Tora e democrazia
«Perché questi precetti che io ti comando oggi non sono una cosa straordinaria oltre le tue forze, né sono cosa lontana da te». «Non è nel cielo, sì che tu debba dire: Chi salirà per noi fino al cielo per prendercela, e ce la farà ascoltare, sì che possiamo porla in atto?’. «E neppure è al di là del mare, sì che tu debba dire: Chi passerà per noi al di là del mare per prendercela, e ce la farà ascoltare, sì che possiamo porla in atto?’ «Questa cosa ti è molto vicina; è nella tua bocca, è nel tuo cuore, perché tu possa eseguirla».
Deuteronomio 30, 11-14
C’è una controversia fra i Maestri nell’interpretazione delle parole «non è nel cielo»; cioè se da queste bisogna dedurre che la Torà è molto vicina a noi e non ci rimane altro che insegnarla e eseguirla in pratica o piuttosto, siccome essa non è nel cielo, bensi dentro di noi, su di noi ricade la grande responsabilità dell’interpretazione della Legge.
Ciò si rileva appunto dal Midràsh seguente, che narra di una grande controversia sorta Ira Rabbì Elièzer ben Orkanos e i Maestri:
«In quel giorno Rabbì Eliézer diede tutte le risposte possibili e immaginarie, ma i Maestri non le accettarono.
Egli disse loro: ‘Se la legge è conforme alla mia interpretazione, lo provi questo carrubo!» Il carrubo si spostò dal suo posto di cento braccia, altri sostengono quattrocento braccia.
Gli risposero: ‘Non si può portare una prova con un carrubo».
E egli disse loro: ‘Se la legge è conforme alla mia interpretazione, lo provi questo corso d’acqua!». L’acqua si mise a scorrere all’indietro. Gli dissero: «Non si può portare una prova da un corso d’acqua».
E egli continuò e disse loro: «Se la legge è conforme alla mia interpretazione, le pareti di questa scuola lo provino!». Le pareti s’inclinarono e stavano per cadere.
Rabbì Jeosciùa le rimproverò dicendo: ‘Se gli studiosi disputano fra di loro sulla Legge, voi che c’entrate?’.
Le pareti, per rispetto verso Rabbì Jeosciùa non caddero, e per rispetto verso Rabbì Eliézer non si raddrizzarono, ma rimasero inclinate.
Continuò (Rabbì Eliézer) e disse loro: ‘Se la legge è conforme alla mia interpretazione, sia il cielo a provarlo!».
Uscì una Voce Divina che disse ‘Che cosa avete tutti contro Rabbì Eliézer? In ogni questione l’interpretazione è conforme alla sua opinione.
Si alzò Rabbì Jeosciùa e disse:’ ‘Non è nel cielo!’ (Deut. 30, 12). Che cosa significa questo? Rabbì Yermeyà disse: ‘Non possiamo dare valore a una Voce Divina, perché hai scritto nella Torà; ‘Segui la maggioranza’ (Esodo 23, 2).
Rabbì Natàn trovò il profeta Elia, a cui chiese ‘Che cosa fece Iddio in quel momento (cioè quando i Maestri risposero: non diamo retta ad una Voce che proviene dal cielo)? Gli rispose: «Sorrise e disse: 1 miei figli mi hanno vinto, i miei figli mi hanno vinto!’».
TB Bavà Metzià 59b
Il Midràsh riferisce una grande controversia: da una parte Rabbi Elièzer che sostiene di avere ragione e dimostra la sua tesi con dei fatti soprannaturali, dall’altra i Maestri che non convinti delle argomentazioni del loro collega, non accettano neanche delle prove miracolose.
È chiara l’idea dei Maestri: chi vuol avere ragione lo dimostri con argomentazioni logiche e solo allora gli si potrà dare ragione.
Tuttavia Rabbi Elièzer insiste e chiama in causa Iddio stesso, che gli dà ragione. Ma i Maestri, con un insegnamento valido anche per i posteri, ripropongono l’idea basilare della Torà: «la Torà non è nel cielo» bensì «nella tua bocca e nel tuo cuore, affinché tu la esegua». Quindi si può contraddire Dio stesso, se questa è l’opinione della maggioranza, come appunto è scritto nella Torà: «Segni la maggioranza».
I Maestri propongono una lettura in chiave democratica della Torà: fatto che comporta maggiori responsabilità, ma senza il quale non c’è vera libertà.
Si dimostra quindi con tale Midràsh che la Torà non è una eredità di singoli stregoni, maghi, ecc. bensì appartiene a noi, a noi che la studiamo, a noi che la insegnamo, a noi che l’applichiamo.
È scritto nelle Massime dei Padri: «Disponiti a studiare la Torà, poiché essa non passa in eredità»; e ancora: «A chi appartiene la Torà? A chi più la studia».