Giuseppe il giusto
«I fratelli di Giuseppe, visto che il padre loro era morto, pensarono: ‘Forse Giuseppe ci serberà rancore per tutto il male che gli abbiamo fatto’. Mandarono dei messi a Giuseppe… Dite a Giuseppe: ‘Perdona deh! la colpa dei tuoi fratelli’ … mentre gli parlavano pianse … disse loro: ‘Non temete! Sono forse al posto di Dio? Del male che voi avevate pensato di farmi, Dio si è valso a fin di bene. Non abbiate paura, io manterrò voi e i vostri figli».
Genesi 50, 15-16
Disse Rabbi Simeone: ‘Troviamo nella Torà, nei Profeti e negli Agiografi, che un uomo deve uscire d’obbligo verso l’uomo e verso il Creatore.
Dalla Torà, da dove s’impara? Come è detto (Numeri 32, 22): ‘Allora sarete esenti dalla colpa sia di fronte al Signore che di fronte a Israele’.
È detto: «E videro i fratelli di Giuseppe che il loro padre era morto’. Che cosa videro?
Disse Rabbì Jitzchàq: ‘Videro Giuseppe, che quando tornò dalla sepoltura del padre, andò a guardare dentro al pozzo (in cui era stato gettato dai fratelli, Gen. 37, 23-24), ma egli fece ciò con buone intenzioni.’
Disse Giuseppe: ‘Quanti prodigi mi fece Iddio, che mi ha salvato dal pozzo’; ma i fratelli non sapevano che cosa avesse in mente Giuseppe in quel momento e così pensarono: «Forse Giuseppe ci serberà rancore…
Minshnà Derabbì Elièzer, cap. 7
La storia di Giuseppe è complessa.
Qui ne è riproposta solo una piccola parte. Come si sa, i fratelli vendettero Giuseppe o perlomeno furono la causa della sua vendita. Giuseppe finisce in Egitto, dove diventa viceré.
Più tardi si incontra con la sua famiglia, che si stabilirà in Egitto, nella terra di Gòshen.
Finché il padre Giacobbe era in vita, i fratelli si sentivano coperti da una eventuale vendetta da parte di Giuseppe; ora, invece, con la morte del padre, si sentono insicuri.
I commentatori vedono nella frase superflua «visto che il padre era morto», la causa del loro timore. I fratelli avrebbero notato, dopo la morte del padre, un atteggiamento strano da parte di Giuseppe.
Dice Rashì: «Non li invitò alla sua tavola come faceva di consueto». Secondo il midràsh il motivo della paura è un altro.
Giuseppe, dice il Midràsh, non è un personaggio che dimentica il bene ricevuto da Dio ora che vive in prosperità.
Infatti, tornando dalla sepoltura del padre (avvenuta nella terra di Israele), si avvicina al pozzo, ricordandosi in quel momento, della sua vita intrecciata di salite e discese (pozzo):
prima viene gettato nel pozzo, poi venduto a Potifàr in Egitto e Ili viene nominato supervisore della casa.
In seguito viene mandato in prigione (pozzo) da dove esce e diventa viceré.
Nella mente di Giuseppe vi erano buone intenzioni: «Quanti prodigi mi ha fatto Dio che mi ha salvato da questo pozzo».
Tuttavia ha commesso un errore, nel momento del ringraziamento a Dio, ha trascurato un elemento importante: i fratelli.
È necessario, quando compiamo un’azione, che essa sia comprensibile non solo per Dio, ma prima di tutto per gli uomini.
Questo è l’insegnamento del Midràsh, che fa notare sia i lati positivi di Giuseppe, sia i suoi errori.
Giuseppe, accortosi dell’errore, rimedia subito, dando un esempio di signorilità, umiltà e onestà, che è stato premiato dai Maestri che l’hanno chiamato con l’appellativo di «Josèf Hatzaddik» «Giuseppe il giusto».