Deborah Fait
Sono circa 9000 sparsi per tutto il paese. Italiani venuti in Israele prima del 48 e poi negli anni a venire. Italiani oggi anziani ma con la memoria viva, pronti a raccontare le loro avventure, le loro tragedie, le loro fughe dall’Italia fascista e post fascista e poi ancora le loro fughe dagli inglesi che non li lasciavano arrivare in Israele.
Racconta Miriam: “Avevo 13 anni, gli inglesi volevano farci tornare indietro, mi sono gettata in mare dalla nave ancorata al largo della costa e sono arrivata a nuoto“.
In Israele venivano ospitati in tende e dovevano fare attenzione alle scorribande degli arabi sempre pronti a entrare nei campi dei nuovi ebrei per ammazzarli.
I profughi di allora sono poi diventati stimati professionisti, intellettuali, si sono integrati con estrema facilità e si sono trasformati completamente e orgogliosamente in israeliani.
Colti e preparati, gli italiani di Israele sono stati una spinta molto positiva per il paese e la sua crescita sociale ed economica, hanno amato Israele con la fiducia e l’innocenza che i figli danno alla Madre che li riaccoglie abbracciandoli dopo anni di peripezie e di esilio. Forse si sentivano finalmente a casa questi ebrei, sionisti al punto da dimenticare di insegnare ai figli la lingua d’origine per usare solo l’ebraico con cocciutaggine. Taglio netto col passato.
Erano i sentimenti di allora, troppe sofferenze, troppa paura, troppi brutti ricordi, dimenticare tutto per ricominciare a vivere nel paese che li aveva ricevuti in povertà, la povertà di allora, una vita spartana da pionieri ma tanta solidarietà.
I fratelli erano insieme ai fratelli e lottavano per avere una casa e per dare un futuro ai loro figli, lontano dall’inferno d’Europa.
E poi ancora guerra, proprio qui dove erano venuti a cercare un po’ di pace e sicurezza, ma era diverso: non più la fuga, non più la paura di essere traditi, denunciati e trascinati, inermi, a perdere la dignità e la vita nei lager, questa volta la guerra era per la vita e per il futuro.
Un’esperienza nuova, una speranza nuova, tutti insieme, tutti uniti, fratelli ebrei, per difendersi dai nuovi carnefici. Difendersi, mai più subire.
Gli ebrei italiani sono sempre arrivati in Israele a ondate ma sempre pochi, chissà perché, forse per pigrizia, forse per la difficoltà di abbandonare, senza necessità, le comodità e la sicurezza per una vita più faticosa e pericolosa.
Arrivavano sull’onda dei rigurgiti antisemiti che si riversavano sul tranquillo e borghese mondo ebraico italiano ogni volta che Israele era cattivo:
Nel 1967 Israele aveva vinto e conquistato dei territori e un certo numero di ebrei italiani preferirono abbandonare l’Italia, stufi di sentirsi apostrofare come criminali perché Israele non si era lasciato distruggere come promesso dagli arabi.
Nel 1973 ancora peggio, l’invasione questa volta! ma Israele aveva ribaltato con disperato coraggio la situazione e aveva ancora osato vincere.
Altri italiani arrivarono.
Nel 1975, alle Nazioni Unite, un Segretario nazista aveva appoggiato la richiesta dei paesi arabi e il sionismo fu parificato al razzismo.
Altri italiani arrivarono.
L’ondata maggiore di antisemitismo fu nel 1982, il culmine dell’odio superato soltanto in questi ultimi due anni e altri italiani arrivarono disgustati, delusi , amareggiati.
La Bella Italia paragonava Israele al Male e al Demonio, filoarabi invadevano le piazze di Roma e Milano urlando slogan per la distruzione del piccolo Paese penetrato in Libano per difendersi dai continui bombardamenti e scorrerie palestinesi con assassini di intere famiglie e di bambini nelle scuole delle citta’ della Galilea.
Bambini ebrei nelle scuole statali italiane venivano maltrattati e offesi.
I pacifisti dell’epoca sfilavano bardati di kafiah, a pugno chiuso, urlando “Morte a Israele”
Il piccolo Stefano Tachè, a Roma, fu ammazzato.
Fiumicino, Achille Lauro, Sigonella, pacifisti, odio … lo stato di Israele deve essere distrutto, urlavano.
Via via italiani ebrei, via dalla Bella Italia!
Poi Oslo e allora finalmente gli italiani arrivavano con gioia, per studiare, poi gli piaceva e si fermavano, volevano aiutare il paese a svilupparsi sempre di più e sempre meglio nella Pace tanto desiderata.
Quanta felicità e quanta speranza in quegli anni, quanto entusiasmo e ottimismo, a quei ragazzi, tra i quali c’era anche mio figlio di appena 19 anni, sembrava di avere il mondo in mano: Israele, la PACE, il futuro.
Purtroppo quel bel sogno venne cancellato da Arafat che, non accettando le proposte di Barak, anziché fare delle controproposte come si usa, tra persone civili, quando sono in corso importanti trattative, da barbaro terrorista qual è preferì la guerra.
Gli italiani che arrivano oggi sono un po’ diversi, meno sognatori, alcuni vengono per ideologia, altri fanno aliyà disgustati dal nuovo rigurgito di antisemitismo che scuote l’Italia e l’Europa. Non sono molti purtroppo, pare che tra gli ebrei italiani, a differenza di quelli di altri paesi, il sionismo non sia molto gettonato.
Hanno paura, la guerra, il terrorismo, l’incertezza, la crisi economica. Timori più che comprensibili ma Israele avrebbe tanto bisogno di sentire un po’ di solidarietà.
I tempi sono cambiati, diciamoci la verità:
Chi avrebbe oggi il fegato di scavalcare il parapetto di una nave, gettarsi tra le onde e arrivare in Israele a nuoto?
Per amore, soltanto per amore.
Pubblicato dalla newletter Kolot: Martedì, 18 marzo 2003 8:35