הַנִּ֣יחָה לִּ֔י וְיִֽחַר־אַפִּ֥י בָהֶ֖ם וְעַתָּה֙
וַאֲכַלֵּ֑ם וְאֶֽעֱשֶׂ֥ה אוֹתְךָ֖ לְג֥וֹי גָּדֽוֹל
“E ora lasciami affinché divampi la mia ira, li distruggerò e farò di te una grande nazione”.
Dopo che il popolo si é macchiato della grave colpa di idolatria, facendo culto al vitello d’oro, il Signore D-o vuole distruggerlo completamente.
La forza di Mosè sta nel dissuadere il Signore da questa decisione iniziando, proprio in quel momento, una lunga e accorata tefillà.
La forza della tefillà, quando è recitata con il necessario sentimento o come lo chiamano i nostri Maestri “kavvanà“, va oltre le aspettative di ogni altro essere umano.
Mosè sa questo e, nel momento più propizio, rivolge a D-o la più lunga tefillà che un uomo riesca a fare: quaranta giorni e quaranta notti.
Mosè è anche colui che rivolge a D-o la più breve tefillà che un uomo possa fare: quella per salvare Miriam sua sorella da una severa punizione divina, per aver fatto maldicenza contro Mosè suo fratello.
Anche in questo caso Mosè riesce a convincere il Signore, a non attuare i Suoi proponimenti punendo Miriam.
La tefillà è composta da cinque monosillabi:
לה נא רפא נא אל
Deh o Signore guariscila.
La Torà, con questi due estremi, vuole mandarci un forte messaggio:
Non è la lunghezza della preghiera che determina la conseguenza benefica, bensì la kavvanà con cui si è recitata.
Shabbat shalom