Dalle stelle del socialismo mondiale alle stalle dell’isolamento fiduciario è un attimo. Questo, almeno, sembra dimostrare la vicenda dell’ex leader del Labour inglese, Jeremy Corbyn. È bastato poco più di un anno per stravolgere il suo destino. Eh sì, perché quando Teresa May lasciava il governo del Regno Unito il 24 luglio 2019, l’opposizione socialdemocratica nei sondaggi aveva raggiunto i conservatori e Jeremy veniva citato dai politici di mezzo mondo come un simbolo. Poi l’arrivo al potere del british Trump, Boris Johnson, la sua forzatura sulla Brexit e la totale incapacità del Labour di indicare una strada alternativa (“Brexit sì, Brexit no?”, “Referendum bis sì, referendum bis no?” Altro che “La terra dei cachi”, come cantavano quelli di Elio e le storie tese…). Quindi il flop alle elezioni dello scorso dicembre, le necessarie dimissioni da segretario e ieri la pietra tombale: il suo partito lo ha sospeso.
Il motivo? Un’inchiesta della Commissione britannica sui diritti umani accusa il Labourdi Corbyn di essere stato responsabile dal 2015 al 2020 “di discriminazione e vessazione” nei confronti di membri e iscritti ebrei. “C’era una cultura che, nel migliore dei casi, non ha fatto abbastanza per prevenire l’antisemitismo e, nel peggiore, sembrava accettarlo” si legge nel documento. Corbyn ha commentato il dossier dicendo che «chiunque affermi che non c’è antisemitismo nel Partito Laburista si sbaglia». Ma ha aggiunto: «la portata del problema è stata anche drammaticamente sopravvalutata per ragioni politiche dai nostri oppositori, anche interni (in riferimento all’ala centrista-blairiana n.d.r.), nonché da gran parte dei media». Da qui la decisione di siluralo.
Le sue presunte tesi anti-ebraiche sono una questione spinosa da tempo. Nel conflitto israelo-palestinese si è sempre schierato palesemente dalla parte palestinese. Non solo: l’oramai ex laburista è da tempo accusato di aver coperto alcuni membri del partito che si erano lasciati andare a frasi shock. Un esempio su tutti: un candidato alle elezioni locali di Peterborough aveva definito l’uccisione di massa degli ebrei da parte dei nazisti «una bufala». Nel 2016 lo stesso Corbyn aveva chiesto un’indagine interna e quando si concluse fu costretto ad ammettere che dal 2015 al 2018 c’erano stati trecento casi di dichiarazioni antisemite tra i social-democratici.Per questo alcuni attivisti laburisti ebrei avevano denunciato di essere stati discriminati e molti se ne erano andati perché «disgustati da ciò che avveniva nel partito», come disse Luciana Berger.
L’attuale leader del Labour, Keir Stramer, dopo la bufera non ha usato mezzi termini: «È il nostro giorno della vergogna. Chiedo vivamente scusa per il dolore che il mio partito ha causato. Se ci sono ancora persone che pensano che non ci siano stati problemi con l’antisemitismo, che sia tutto esagerato, allora, francamente, anche tu sei parte del problema». Briatore l’avrebbe detta meglio: “bye bye Jeremy, sei fuori!”. Lui, ora, giura vendetta: «Mi opporrò duramente» scrive su Twitter, ma che la sua carriera politica sia finita sembra evidente.
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