L’Ammonita e il Moabita non entreranno nella congrega dell’Eterno, nessuno dei loro discendenti, neppure alla decima generazione, entrerà nella congrega dell’Eterno”. (Deuteronomio 23:3)
La lettura di questa settimana ha un record, quello di contenere più precetti (74; 27 positivi e 47 negativi) tra le 54 sezioni in cui i cinque libro della Torà sono divisi. Uno di questi, il divieto di sposare un discendente delle nazioni di Amon e Moab, viene motivato per il fatto che il re di Moab assunse Bilam per lanciare una maledizione sui figli d’Israele nel tentativo di annientarli. Tuttavia, la Torà dice: “l’Eterno tuo Dio non ha accettato di ascoltare Bilam e l’Eterno tuo Dio ha trasformato per te la maledizione in una benedizione, perché l’Eterno tuo Dio ti ama”(Deuteronomio 23:6).
Insegnando questo precetto, Mosè rievoca l’episodio narrato nel libro dei Numeri, parla dell’Eterno “trasforma” la maledizione di Bilam in una benedizione, ma non sembra essere quello che è successo. Di fatto, non è stata pronunciata alcuna maledizione, Bilam avrebbe voluto maledire il popolo ebraico ma questo desiderio non si è mai concretizzato. Non ha potuto lanciare una maledizione perché Dio non glielo ha permesso costringendolo, invece, a benedire figli d’Israele.
Perché, allora, la Torà dice che Dio ha “trasformato” la maledizione in una benedizione?
La chiave per rispondere a questa domanda potrebbe essere trovata in un episodio del Talmud (Moed Qatan 9b) dove si narra che Rabbì Shimon bar Yochay consigliò a suo figlio, Rabbì Elazar, di andare a ricevere una benedizione da una coppia di retti studiosi, Rabbi Yonatan ben Asmay e Rabbì Yehudà. Rabbì Elazar andò da questi saggi e gli chiese la benedizione allorché i due maestri dissero: “Possa essere la Sua volontà che tu pianti ma non raccogli, porti dentro ma non porti fuori, porti fuori e non porti dentro, la tua casa sarà distrutta e il tuo alloggio sarà occupato, la tua tavola sarà confusa e non vedrai un nuovo anno”.
Rabbì Elazar, sconcertato da ciò che aveva sentito, tornò da suo padre e gli raccontò di questa stranissima “benedizione” che, ovviamente, a lui non suonava affatto come tale.
Rabbì Shimon bar Yochay spiegò al figlio che queste erano tutte grandi benedizioni. Ad esempio, “pianterai ma non raccoglierai” significava che avrebbe generato figli che non sarebbero morti. “Farai entrare e non porterai fuori” significava che avrebbe portato donne da sposare i suoi figli e loro sarebbero vissuti e non sarebbero morti. “La tua casa sarà distrutta” significava che la sua tomba, la sua ultima dimora, non avrebbe mai dovuto essere costruita per lui. In sostanza, quelle che sembravano maledizioni erano delle bellissime benedizioni.
Ora però, dobbiamo capire il perché questi maestri hanno formulato la loro benedizione in questo modo.
Se Rabbì Yonatan ben Asmay e Rabbì Yehudà volevano veramente benedire Rabbì Elazar, perché non hanno pronunciato una benedizione esplicita invece di impartirla in un modo che, oltre a sembrare una maledizione, necessitava della brillante interpretazione di Rabbì Shimon bar Yochay?
La risposta potrebbe essere nel principio che il vero potere di una benedizione, non deriva dalle parole ma dai pensieri, dai sentimenti e dalle intenzioni con cui le parole vengono pronunciate. Questi maestri volevano che la loro benedizione avesse un impatto più potente e così idearono una strategia in base alla quale Rabbì Elazar avrebbe dovuto consultarsi con suo padre, il grande Rabbi Shimon bar Yochai, il quale avrebbe interpretato la loro benedizione e così avrebbe trasmesso le sue nobili intenzioni nella benedizione. Ciò ha reso la benedizione particolarmente efficace.
Ora possiamo rileggere la storia di Bilam.
Bilam sapeva bene che il potere di una benedizione, o di una maledizione, risiede principalmente nei pensieri e nelle intenzioni di chi le proferisce. E quando Dio lo ha costretto a pronunciare benedizioni invece di maledizioni, il mago mesopotamico ha cercato di “superarLo in astuzia” e ha pronunciato quelle benedizioni con le intenzioni più ostili e maligne. Le parole pronunciate da Bilam sembravano bellissime benedizioni ma ognuna sottintendeva una maledizione devastante.
Ma, come dice la Torà questa settimana, “Dio non ha accettato di ascoltare Bilam” nel senso che non prestò assolutamente alcuna attenzione ai pensieri di Bilam e, in questo modo, la sua maledizione si trasformò davvero in benedizione.
Questa modalità comportamentale, quella di proferire parole che all’apparenza suonano come benedizioni ma che nell’intimo di chi le pronuncia sono l’esatto opposto, diventa paradigmatica. Chi indulge in tali biechi modi di agire non è, e non potrà mai essere, parte integrante della congrega del Signore. E anche se la Torà ci rivela che possiamo beneficiare della protezione divina contro le “false benedizioni”, l’episodio talmudico ci insegna che possiamo sempre sapere, grazie ad una guida, la giusta interpretazione di parole che, da soli, non comprenderemmo fino in fondo, Shabbat Shalom!