Yom Kippur 5776
Racconta il Midrash (Shemot Rabbà 43,4) che Moshe nostro Maestro liberò da un voto… il Santo Benedetto! Proprio così. Allorché i Figli d’Israele commisero la trasgressione del vitello d’oro, Moshe supplicò il buon D. affinché li perdonasse, ma il S.B. disse: “Non posso. Sono ormai vincolato da una promessa. Ho scritto infatti nella Torah che “colui che sacrifica agli idoli sarà distrutto” (Shemot 22,19) e ora non posso contraddire la Parola nella quale Io stesso mi sono impegnato!” Moshe disse allora: “Padrone del Mondo, forse che Tu non mi hai concesso l’autorità di sciogliere i voti? E’ infatti scritto nella Torah che “Colui che abbia fatto una promessa a H. non potrà venir meno alla sua parola data” (Bemidbar 30,3): lui stesso non potrà venir meno, ma un Chakhàm lo potrà invece liberare dal voto dietro sua richiesta. Non solo: qualsiasi Maestro che insegni agli altri come devono comportarsi è necessario che dia lui per primo il buon esempio di sottomettersi alle sue regole. Ora Tu mi hai insegnato a sciogliere i voti altrui? E’ giusto che adesso Tu Ti presenti per primo a sciogliere gli impegni Tuoi”. Moshe allora si avvolse nel suo Tallit e si sedette come un giudice, mentre il S.B. si mise per così dire in piedi dinanzi a lui, come si conviene in tribunale, quasi che domandasse di essere sciolto dal suo voto.
Yom Kippur è la giornata che segna l’avvenuto condono della trasgressione del vitello d’oro. Il giorno in cui Moshe ridiscese dal Monte Sinai con le seconde Tavole della Legge è proprio Yom Kippur, segno che la nostra colpa è stata perdonata. Ma il voto del S.B. non fu sciolto completamente. E’ scritto nella Torah che H. si riservò di rivisitare quella colpa ogni volta che da parte nostra fosse stata commessa una trasgressione nuova (Shemot 32,34, Rashbam e Sforno ad loc.). Il Talmud (Sanhedrin 102a) commenta che non vi è punizione che giunga al mondo nella quale non vi sia traccia del vitello d’oro. Per questa ragione ogni anno, quando giunge la sera di Yom Kippur, recitiamo per prima cosa il Kol Nedarim. E’ come se ci mettessimo al posto di Moshe nostro Maestro nel tentativo di sciogliere quanto manca del voto di punizione che il S.B. si era assunto nei nostri confronti. Confidiamo che così facendo ogni anno erodiamo una piccola parte di quanto ancora rimane della più grave trasgressione della nostra Storia nella memoria del S.B.
Il Midrash che abbiamo studiato contiene una profonda lezione non solo di teoria politica, ma soprattutto di pratica politica. L’autorità del leader non si afferma tanto nell’imporre le sue leggi agli altri, quanto piuttosto a se stesso. L’insegnamento si rivela tanto più attuale e puntuale se consideriamo che il nostro popolo pensa di avere almeno altrettanti leaders quanti sono i suoi membri. In un certo senso chi fa una promessa si assoggetta alle proprie leggi, nella misura in cui sceglie di sottoporsi ad un impegno che non gli viene richiesto da nessun altro se non lui stesso.
Sulla prassi dei voti il Tanakh esprime una posizione ambivalente. Da un lato ci raccomanda di essere puntuali nell’adempiere ai voti fatti: “bada di eseguire ciò che hanno proferito le tue labbra” (Devarim 23,24), “non tardare a pagarlo” (Devarim 23,22; Qohelet 5,3). Dall’altro ci dice che “è meglio non fare voti del tutto, piuttosto che farli e poi non metterli in pratica” (Qohelet 5,4). Ovvero, “qualora dovessi smettere di fare voti, non ci sarà in te alcuna trasgressione” (Devarim 23,23). L’ Or ha-Chayim dà di questo versetto un’interpretazione particolare. Per la Halakhah è lecito e persino positivo fare voti se questo costituisce per noi uno sprone a compiere il nostro dovere. Ma se deve diventare un alibi per non compierlo, è meglio astenersene. Per esempio, se ci riteniamo paghi della promessa fatta sapendo a priori che non abbiamo alcuna intenzione di adempierla.
Scrive l’ Or ha-Chayim: “se vedi che i tuoi beni vacillano, fa’ con essi Tzedaqah”. Si sa, ognuno ha a cuore le proprie finanze. In periodo di crisi ciascuno di noi è portato a “fare il furbo”: promettere di dare e compiacersi della promessa fatta, come se avessimo effettivamente già dato. La Torah ci dice invece a questo punto: “non promettere, da’”. Non è escluso –aggiungiamo noi- che le tue difficoltà economiche nascano proprio dal fatto che H. trattiene per sé in altro modo quello che Tu dovresti dare in aiuto agli altri e non dai. E se proprio non ce la fai, sii almeno onesto con te stesso. Aspetta semmai a promettere fino al momento in cui sei matematicamente certo di dare. Si racconta infatti di Hillel che non prometteva di offrire un sacrificio volontario finché non si trovava nel cortile del Bet ha-Miqdash già con l’animale pronto da essere sacrificato sull’altare.
Il discorso è facilmente estensibile dal campo economico ad ogni altro ambito in cui sia richiesta qualsiasi forma di contributo da parte nostra. La Ghemillut Chassadim è persino più meritevole dalla Tzedaqah –osservano i nostri Maestri-, perché mentre la Tzedaqah si fa solo con il denaro, la Ghemillut Chassadim si esegue con il denaro e con tutta quanta la persona; mentre la Tzedaqah è rivolta essenzialmente ai poveri, la Ghemillut Chassadim interessa sia i poveri che i ricchi; mentre la Tzedaqah è finalizzata solo ai vivi, la Ghemillut Chassadim riguarda sia i vivi che i morti (Sukkah 49b). Abbiamo bisogno di persone che si astengano dal limitarsi ai voti, ai buoni propositi. La Comunità svolge un’incessante attività al servizio dei singoli e del kelàl Israel in campi diversissimi. Perché la Comunità possa proseguire la sua opera molteplice, che dico, possa anche solo sopravvivere, è indispensabile l’apporto di individui disponibili ad assumersi impegni concreti, ciascuno secondo i propri mezzi, il proprio tempo, la propria attitudine e la propria vocazione: in una parola sola, a dare senza indugio.
Ghemar Chatimah Tovah a tutti!