la seguente: “Fate questo: prendete degli incensieri, tu, Kòrach, e tutta la gente che è con te; e domani mettetevi del fuoco, e ponetevi su del ketòret (profumo) dinanzi all’Eterno; e colui che l’Eterno avrà scelto sarà kadòsh. Basta, figliuoli di Levi!’ (Bemidbar, 16: 6-7).
Qual era lo scopo di usare il ketòret per fare capire che non tutti erano uguali? Lo spiega r. Daniel Terni (Ancona, 1740-1814, Firenze) nella sua opera Shem ‘Olàm. Il ketòret era composto da undici spezie. Vi era anche la chelbenà (galbanum) il cui odore era spiacevole. Da qui i maestri insegnarono che come il galbano, anche se spiacevole, fa parte del ketòret, nelle nostre tefillòt e nei digiuni pubblici bisogna aggregare anche i peccatori. Kòrach sosteneva invece che tutti i membri della comunità erano kedoshìm. Moshè sapeva che si viene puniti se si fa il ketòret senza tutte le spezie. Per questo disse loro di offrire il ketòret. Se avessero messo il galbano avrebbero ammesso che non tutti sono kedoshìm e che vi sono diversi livelli di kedushà in Israele e che quindi Aharon meritava di essere Kohen Gadol. Se non avessero messo il galbano nel ketòret, insistendo che tutti sono ugualmente kedoshìm, avrebbero commesso un peccato e sarebbero morti. E così fu: “Un fuoco uscì dall’Eterno e divorò i duecentocinquanta uomini che avevano offerto il ketòret” (ibid., 16:35).