L’arca di Noè
«E disse Iddio a Noè, la fine di ogni vivente è giunta a me (ho decretato la loro fine) poiché la terra è piena di violenza a causa loro per cui ora li distruggo insieme alla terra». «Fatti un’arca di giunco …».
Genesi 6, 13-14
Vieni e rifletti perché Iddio disse a Noè di costruirsi un arca.
Affinché la gente lo vedesse occupato (con la costruzione dell’arca) e facesse penitenza.
Forse che Iddio non poteva salvarlo con la sua parola? o facendolo salire in cielo? Perché gli ha detto ‘fatti un’arca’?
Disse Iddio: «Dal momento che gli dico ‘fatti un’arca di giunco’ egli se ne dovrà occupare, dovrà tagliare cedri; allora (gli uomini) andranno da lui e gli chiederanno: ‘Noè, che cosa fai?’ Ed egli risponderà: «Un’arca, perché Dio ha intenzione di far venire un diluvio sulla terra’. E gli uomini udendo ciò faranno penitenza».
Così Iddio pensava. Ma non badarono a Lui.
Midràsh Tanchumà 58, 5
Noè piantava dei cedri e la gente gli domandava: «A che cosa servono questi cedri?». Rispose loro: «Dio vuol provocare un diluvio e mi disse di fare un’arca perché possa scampare io con la mia famiglia».
Le persone ridevano di lui e lo schernivano.
Egli annaffiava i cedri che crescevano e la gente gli domandava:
«Che cosa fai?».
Ed egli dava la stessa risposta. E gli uomini lo schernivano.
Infine li tagliava e segava e gli uomini gli domandavano: «Che cosa fai?» Ed egli dava sempre la medesima risposta, quindi li ammoniva. Dal momento che non si pentirono, immediatamente Dio inviò contro di loro un diluvio come è detto: ‘e fu cancellato ogni vivente’.
Altra versione del midràsh
La storia di Noè è nota: Dal momento che Iddio ha deciso di distruggere l’umanità con un diluvio, a causa della sua corruzione, Egli comanda a Noè di costruire un’arca per mettersi in salvo con la sua famiglia.
Sembra che le colpe fossero di due tipi:
1) Incesto e idolatria – colpe commesse direttamente verso Dio
2) furto, secondo chi interpreta la parola ‘hamàs’ come ‘furto’.
Già fecero notare i commentatori come la decisione estrema della distruzione sia venuta principalmente a causa del furto (cfr. v. 11 e 13)[1].
Il problema affrontato dal midràsh è l’arca. Perché Iddio comanda a Noè di costruire un’arca? La risposta potrebbe essere ovvia: per salvare Noè e la sua famiglia. Ma tale risposta deve tener conto di una ovvia constatazione dedotta da un’attenta riflessione sulle vicende del diluvio: come avrebbe potuto un’arca resistere un diluvio universale che avrebbe sconvolto le fondamenta della natura? L’arca è quindi solo un mezzo, il quale si realizza mediante la salvezza di Noè e della sua famiglia.
Inoltre. Ammettiamo per ipotesi che l’arca servisse soltanto per salvare Noè. Perché Iddio gliela la costruire in 120 anni circa? Risponde il Midràsh: l’arca in realtà non serviva per salvare Noè e la sua famiglia dal diluvio, bensì per ammonire gli uomini dell’arrivo del diluvio, e renderli coscienti di ciò che stava per accadere. Tutto ciò affinché l’umanità si pentisse del male che stava facendo e ritornasse sulla retta via. Iddio non poteva distruggere il suo mondo, le sue creature, senza tentare di farli tornare sulla retta strada, per questo, secondo il Midràsh ordinò di costruire l’arca. Ma gli uomini sembravano sempre più decisi a continuare nella via errata, così venne il diluvio.
È interessante ora soffermarsi sul linguaggio e lo stile del Midràsh. Il discorso del Midràsh è chiaro: Iddio, constatando che gli uomini si comportano male, per mezzo di Noè fa costruire un’arca affinché gli uomini facciano penitenza; e siccome l’avviso a nulla serve, viene il diluvio. Tuttavia il Midràsh non si limita a esprimere il concetto in modo astratto, ma sceglie una via concreta, il discorso, il dialogo, in modo da rendere la figura, l’idea, l’immagine molto più vicina al mondo del lettore o dell’uditore. Il Midràsh fa questo non solo per esprimere il concetto con maggior realismo, ma anche perché l’uomo impari ad esaminare bene la società circostante e migliori il suo comportamento; il problema evidenziato dal Midràsh nei confronti della società del diluvio è lo stesso problema che si propone agli uomini di ogni generazione.
Nel primo Midràsh sono messi in risalto i piani divini; elemento importante, che dimostra fino a qual punto arrivino i Maestri per rendere più chiara e meno astratta l’esposizione: rivelando ciò che Iddio dice a sé stesso, presentano l’immagine divina in modo antropomorfico: «Cosi Iddio calcolava» «Disse Iddio», ecc. Tale modo di espressione del Midràsh attinge le sue radici nello stesso testo biblico laddove ad esempio si tiene presente l’espressione, attribuita alla Divinità nei confronti della generazione del diluvio: «Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuore. Il Signore disse: distruggerò dalla faccia della terra, ecc. …» (Genesi 6, 6- 7). Ancora dopo il diluvio: «Il Signore … disse in cuor suo: non maledirò più la terra a causa dell’uomo…» (Genesi 8, 21). Nel secondo Midràsh i pensieri divini diventano realtà; l’espressione del primo Midràsh «Ma essi non badarono a lui» acquista maggior chiarezza con il secondo Midràsh, in cui viene presentato il dialogo fra Noè e gli uomini del diluvio.
Quanto fosse arduo il lavoro compiuto da Noè per far recedere gli uomini dalla strada sbagliata, viene illustrato in forma più chiara e semplice mediante il racconto relativo alla piantagione di cedri, all’annaffiamento, alla crescita, al taglio ed alla segatura ecc. Particolari che ci dimostrano quante occasioni avevano gli uomini per pentirsi del loro comportamento; viceversa a ogni azione di Noè essi rispondono con derisione e scherno. Notare come ad ogni azione di Noè chiedano: «Che cosa fai?» e egli risponda: «Iddio mi ha detto …», conseguenza: scherno. Solo nell’ultima azione è scritto: «E li ammoniva». Per dimostrare come Noè, arrivando all’ultima fase del suo lavoro, dopo la quale nulla sarebbe più servito, cercasse con maggiore tenacia di convincerli. Ma anche l’ultimo sforzo risultò vano e così venne il diluvio.
[1] V. Y. ZEGDUN, Guida allo studio della Torà, a cura dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, Roma, 1978, pp. 22-25.