La rassegna stampa ebraica dal mondo di Kolòt a cura di Ruth Migliara
La top model kasher
America’s next top model è un reality show americano di successo. Una trasmissione televisiva in cui una decina di giovani e bellissime ragazze si sfidano per un contratto da modelle professioniste. Nell’edizione di quest’anno, tra le concorrenti, c’è Esther. Ciò che rende speciale questa aspirante modella è tuttavia un fatto: l’essere figlia di Marina Petrack, una ebrea ortodossa americana.
Questa diciannovenne del Massachusetts, invitata da Tyra Banks al suo celebre talk show proprio per la sua appartenenza religiosa, si è lasciata sfuggire una dichiarazione suscettibile di cattive interpretazioni.
Dopo aver parlato della sua osservanza dello Shabbat e di altri importanti precetti ebraici, avrebbe dichiarato che la sua astensione da ogni lavoro nel settimo giorno sarebbe sacrificabile alla partecipazione al programma che la vede impegnata come modella. La madre è intervenuta nella polemica che ne è derivata, per difendere sua figlia. Esther non avrebbe mai detto infatti di voler rinunciare allo shabbat.
Sarebbero stati gli autori, con un furbo taglio ad hoc dell’intervista, a distorcere il senso di un’ affermazione della ragazza. Questo per rendere più interessante la vicenda della bella ebrea ortodossa che si confronta con il mondo profano del fetish televisivo. Se questo era lo scopo, ci sono di certo riusciti, vista l’accesa polemica che ne è derivata.
L’apologia della signora Marina Petrack non sarebbe tuttavia solo dettata dalla volontà di difendere la figlia dalla pubblica onta, ma anche dall’esigenza di ripettare il principio ebraico del “ayn marit” (letteralmente “l’apparenza degli occhi”), per cui è tanto importante l’osservanza sostanziale delle mitzvot, quanto l’apparenza formale nel rispettarle.
Bere un bicchiere di latte di soia insieme a della carne va benissimo, ma se lo si fa in pubblico sarebbe bene evitare malintesi tenendo la bottiglietta del soya milk in bella vista, affinche nessuno possa pensare che si tratti di vero latte e che possa da questo sentirsi autorizzato a fare altrettanto. Un esempio banale per ribadire che un ebreo non ha solo responsabilità verso sè stesso, ma anche verso tutti gli altri.
http://www.tabletmag.com/scroll/47966/so-esther-of-‘antm’-is-observing-after-all/
Anche Naomi trova rifugio nella Kabbalah
Da qualche tempo il misticismo ebraico in versione New Age è entrato a far parte delle mode americane più glamour. Madonna, Britney Spears, Demi Moore e Paris Hilton sono già assidue frequentatrici del Kabbalah Center di Los Angeles.
Di recente un nuova adepta sembra aver aderito al movimento di cui è leader il colombiano Samael Aun Weor, autore del testo principale del gruppo, “manuale di magia pratica”: Naomi Campbell. La modella inglese afferma infatti di essersi dedicata negli ultimi anni allo studio del pensiero mistico ebraico. Ci chiediamo come ne abbia avuto il tempo, tra violenze su collaboratrici domestiche e altre follie da diva.
Ma soprattutto sorge spontaneo il dubbio sulla genuinità dell’insegnamento di questa versione edulcorata e banalizzata della mistica ebraica, che, pur catturando l’attenzione di molti personaggi famosi, non sembra avere effetti positivi sulla moralità della loro condotta.
http://www.jewcy.com/post/one_more_crazy_celebrity_kabbalah_center
Uno Schindler giapponese
Persone sorridenti al fianco di un piccolo e sottile uomo giapponese. Il mare increspato a far da sfondo. Tanta speranza negli occhi. Sono vecchie fotografie in un diario dalle pagine ingiallite. Sul retro di una di queste immagini, una scritta in francese: “i miei migliori auguri al mio amico Tatuo Osako”.
Osako, proprietario del diario, fu un impiegato dell’Ufficio del Turismo Giapponese. Settant’anni fa, insieme ad altri suoi colleghi, aiutò molti ebrei a fuggire dall’Europa nazista. Migliaia di persone, nei primi mesi di guerra, ricevettero permessi per raggiungere il Giappone e porsi in salvo dalle persecuzioni.
A rendere possibile questo viaggio della speranza furono impiegati, burocrati e diplomatici del principale alleato della Germania hitleriana: il Giappone. Questi uomini, a rischio della loro stessa incolumità e spesso agendo all’oscuro del proprio governo, permisero la salvezza di moltissimi ebrei.
Chiune Sugihara, un diplomatico Giapponese di stanza in Lituania, onorato nel 1985 dal Vad Vashem come “giusto tra le nazioni”, ha ispirato anche un breve film ,”Visas and Virtue,” che ha vinto l’ Academy Award nel 1997 e due musei, uno in Lituania e uno nella città dove nacque.
http://www.haaretz.com/jewish-world/the-small-japanese-army-that-led-nazi-era-jews-to-safety-1.319617
A caccia di studenti ebrei
Piccole università della provincia rurale americana fanno a gara per reclutare studenti ebrei. Lo fanno offrendo ristoranti, caffè e centri studenteschi Kasher, anche se la percentuale ebraica non è che una minima parte della popolazione universitaria totale. Perché?
“Siamo un’università privata, e il reclutamento di studenti di alta qualità è sempre il nostro obiettivo”, ha detto Jeffrey Huberman, il preside della Bradley University di Peoria in Illinois, una delle scuole che mettono in atto questa strategia.
In via ufficiosa, molti ammettono infatti che la presenza di studenti ebrei apporti numerosi benefici per la loro capacità di leadership, il buon profilo accademico e poiché in generale si aumenterebbe così “la diversità”, creando un ambiente universitario ricco di stimoli umani e intellettuali.
Alcuni parlano anche di una maggiore propensione a donazioni post laurea, con gli ovvi vantaggi per l’università che se ne avvantaggia.
E’ giusto sentirsi lusingati da questo interesse e guardare ai vantaggi concreti ottenuti in termini di servizi offerti e facilitazioni , o sentirsi pur sempre discriminati, seppure in positivo, da una strategia di mercato che valuta gli Ebrei come target di alta qualità?
http://www.jta.org/news/article/2010/10/10/2741222/small-rural-colleges-cater-to-growing-jewish-populations
Con la scusa della crisi le organizzazioni ebraiche offrono sempre meno
Gli economisti affermano che la recessione sarebbe terminata già da un anno. Eppure i dati concernenti le associazioni ebraiche caritatevoli sembrano affermare il contrario.
Una lista annuale, realizzata dal “Chronicle of Philantropy”, delle maggiori organizzazioni no-profits degli Stati Uniti riporta un declino del 18,5 % nella raccolta fondi da parte degli enti di beneficenza ebraica, mentre solo una diminuzione del 10 % si registrerebbe per l’elenco nel suo complesso.
Sono 22 le organizzazioni ebraiche a rientrare nella lista. Solo due sono tra le prime 100: The Jewish federations of North America e l’L’American Jewish Joint Distribution Committee, rispettivamente al posto 45 e 78.
Un dato che dà poca soddisfazione se si pensa che nel 1991 due associazioni ebraiche erano persino nell’elenco delle prime 10. Un miglioramento tuttavia si sarebbe già registrato in questo 2010 e ottimisti, riguardo al futuro, sembrano essere i portavoce degli enti di beneficenza in questione.
Resta da vedere se, insieme alla recessione effettiva, si dileguerà presto anche la sensazione di povertà che ha caratterizzato questa grande crisi e che ha reso tutti un po’ meno generosi nel dare.
http://www.jta.org/news/article/2010/10/19/2741360/jewish-groups-fare-poorly-on-annual-fundraising-list