“Chiunque dei figli d’Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele darà dei suoi figli a Mòlekh, dovrà esser messo a morte… (Levitico 20:2). Il culto del Mòlekh era un rituale pagano in base al quale un genitore presentava il figlio al sacerdote, che poi lo offriva in sacrificio a quella divinità facendolo passare attraverso il fuoco.
Già nel brano della Torah della scorsa settimana (Levitico 18:21), la Torah introduceva il divieto di questo rituale motivandolo come profanazione del Nome di D-o. Nel brano di questa settimana, la Torah, oltre a ricordare che questo atto costituisce profanazione del Nome di D-o, aggiunge non solo quale sia la punizione per la trasgressione di questo divieto (morte per lapidazione), ma anche che questo atto abominevole, “Tammè et Miqdashy/profana il Mio Santuario” (Levitico 20:3).
È chiara, fin dalla lettura del testo sul piano letterale, la gravità di questa terribile offesa, sacrificare un bambino a un dio pagano. Ma in che modo questo culto a Mòlekh costituisce profanazione del Santuario?
Per rispondere a questa domanda, RaSH”Y (Rabbì Shelomo Ytzchqy, 1040-1105) propone una interpretazione diversa della parola “Miqdashy/Il mio santuario”. Il commentatore francese scrive che questa parola non si riferisce al Santuario/Bet Hakiqdash, piuttosto allude al popolo ebraico, che Dio considera il Suo luogo sacro. Offrire un bambino a Molekh, ha l’effetto di profanare la qedushà/santità del popolo d’Israele.
Il RaMBa”N (Rabbì Moshe Ben Nachman 1194-1270), spiega nel suo commento il concetto alla base dell’interpretazione di RaSH”Y e cita l’insegnamento del Talmud (Berakhot 35) secondo cui se uno mangia del cibo senza recitare la benedizione è come se avesse “rubato”, sia all’Onnipotente sia alla collettività di Israele. È chiaro il concetto della colpevolezza verso D-o, nel senso che tutto in questo mondo appartiene a Lui e che noi non ne possiamo fruire finché non riceviamo il Suo “permesso” la recitazione di una benedizione. Ma perché questo è considerato anche un “furto” ai danni di tutto popolo? Il RaMBa”N spiega che recitando le benedizioni sul cibo che mangiamo, rafforziamo la nostra consapevolezza dell’esistenza di Dio, in modo tale da diventare degni di avere in mezzo a noi la Shekhinà (presenza divina). Dobbiamo fare tutto quanto ci è possibile per glorificare D-o e onorarlo nel nostro mondo. Pertanto, quando mangiamo senza benedire, facciamo sì che la Shekhina si allontani, nel senso che la gloria di D-o in questo mondo è sminuita. E chi provoca il distacco della Shekhinà, in effetti, nega a tutto il popolo ebraico le grandi benignità che Essa porta. Pertanto, una persona che mangia senza recitare le benedizioni, è considerata colpevole di “furto” verso tutto il popolo ebraico. Il RaMBa”N aggiunge che non esiste “frutto” più grande, né bene più prezioso dei nostri figli. Ecco perché colui che offre suo figlio a Mòlech, piuttosto che allevarlo per essere fedele al Signore secondo l’insegnamento della Torah ed essere così “Merkavà LaShekhinà” un veicolo attraverso il quale il quale la Shekhinà possa dimorare tra il nostro popolo, è considerato aver “contaminato” il popolo ebraico. Il RaMBa”N ci ricorda la grande responsabilità che i genitori hanno di allevare i propri figli nel miglior modo possibile verso una vita di devozione alla Torah. Tutto ciò che il Signore ci dà, deve essere usato allo scopo di servirLo, di onorarLo e questo riguarda anche, e soprattutto, il nostro bene più prezioso, i nostri figli. Se il Signore ci ha benedetto con una prole, è perché possiamo fornire loro un’educazione secondo la Torah, per radicare in loro l’amore per il Signore e il desiderio di mettere in pratica la Sua volontà. Anche se il culto perverso del Mòlech, ovviamente, non esiste più, ci sono comunque forme moderne di questo culto.
Scelte comportamentali e azioni attraverso le quali i genitori “consegnano” i propri figli a idee e stili di vita estranei e distanti dalla via della Torah. I genitori che non riescono ad educare adeguatamente i propri figli, a guidarli lungo il percorso dello studio e dell’osservanza della Torah, stanno, in un certo senso, facedno passare il propio figlio nel fuoco del Mòlekh e, di conseguenza, “contamina il Santuario” del Signore.
I nostri figli ci vengono dati per uno scopo e noi siamo responsabili della loro crescita: portare gloria al Creatore affinché, per estensione, mantenga la presenza della Shekhinà in mezzo ai figli d’Israele, Shabbat Shalom!.