“Chi ha usato chessed verso coloro che non ne avevano bisogno? Avraham nostro Padre, che diede da mangiare agli angeli benché questi fossero creature incorporee (Bereshit 18,8). E come il S.B. ha ricompensato i suoi figli? Con la manna, il pozzo d’acqua e le quaglie nel deserto, mentre le nubi di Gloria li circondavano. Se tanta è la ricompensa per chi ha usato chessed verso chi non ne aveva bisogno, a maggior ragione per chi usa chessed verso chi ne ha necessità! E chi sono coloro che hanno negato il chessed a persone che peraltro non ne avevano bisogno? Ammoniti e Moabiti verso Israele, come è scritto (nella Parashah odierna, Devarim 23,5): “…per il fatto che non vi hanno accolto con il pane e l’acqua allorché usciste dall’Egitto”.
Forse che gli Ebrei avevano bisogno di loro? Per tutti i quarant’anni di permanenza nel deserto Israele aveva a disposizione la manna, il pozzo d’acqua e le quaglie, mentre le nubi di Gloria li circondavano! Ma è una questione di Derekh Eretz (buona educazione): i reduci da un viaggio si accolgono offrendo loro pane e acqua. E come li ha puniti il S.B.? “L’Ammonita e il Moabita non potranno mai entrare a far parte della radunanza di H. Neppure la loro decima generazione potrà entrare a farne parte, per sempre” (v. 4) Se tale è la punizione per chi non ha usato chessed verso chi non ne aveva bisogno, a maggior ragione per chi non usa chessed verso chi ne ha necessità! (Wayqrà Rabbà 34,8)
Il quadro della situazione ci è bene spiegato da Nachmanide nel suo commento ai nostri versetti. Ammon e Moav sono entrambi discendenti di Lot nipote di Avraham. Questi aveva salvato lui e la sua famiglia dalla distruzione di Sedom dove abitavano. Le due popolazioni avrebbero dovuto in seguito mostrare un minimo di gratitudine e ricambiare. Non solo. Durante la marcia di avvicinamento verso Eretz Israel era stato esplicitamente proibito ai Figli d’Israel di sconfinare nei loro territori: non c’era dunque il rischio alcuno di un’aggressione. Eppure Ammon si rifiutò di fornire loro vettovaglie, persino a pagamento (Devarim 2,28-29) e Moav pagò Bil’am affinché li maledicesse.
Ma ancorché le motivazioni alla base del provvedimento di esclusione fossero più che legittime, il suo peso si fece sentire per generazioni. Quando ai tempi del re Shaul Nachash l’Ammonita salì accampandosi contro Yavesh del Ghil’ad, gli abitanti della città gli offrirono un patto di sottomissione. Nachash accettò a condizione che essi si facessero cavare l’occhio destro in segno di sfregio (1Shem. 11,2). Perché proprio l’occhio destro? Rashì riporta un Midrash che lo spiega in senso metaforico: “Portatemi il Sefer Torah, che è la pupilla del vostro occhio destro e io cancellerò da esso il versetto: “L’Ammonita e il Moabita non potranno mai entrare a far parte della radunanza di H.”. La Torah non piaceva al re degli Ammoniti, perché decretava il bando del suo popolo per sempre.
Ancora ai tempi del re David si verificò un grave incidente diplomatico. Era morto il re degli Ammoniti e gli succedette al trono suo figlio Chanun. David mandò una delegazione a porgergli le condoglianze, ma i ministri insinuarono al nuovo re: “Pensi davvero che David abbia mandato dei consolatori per onorare tuo padre? Non sarà piuttosto che egli ha mandato da te i suoi servi per esplorare la città, per investigarla e poi distruggerla?” Anche qui Rashì amplifica il testo e motiva: “ti pare che David possa mostrarti amicizia, dal momento che nella sua Torah è scritto di Ammoniti e Moabiti: “Non dovrai per tutta la vita preoccuparti per la loro tranquillità e il loro benessere” (Devarim 23,7)? Allora Chanun prese i servi di David e rase loro metà della barba, tagliò loro a metà i vestiti fino alle natiche e li rimandò (2Shem. 10,3-4). Era questo un insulto, perché per gli Orientali la barba rappresentava la forza e la dignità dell’uomo. L’umiliazione provocò una guerra che si concluse con la disfatta degli Ammoniti e degli Aramei loro alleati. Infine, all’epoca della distruzione del primo Bet ha-Miqdash Ammoniti e Moabiti si diedero da fare per aiutare i Babilonesi. Mentre gli altri andavano alla ricerca di oro e argento da depredare, essi bruciarono per prima cosa i Sifrè Torah nei quali era scritto: “L’Ammonita e il Moabita non potranno mai entrare a far parte della radunanza di H.” (Rashì a Ekhah 1,10). Da quell’epoca in poi non si ha più traccia di queste popolazioni.
Alla base dell’odio fra gli uomini vi possono essere differenti motivi. Dalle dispute legate al territorio o più in generale ai beni economici, ai diverbi ideologici, alle controversie di carattere religioso, alle questioni di onore. Ma l’odio più insanabile è quello dettato da un bando. Essere o sentirsi esclusi da qualcosa cui altri hanno accesso, sia pure per i più giustificati motivi, può scatenare reazioni imprevedibili. A chi dice: “vengo anch’io”, non si può rispondere: “No, tu no”. E’ ciò che ha segnato le relazioni fra le religioni monoteistiche per secoli. La sfida in un mondo globale non può esaurirsi semplicemente nel dire: “L’Ammonita e il Moabita non potranno mai entrare a far parte della radunanza di H.”. Occorre piuttosto mettere l’accento sulle motivazioni e soprattutto sui valori in chiave positiva. Spiegare perché la nostra Torah insista in modo così perentorio sull’accoglienza e l’assistenza al punto di mettere a repentaglio per esse i rapporti fra i governi. Si potrà ancora discutere sulla forma migliore per garantire accoglienza e assistenza a chi ne ha bisogno senza che nessuno ci rimetta. Ma un principio è fermo: senza accoglienza e assistenza non ci sono relazioni umane, semplicemente perché l’umanità stessa è un prodotto di questi valori.