“Quando sarai entrato nel paese che l’Eterno tuo Dio ti dà come eredità e lo possederai e ti ci sarai stanziato. Prenderai delle primizie di tutti i frutti del suolo da te raccolti nel paese che l’Eterno tuo Dio ti dà, le metterai in un paniere e andrai al luogo che l’Eterno tuo Dio, avrà scelto per dimora del Suo Nome” (Deuteronomio 26:1-2).
Il brano della Torà di questa settimana, inizia con il precetto della presentazione dei Bikkurim/Primizie, un dovere che richiede ai proprietari terrieri di portare i loro primi frutti maturi al Santuario e di presentarli a un Sacerdote.
Sulla modalità della presentazione, la Torà dispone che i frutti debbano essere messi in un paniere.
Nel Talmud, (Baba Kama, 92a) si trova un dettaglio sorprendente riguardo i panieri usati per presentare le primizie. I ricchi proprietari terrieri portavano la loro offerta in cesti decorati, molto pregiati, che i Sacerdoti restituivano loro. I poveri agricoltori, invece, portavano le loro primizie in cesti semplici fatti di canne che i Sacerdoti poi tenevano per sé.
Questo dettaglio, può essere considerato la rappresentazione pratica del detto aramaico “Batar anya azla aniyuta”, che tradotto in modo approssimativo significa “i poveri diventano più poveri”. Insomma, i ricchi che potevano facilmente permettersi di acquistare un nuovo cesto lo recuperavano, i poveri, che con fatica e sacrificio si sono procurati i loro cesti, li perdono e dovranno procurarseli di nuovo l’anno successivo.
Perché i ricchi ricevono indietro i loro cesti, mentre i poveri no? Perché i poveri dovrebbero diventare ancora più poveri?
Una interpretazione di quello che appare un’ingiustizia sociale, è che ciò viene fatto allo scopo di salvare i poveri agricoltori dall’imbarazzo. Per restituire i cesti, i Sacerdoti avrebbero dovuto rimuovere i frutti dei poveri contadini e tutti i presenti avrebbero visto i loro prodotti che, con ogni probabilità, erano di bassa qualità. I contadini poveri non potevano permettersi le attrezzature avanzate o la manodopera extra necessarie per coltivare frutti della massima qualità e sarebbero quindi rimasti in imbarazzo del frutto del loro lavoro umile. Era quindi la salvaguardia della dignità della persona il motivo per cui i Sacerdoti trattenevano i cesti.
Ma c’è anche una possibile spiegazione aggiuntiva.
Proviamo ad immaginare come il contadino ricco e il contadino povero hanno ottenuto i loro cesti.
Il ricco proprietario terriero, molto probabilmente, è entrato in un negozio che vendeva cesti e altri utensili pregiati, ne ha trovato uno che gli piaceva e lo ha comprato. Il povero contadino, ovviamente, non poteva fare altrettanto. Lui, con ogni probabilità, ha trovato delle canne lungo la riva del fiume, le ha raccolte per portarle a casa e ha trascorso diverse ore insieme alla moglie a intrecciare i pezzi per formare un semplice cesto.
Quando i due portano i loro cesti di frutta al Santuario, il Sacerdote che riceve l’offerta destinata al Signore, tiene il cesto che il povero ha passato ore a realizzare, ma non è interessato al cesto del ricco, che ha facilmente acquistato in un negozio locale. Il semplice cesto di canne preparato con il sudore della fronte dal povero contadino, nel quale ha investito lavoro e impegno, è molto più prezioso della lussuosa ciotola acquistata dall’uomo ricco.
Il Signore non valorizza dunque il prodotto finale, ma il lavoro e lo sforzo che esercitiamo nell’esecuzione. Non il compimento di un precetto esprime il nostro profondo amore per il Signore, ma il modo in cui ci impegnato per eseguirlo.
Come insegna una massima rabbinica (Avot 5:23): “Lefum tzarà agrà/siamo ricompensati in conformità del lavoro estenuante che svolgiamo”.
È possibile che un precetto che è stato eseguito con perfezione ma che non ha comportato alcuno sforzo, sia valutato dal Signore meno di un precetto difettoso che una persona ha provato a eseguire con tutte le sue forze.
Investiamo tempo, pensiero e azioni costanti per studiare e osservare le mitzwoth; facciamo uno sforzo maggiore nelle tefillot, nella teshuvà e nella tzedakà, precetti associati proprio a questo periodo dell’anno e impariamo a sentirci privilegiati e gratificati per questo.
È l’impegno che si profonde per eseguire una mitzwà che dimostra l’amore e la volontà dell’individuo, indipendentemente dal risultato finale, Shabbat Shalom!