Pochi minuti ci separano dalla fine di Kippur. In questi momenti i batè kenesiot in tutto il mondo registrano il picco massimo di presenze. Per molti, purtroppo, questi momenti sono l’unico loro contatto rimasto con la Comunità e con l’ebraismo in generale. Questo impone delle riflessioni a vari livelli, sia da parte delle istituzioni comunitarie, sia da parte dei singoli individui. Chiaramente, anche se mi piacerebbe, non potrò in questa sede entrare nei dettagli, ma spero che vi siano prossimamente su questo punto dei momenti di confronto.
Il tempio nel quale stiamo pregando è indubbiamente sovradimensionato. Il motivo di ciò è molto semplice: la Comunità ebraica di Torino negli ultimi decenni, e in modo più pronunciato negli ultimi anni, ha subito una contrazione numerica importante, determinata da vari fattori, dalla natura della città, da quella della comunità, da una assimilazione forse più pronunciata che in altri posti. Non si tratta di un fenomeno squisitamente torinese; tante altre medie e piccole comunità, italiane e non, si confrontano con i medesimi problemi. Ciascuna comunità, con alterne fortune, si è avvalsa di strategie specifiche per contrastare tali fenomeni. Una scelta che Torino ha coraggiosamente difeso negli anni è stata quella di salvaguardare la scuola ebraica, con un impegno economico assolutamente degno di nota, a fronte delle poche decine di studenti ebrei che la frequentano.
A oggi la Comunità conta meno di 800 iscritti. Ciononostante, con grande sforzo, mantiene tutte le strutture fondamentali che consentono di condurre una vita ebraica, un Bet ha-keneset funzionante, una scuola, una casa di riposo, un cimitero, una chevrà qadishà, un miqweh, un forno, la possibilità di studiare Torah e approvvigionarsi di cibo kasher, una vita culturale di livello. La gestione delle sezioni richiede grande impegno, e ci tengo a ricordare il Bet ha-keneset di Cuneo, che anche quest’anno a Kippur è aperto, e la sezione di Ivrea, che ogni mese, da oltre vent’anni a questa parte, ha la sua lezione di Torah. Tutto ciò non è assolutamente banale, e ringrazio tutti coloro che si sono adoperati, e si adoperano tutt’ora, affinché tutto questo sia possibile.
Tuttavia, a dispetto del quadro formale, si assiste sempre di più ad uno sfilacciamento nel rapporto fra una buona parte della comunità, per lo più i più giovani, e l’istituzione comunitaria, e questo richiede una seria e schietta riflessione. Le attività comunitarie sono frequentate assiduamente da alcune decine di persone, per lo più di una certa età. Questo riguarda ahimè, tranne alcune eccezioni, anche le lezioni di Torah. Facendo una proiezione, anche solo a dieci anni, le prospettive sono tutt’altro che incoraggianti: alcuni sabati fa notavo che fra i frequentatori del bet ha-keneset, in un sabato normale, quasi la metà erano ultraottantenni, e circa un decimo ultranovantenni. Ad oggi circa la metà degli iscritti alla comunità sono ultrasessantenni. Almeno un decimo degli iscritti, per lo più giovani, non vive più a Torino.
Quando parlo di questo sfilacciamento non mi riferisco unicamente al Tempio e allo studio, ma alle variegate, numerose sfaccettature della vita di una comunità. Le riunioni del consiglio della comunità, tranne rarissime eccezioni, non hanno pubblico. Nelle assemblee, pur non volendo svilire i fattori numerici, certamente importanti, raramente si tocca il punto fondamentale, che è, in una parola, la ragion d’essere di una comunità.
Come dicevo in apertura, volevo dare solamente degli spunti, e a breve tornerò sulla questione: Sabato 29 settembre, durante il Chol ha-mo’ed Sukkot, al termine della tefiilah vi sarà un incontro, organizzato dall’ADEI, dal titolo Una sukkah per tutto Israele, nel quale si discuterà della fruibilità della struttura comunitaria da parte delle varie fasce di iscritti. Indipendentemente dalle mie opinioni, vorrei sentire voci che non ho avuto modo di apprezzare in questi anni, e con mio rammarico so che ce ne sono, e non poche.
Un secondo appuntamento che tenevo a ricordare è lo Shabbat Project, un progetto internazionale, promosso dal Rabbino Capo del Sudafrica, al quale negli anni passati la comunità ha aderito già altre volte. Sarà l’occasione per passare uno Shabbat in compagnia, sabato 27 ottobre.
Ringrazio tutti coloro che si sono adoperati affinché questa giornata si svolgesse nel modo migliore possibile, i chazanim, i seganim, i parnasim, le Signore dell’ADEI che hanno preparato la tradizionale Bruscadella, i ragazzi e le ragazze della sicurezza.
Un pensiero affettuoso a quelli che non sono potuti essere oggi con noi, perché malati o impossibilitati.
Che noi, i nostri cari e tutto il popolo d’Israele, come abbiamo recitato poc’anzi nella tefillah, possiamo essere suggellati nel libro della vita, di benedizione, pace, salvezza, grazia, clemenza.