La parte centrale della parashà, ci narra la storia del “vitello d’oro” e la lunga e forte intercessione di Mosè a D-o, per salvare dalla Sua ira il popolo, che voleva distruggere completamente, perchè si era macchiato di questa grave colpa.
“E ora lasciami, affinché divampi la mia ira e li distruggerò completamente e farò di te una grande nazione. Mosè iniziò allora una lunga preghiera al Suo cospetto.”
Il midrash racconta che, in quel momento il Signore creò cinque Angeli della distruzione – Malakhè chabbalà, affinché divorassero con la loro bocca tutto il popolo. Spiegano i Maestri che, mentre per ogni mizvà che l’ebreo compie, viene creato un Malakh che testimoni in bene per quella mizvà fatta dinnanzi a D-o, così per ogni averà – trasgressione, viene creato un Angelo accusatore affinché testimoni davanti a Lui la malefatta di costui: tante mizvot, tanti difensori, tante averot, tanti accusatori.
Il popolo ebraico, con la colpa del vitello d’oro, si era macchiato di ben cinque gravi trasgressioni, in base a ciò che troviamo scritto nel testo della parashà:
“Si sono allontanati presto dalla strada che ho insegnato loro;
hanno costruito per loro un idolo;
si sono inchinati a lui;
hanno offerto a lui sacrifici;
hanno detto questo è il tuo dio oh Israele che ti ha tratto dalla Terra d’Egitto.”
Mosè vide questi cinque accusatori e iniziò a rivolgere una tefillà al Signore ricordandoGli i meriti dei tre Patriarchi: facendo così, secondo il merito di ognuno dei Tre, furono distrutti tre dei cinque Angeli accusatori.
Rimasero così gli ultimi due: si rivolse nuovamente al Signore in preghiera, affinché ne distruggesse almeno uno in grazia della Sua misericordia. Rimase l’ultimo in corrispondenza della colpa che suona con le parole “hanno fatto per loro un idolo”: Mosè allora scavò una fossa e lo seppellì. Tuttavia, ogni volta che il popolo trasgrediva, costui usciva dalla fossa, apriva la sua bocca e accusava Israele della trasgressione tentando di inghiottirlo.
Il termine inghiottire in ebraico si traduce livlo’a: Mosè chiamò quel luogo Ba’al pe’or che significa padrone dell’apertura (località particolarmente famosa, per le gravi colpe commesse in quel posto dal popolo).
Al momento della sua morte Mosè fu sepolto “nella valle di fronte a Ba’al Pe’or” come è scritto al termine del libro di Devarim, in modo che la sua anima potesse garantire al popolo che, ogni qualvolta costui tentasse di uscire dalla sua fossa e testimoniare contro Israele, Mosè con i suoi meriti, gli potesse chiudere la bocca.
Midrash a parte, nel brano succitato, si nota tutta la disponibilità e la bontà di Mosè che, nonostante conosca i punti deboli del suo popolo, non si risparmia a dare tutto se stesso, anche dopo la sua morte fisica, per intercedere presso D-o affinché possa perdonarlo.
Da questo si impara che un Rav, nonostante conosca il comportamento della sua gente è sempre pronto a mettere addirittura a repentaglio la sua esistenza per mettere in luce solo i lati positivi, come è detto nella parashà:
“mecheni na mi sifrekhà asher catavta – cancella me dal Tuo libro”, piuttosto che distruggere il Tuo popolo.
Shabbat shalom