Alfredo Mordechai Rabello
Sulla recente problematica dei matrimoni misti e conversioni all’Ebraismo specialmente nello Stato di Israele
Introduzione: valore e conseguenze del matrimonio misto.
Uno dei problemi principali che il popolo ebraico deve affrontare è quello dell’assimilazione, con i conseguenti matrimoni misti, che comportanto anche il problema delle conversioni[i]. A tal proposito è da notare che ci incontriamo con due tipi di candidati al ghiur (conversione all’Ebraismo): il primo, completamente disinteressato, che viene per amore del popolo ebraico, del Sig-nore e della Sua Torà: una volta convintosi della buona fede del convertendo il bet-din (tribunale rabbinico) non avrà normalmente alcun problema ad accettare tale persona come gher zedek, anche se all’inizio del processo gli farà presente quanto difficile sia la situazione del popolo ebraico.
Sono questi i gheré hazedek che nella Tefillà giornaliera precedono i normali figli di Israele e chi scrive ha avuto la fortuna di avere un tale gher zedek come suo chavruta vatik alla Jeshivà Mercaz Harav a Jerushalaim, a metà degli anni 60 del secolo scorso: non è a questo tipo di gherim ai quali faremo riferimento in questo articolo, bensì al secondo tipo, cioè a quella persona che avendo già incontrato un partner ebreo, venga a chiedere di convertirsi: non è a caso che il prototipo dei gherim sia proprio una donna, Rut, che era stata sposata ad un ebreo… Abbiamo inoltre i figli od i nipoti di un ebreo. La problematica può essere differente in Erez Israel e nei paesi della Golà, data appunto l’influenza che può esercitare l’ambiente. Vorremmo sottolineare due punti: 1) tanto più grande è l’assimilazione che ci circonda, tanto più rigoroso sarà il tribunale rabbinico nell’accettare gherim sapendo appunto che l’ambiente circostante potrà facilmente indurre il gher a trasgressioni; 2) ogni decisione comporta una grande responsabilità, cioè uno si assume responsabilità verso D-o e il popolo ebraico sia che accetti il gher, sia che lo respinga, naturalmente per motivi diversi.
Possiamo dire che il problema dei “matrimoni misti” nasce nell’Ebraismo con lo stesso Padre del popolo ebraico, quando cioè Avraham invia il suo servo fedele nella terra della sua famiglia d’origine per prendere da lì la moglie per il figlio Izchak :
Avraham era vecchio in età avanzata, e il Sign-re lo aveva benedetto in tutto. Al suo servo vecchio di casa, che sopraintendeva tutto ciò che egli possedeva, disse: “Poni la tua mano sotto la mia coscia. E ti farò giurare per il Sign-re D-o del cielo e D-o della terra, che non prenderai una moglie per mio figlio dalle figlie dei Cananei in mezzo ai quali io abito; ma andrai alla mia terra e al mio parentado e là prenderai la moglie per mio figlio Izchak..[ii] (Bereshit., 24:1-4).
Nella Bibbia troviamo altri passi che si riferiscono ai matrimoni misti, ed il motivo principale per il quale questi matrimoni vengono proibiti è quello di evitare la caduta nella idolatria e nella assimilazione, per poter permettere al popolo di adempiere la sua funzione divina:
Guardati di non fare alleanza con gli abitanti di questo paese, i quali si prostituiscono al culto delle loro divinità, offrendo loro sacrifici; essi ti inviterebbero a prendere parte ai loro banchetti, e tu ne godresti e consumeresti il loro sacrificio. In seguito tu sceglieresti, fra le sue figlie, spose per i tuoi figli, le quali figlie, praticando il culto idolatra, spingerebbero i tuoi figli a seguirle nella loro idolatria. (Shemot 34, 15-16).
Non si trattava certo di un pericolo teorico; esso era al contrario ben reale e poteva colpire anche le personalità più elevate, come possiamo apprendere da questo episodio:
Ed ecco che viene uno dei figli d’Israele e presenta ai suoi fratelli una Midianita, agli occhi di Moshé e agli occhi di tutta l’assemblea dei figli di Israel, i quali piangevano all’ingresso del padiglione della testimo[אמר1] nianza. Lo vide Pinchas, figlio di El’azar, figlio del sacerdote Aron, si alzò di mezzo all’assemblea, e prese in mano una lancia; entrò dietro l’uomo di Israele e trafisse tutt’e due, l’uomo d”Israele e la donna sul giaciglio di lei, e s’arrestò la mortalità dei figli di Israel. (Bemidbar 25,6-8)[iii].
In Devarim ritorna il divieto, con la stessa motivazione, divieto che viene pronunciato alla vigilia dell’ingresso in Eretz Israel, come a voler sottolineare che anche qui non si è esenti dal pericolo di idolatria:
Quando il Sign-re ti avrà condotto alla terra verso la quale tu ti dirigi per possederla e avrà scacciato davanti a te molte nazioni: i Chittei, i Ghirgasei, gli Emorei, i Cananei, i Perizei, i Chivvei, gli Jevusei, sette grandi nazioni più potenti di te, ed il Sign-re tuo D-o li avrà posti davanti a te e tu li avrai battuti… non farete matrimoni con loro; la tua figlia non darai al loro figlio e la loro figlia non prenderai per tuo figlio, perchè essa farebbe allontanare tuo figlio da Me e servirebbero altri dei…>> (Devarim, 7, 1-4)[iv].
Nei libri biblici troviamo talvolta casi di matrimoni misti, come ad esempio nel caso del Re Shelomò[v], o nel libro di Rut[vi] o quello di Ester.
Al momento del ritorno dal primo esilio babilonese, sotto la guida di Ezrà e Nechemià, il problema dei matrimoni misti si fa assai acuto[vii]: troveremo qui ribadito in maniera ferma il loro divieto e gli ebrei dovranno lasciare le loro consorti non ebree:
Voi avete commesso una infedeltà sposando donne straniere; così avete ingrandito la colpa di Israele. Ma ora rendete omaggio al Sign-re D-o dei vostri padri, e fate la sua volontà: separatevi dalla gente del paese e dalle donne straniere! Tutta l’assemblea rispose ad alta voce: Si, dobbiamo fare come hai detto…[viii] In particolare: non daremo più le nostre figlie alla gente del paese e non prenderemo più le loro figlie per i nostri figli[ix].
Il sospetto
Sono questi versetti che sono stati considerati dall’insegnamento rabbinico come la base di uno dei divieti più rigidi e più osservati durante i periodi di minore assimilazione; fra l’altro apprendiamo:
“se taluno è in sospetto di avere una relazione con una schiava e questa poi conseguì la libertà, o con una non-ebrea che poi si fece ebrea, non deve sposarle[x]; se però ciò è avvenuto, non lo si costringe a separarsene”. (Mishnà, Jevamot 2,8).
Evidentemente ci si trovava in un periodo in cui ci si vergognava in pubblico, in cui si cercava, per lo meno, di salvare la façade e quindi a priori non si doveva sposare quella ghioret, sia per non venire a dare fondamento a un sospetto, sia per evitare le conversioni per motivi matrimoniali. Poi le cose sono cambiate e nelle ultime generazioni abbiamo avuto interessanti interpretazioni di questa Mishnà; in particolare ci si è basati su un Responsum del Maimonide[xi] che ha fra l’altro stabilito: “è meglio che mangi il sugo, anzichè il grasso stesso”, volendo cioè stabilire che è preferibile sopportare una trasgressione leggera, per evitare una trasgressione grave. Il Maimonide parla di una norma speciale per favorire il ritorno a D-o dei penitenti (takanat hashavim), basandosi sull’interpretazione talmudica del versetto dei Salmi: “è l’ora di agire per il Signore; trasgredite la Tua Torà” (119:129) oppure, secondo un’altra lettura “è l’ora di agire; per il Signore trasgredite la Tua Torà. Nella generazione a noi precedente il Rav Moshé Feinstein ha sostenuto che quando un ebreo convive con una non-ebrea, o è sposato con matrimonio civile ed ha figli da lei, non si può più parlare di “sospetto”, e quindi non sussiste in questi casi il divieto della Mishnà[xii].
Dal punto di vista giuridico è considerato “matrimonio misto” il matrimonio di un ebreo con una non-ebrea o viceversa; si intende ebreo chi è nato da genitori ebrei, o quanto meno da madre ebrea o chi è divenuto ebreo attraverso un processo di conversione ritenuto valido dalla halachà[xiii].
La paternità
Possiamo dire quindi, in linea generale, che per il diritto ebraico è permesso soltanto il matrimonio fra Ebrei di nascita o fra Ebrei e proseliti; solo i figli nati da tali unioni si considerano figli del padre e ne seguono lo status giuridico. I figli nati da matrimoni misti, matrimoni che sono considerati dal punto di vista giuridico ebraico come nulli, seguono invece la condizione giuridica della madre, secondo il principio che era accettato nel mondo antico, fra cui il mondo romano. I figli nati dunque da un padre ebreo e da una madre non ebrea si considerano non ebrei, seguendo appunto la madre; mentre quelli nati da una madre ebrea e da un padre non ebreo si considerano ebrei, seguendo anche in questo caso la condizione della madre[xiv]:
Ha detto la Torà: Non ti sposerai con loro. Si apprende che non ha valore il matrimonio (letteralmente: i Kiddushin) con loro. Da dove apprendiamo che il nato segue la sua (=della madre) condizione? Ha detto Rabbì Jochanan a nome di Rabbì Shim’òn Bar Jochai, dato che la Torà ha stabilito: perché distoglierà tuo figlio dal seguirMi; tuo figlio nato da una ebrea è chiamato tuo figlio, ma tuo figlio nato da una non-ebrea non è chiamato tuo figlio ma suo figlio. Ha detto Ravina: ascolta dunque: il figlio di tua figlia (anche se) provenienteda un idolatra, è chiamato tuo figlio … Apprendiamo questo (divieto) dal testo che si riferisce ai sette popoli, da dove apprendiamo (il divieto di unirsi con) gli altri popoli? Ha detto la Torà: perché farà allontanare tuo figlio da Me, sono compresi tutti quelli che fanno allontanare da Me. (Prosegue la Ghemarà domandandosi:): Va bene per Rabbì Shim’òn che spiega il significato della Torà, ma per i Saggi qual è il motivo? Ha detto la Torà: “dopo di che potrai unirti con lei e sarà per te una moglie”, da qui apprendiamo che in linea generale non si crea un matrimonio con lei. Da dove apprendiamo che non si crea un matrimonio e che il nato segue la sua condizione?…» (Talmud Babilonese, Kiddushin 68b)
Abbiamo qui esposto chiaramente il principio matrilineare, cioè nei matrimoni misti il nato segue la condizione della madre e non viene considerato figlio del padre (tuo figlio); il problema sussiste non solo per il padre, ma anche per il nonno, e cioè, in definitiva, per il popolo ebraico:
… ci insegna che il figlio di tua figlia, perfino nato da un idolatra, è chiamato tuo figlio … tuo figlio nato da una ebrea è chiamato tuo figlio ma il figlio di unanon-ebrea non è chiamato tuo figlio ma suo figlio( Rashì, TB., Kiddushin 68b).
«… tuo figlio nato da una ebrea è chiamato tuo figlio, ma tuo figlio nato da una non-ebrea non è chiamato tuo figlio, ma suo figlio …». (TB., Jevamòt 17).
Il Maimonide ha voluto sottolineare la gravità della cosa:
«… questo peccato, anche se non comporta la pena di morte da parte del tribunale, non ti sembri una colpa semplice, dato che non vi è una simile in tutte le altre unioni proibite, dato che il figlio di una unione incestuosa è considerato suo figlio ed è considerato ebreo, anche se mamzher, mentre il figlio della non-ebrea non è suo figlio, dato che è scritto: perché farà allontanare tuo figlio da Me, lo fa allontanare dal seguire il Sign-re».(Rambam, Hilchot Isuré Bià 12,7)
Naturalmente anche i figli nati da un ebreo e da una non-ebrea, e quindi non-ebrei, potranno divenire, come ogni altro non-ebreo, ebrei attraverso la conversione all’Ebraismo e successivamente essere ammessi a un matrimonio ebraico; ma questo non è un effetto del matrimonio misto in sé, ma della conversione. Ci si porrà comunque il problema se questi figli nati da un ebreo possano avere qualche punto a loro favore nella decisione del Beth Din di accettare il loro ghiur.
Il Talmud si pone espressamente il problema a chi si riferisca il divieto di matrimonio:
Rav ha detto: tutte sono proibite per via dell’idolatria … le loro figlie sono proibite dalla Torà stessa, essendo scritto: non ti sposerai con loro… Dalla Torà sono proibite quelle appartenenti alle sette nazioni, ma non quelle delle altre nazioni … ma per Rabbì Shim’on bar Jochai siccome è scritto: ‘perché distoglierà tuo figlio da dietro a Me’ è compreso ogni caso di distoglimento» (TB., Avodà Zharà 36b)
I versetti che abbiamo sopra riportato
non farete matrimoni con loro; la tua figlia non darai al loro figlio e la loro figlia non prenderai per tuo figlio, perchè essa farebbe allontanare tuo figlio da Me e servirebbero altri dei…(Devarim 7, 3-4),
vengono interpretati dal Talmud come una esplicita proibizione dei matrimoni misti, uno dei 613 precetti, un precetto negativo di origine biblica[xv]. Viene però discusso, come abbiamo visto, quale sia esattamente l’estensione del divieto di origine biblica: riguarda tale divieto solo i sette popoli che abitavano la terra di Canaan, prima della conquista israelitica[xvi], oppure si tratta di un divieto generale, divieto cioè di ogni matrimonio fra un ebreo ed un gentile? Il Talmud spiega che, avendo la Torà fatto espresso riferimento all’allontanamento di tuo figlio dal Sign-re, il divieto di matrimonio sussiste verso chiunque possa far allontanare dal Signore e quindi verso ogni non-ebreo che non è obbligato a seguire la Torà[xvii], opinione confortata dall’esempio di Ezrà e Nechemià nel periodo del ritorno a Sio ed anche, purtroppo, dalla amara realtà della assimilazione. È anche da notare che il Talmud ha dedotto da quel passaggio del Deuteronomio che tali unioni, fra un ebreo e un non-ebreo, non hanno alcun valore dal punto di vista di “unione matrimoniale”, ma sono da considerare come semplici unioni di fatto, che non cambiano lo status giuridico dell’individuo[xviii]. Si noterà comunque, anche in questo caso, una certa tensione nelle fonti: da un lato non si nega che il figlio che ti è nato dall’unione con una non-ebrea sia tuo figlio (binchà), dall’altro si nega il riconoscimento dello status di tuo figlio; e ancora: da un lato l’unione proibita dalla Torà è quella more uxorio; dall’altro non si riconosce a tale unione il valore di matrimonio; potremmo dire che fin dall’inizio vi è una certa tensione fra situazione di fatto e quella di diritto.
Fra le principali conseguenze di questo principio abbiamo, per esempio, che se un/a ebreo/a sposato/a con matrimonio misto, desidera poi sposare una/un ebrea/o, egli/essa non necessiterà, dal punto di vista della halachà, un divorzio dal primo “matrimonio” e potrà effettuare il “nuovo” matrimonio, che sarà considerato il primo dal punto di vista del diritto ebraico[xix]. Conseguentemente se uno o entrambi gli sposi, sposatisi con un matrimonio valido secondo la halachà, diventano poi apostati dell’ebraismo, tale apostasia rimarrà priva di conseguenze sullo status personale dei coniugi, onde ci si potrà risposare solo dopo la morte dell’altro coniuge o dopo un divorzio ottenuto secondo le regole del diritto ebraico, non essendo quindi sufficiente un divorzio civile[xx].
Riteniamo che siano particolarmente importanti le parole del Rav Zvi Hirsh Kalisher: Nonostante che secondo il din il nato segue la condizione della madre, tuttavia è chiamato zhera’ hakodesh, ed infatti Ezrà ha rimproverato Israel per aver sposato donne straniere dicendo: “ma hanno preso mogli fra le loro figlie per sè e per i propri figli; la stirpe santa se mescolata colla gente del paese”(9,2) e per questo se vi è una possibilità di far tornare alla santità questo zhera, sarà per noi un’opera meritoria.
Su alcuni aspetti della problematica nello Stato di Israele oggi.
La recente immigrazione dai Paesi dell’ex Unione Sovietica in Israele ha portato con se anche un numero notevole di matrimoni misti e si calcola che i non ebrei immigrati in questo modo corrispondano a circa 300.000 persone, cioè, calcolando la popolazione ebraica dello Stato di Israele a circa 5.000.000 di persone, si tratta di poco più del 5%[xxi]. La gran parte di loro aspira a essere considerata parte della popolazione ebraica israeliana e fino a poco tempo fa l’unica via per ottenere un biglietto di ingresso in tale società era quello di una regolare conversione all’Ebraismo, secondo la normale procedura, ma oggi sembra che si sia venuta ad aggiungere una nuova via, non ufficialmente ma senz’altro di fatto: questa via viene definita da sociologi come assimilazione israeliana, abbiamo cioè una buona parte della popolazione, che non è considerata ebrea secondo la Halachà, che però si ritiene ebrea e che si comporta come la maggior parte della popolazione ebraica: non viene efettuata nessuna conversione, ma si ha in pratica una conversione sociologica che non viene senz’altro riconosciuta dalla Halachà ma che ha i suoi effetti pratici nella vita di ogni giorno; molti giovani ritengono di dimostrare pienamente la loro identità ebraica con il parlare la lingua ebraica, con l’essere stati a scuole ebraiche, con il partecipare al servizio militare, dimostrandosi pronti a morire per lo Stato ebraico o morendo, come parte del pubblico ebraico, in attentati terroristici aventi lo scopo di uccidere ebrei: ora non solo essi vedono in questo un segno della loro appartenenza alla società società ebraica israeliana, ma anche la maggior parte di tale società li considera come appartenenti ad essa: essi, ed in particolare i loro figli, parlano correntemente l’ebraico, studiano nelle scuole ebraiche, servono nell’esercito, partecipano alla stessa attività ricreativa ecc.; nei paesi d’origine, nell’ex Unione Sovietica, essi venivano considerati ebrei, in quanto figli di padre ebreo e come tali spesso discriminati: perchè non dovrebbero più sentirsi ebrei, proprio quando essi agiscono come la popolazione ebraica laica, alla quale desiderano appartenere? Insomma Igor si sente ora Avi[xxii] e vive come tanti altri Avi intorno a lui; se poi si tratta della generazione già nata qui, non vi è dubbio che Avi e Tamar si sentano uguali in tutto ai loro amici e compagni ebrei.
Dall’altro lato della società israeliana vi sono gli arabi israeliani, che vedono sempre più come loro compito agire contro la definizione dello Stato di Israele come stato ebraico, volendo arrivare alla definizione di stato di tutti i suoi cittadini[xxiii]; gli immigrati russi non si sentono parte di questa società (araba), ritenendo per la grande maggioranza di essere venuti in Israele come ebrei, e d’altro lato, anche la società ebraica israeliana tende a considerare questi ‘olim (immigrati), come parte di se stessa, nella divisione della società fra ebrei ed arabi, senza attendere che questa o quella autorità rabbinica arrivi ad una dichiarazione che effettivamente si tratta di ebrei. Sono in molti, nella società israeliana, a ritenere il Rabbinato (che mantiene in linea generale la sua posizione passiva di fronte al proselitismo, senza cioè svolgere nessuna attività pratica per fare divenire gli ‘olim proseliti secondo la Halachà) come responsabile di questa situazione che è venuta a creare una conversione sociologica a cui non corrisponde una realtà halachica: in pratica si stanno creando delle nuove vie, diverse da quella religiosa tradizionale, per venire a far parte, di fatto, della società ebraica israeliana. Secondo molti ebrei “laici” la conversione religiosa[xxiv] non è che una fra le tante possibilità di venire a far parte del popolo ebraico; per dirla con la professoressa Rut Gavison: “È la conversione, di qualsiasi tipo, l’unica via possibile per venire a far parte del popolo ebraico? Io tendo a dare una risposta negativa, ma è evidente che bisognerà trovare una strada per esaminare profondamente il modo per poter aderire per vie diverse dalla conversione”[xxv]. Si chiederà il lettore: che cosa ha a che fare tutto questo con il problema dei matrimoni misti? Ebbene il più delle volte i problemi sorgeranno quando i nostri Avi e Tamar, che si credono ebrei e che si comportanocome i loro amici ebrei, ma che non sono ebrei secondo la Halachà, vorranno sposare Anat o Shimon , ebrei secondo la Halachà. Orbene la questione è regolata in Israele dalla “Legge sulla competenza dei Tribunali Rabbinici (matrimonio e divorzio), 5713 – 1953”[xxvi] che così stabilisce nei suoi primi due articoli:
1.“Competenza per le questioni relative a matrimoni e divorzi. Le questioni relative a matrimoni e divorzi di ebrei in Israele, sia cittadini che residenti, sono di competenza esclusiva dei Tribunali Rabbinici.
2. Celebrazione di matrimoni ed effettuazione di divorzi. Matrimoni e divorzi tra ebrei verranno effettuati in Israele secondo le norme della Torà”.
Da un lato abbiamo dunque un problema di massa, dato il gran numero di persone che si possono trovare in questa situazione; dall’altro il processo di conversione è stato visto, almeno negli ultimi diciannove secoli, di cui abbiamo testimonianze storiche, come un processo strettamente personale e non di masse[xxvii]. Come va risolto il problema? Dipende a chi si chiede la soluzione; per esempio il dott.Asher Cohen, sociologo religioso, mette in guardia dal pericolo imminente; se non si trova una soluzione accettabile dalla Halachà, in pratica avremo in seno alla popolazione “ebraica” chi non sarà considerato ebreo secondo la Halachà, con la conseguente formazione, in un modo o nell’altro, di “liste” di ebrei secondo la Halachà, cosa che, prima o poi, verrà a creare una forte tensione e divisione in seno al popolo. L’Ebraismo sionista-religioso non può permettersi di starsene da parte inerte, altrimenti avremo in pratica una soluzione non-religiosa (cosa forse desiderata dagli ortodossi, non disposti a nessun compromesso, e dai laici liberali, non disposti ad accettare qualche cosa che sappia di peculiare al popolo ebraico) mentre è da auspicare che si riesca a trovare una soluzione sulla base della conversione, atto tipicamente religioso; la cosa sembra ancora accettabile alla grande maggioranza della popolazione, che vede la definizione dello Stato di Israele come stato ebraico e democratico ed è quindi auspicabile, secondo questo autore, che il Rabbinato riesca a trovare il modo per incrementare sensibilmente il numero delle conversioni[xxviii].
Il Rabbino Israel Rosen fa parte di un tribunale rabbinico che si occupa in particolare di conversioni ed anch’egli si esprime nella stessa Rivista, esponendo la situazione come vista da una parte, almeno, del Rabbinato israeliano[xxix], ribadendo alcuni principi fondamentali, come quello che non vi è una conversione forzata o di massa, ogni caso va preso in esame singolarmente e deve rispondere ad un sincero desiderio della persona che si vuole convertire; si osserva che la maggior parte delle richieste di conversione proviene da donne, che lo fanno anche per salvaguardare l’unità della famiglia e per permettere che la discendenza sia ebrea, dato che, come abbiamo visto, dal punto di vista della Halachà, una persona è considerata ebrea se figlia di madre ebrea; l’autore ritiene che vada esaminata la proposta di fondare vari tribunali rabbinici con il compito precipuo di prendere in esame le domande di conversione, ribadendo di non credere all’efficacia di una conversione sociologica.
Anche a mio modesto avviso è impossibile trovare una soluzione che sia riconosciuta da tutti, fuori della Halachà; quello che ci si può attendere dal Rabbinato israeliano è che, fra le varie soluzioni offerte dalla ampia letteratura dei Responsa[xxx] vengano scelte soluzioni che ci possano sembrare più conciglianti verso i convertendi, che vengano costituiti nuovi tribunali rabbinici: ma deve risultare sempre ben chiaro che si tratti di un atto compiuto liberamente, con piena cognizione di causa, cioè con l’accettazione consapevole delle Mizvot, ed inidivualmente; non possiamo rinunciare ad una presa di responsabilità né da parte del convertendo/a, né da parte del tribunale rabbinico.
Ma vediamo cosa sta succedendo intanto nella società israeliana: recentemente abbiamo assistito nello Stato di Israele al formarsi di alcune posizioni assai nette: il 30 marzo 2005 la Corte Suprema israeliana, agendo come Corte Suprema di giustizia (Bagaz) ha deciso di riconoscere una conversione iniziata in Israele e conclusasi all’estero (nel caso specifico non davanti ad un bet din ortodosso) ai fini della attribuzione della cittadinanza in base alla legge israeliana sul ritorno. Con questo la Corte Suprema è venuta praticamente a ribadire che lo Stato di Israele, a meno che non sia espressamente stabilito diversamente (come nel caso di matrimoni e divorzi[xxxi]), riconosce anche un ghiur completato in una comunità ebraica all’estero, sia essa ortodossa, conservativa o riformata, preparando così il terreno al riconoscimento di una unione al popolo ebraico dal punto di vista nazionale, che non comporti unione al popolo anche dal punto di vista dell’ osservanza delle mizvot[xxxii]: anche in questo caso il “convertito” non si vedrà riconoscere come ebreo ai fini di un futuro matrimonio ebraico, essendo tale matrimonio di competenza del Tribunale rabbinico dello Stato di Israele.
Precedentemente, il 27 giugno 1997, il governo d’Israele aveva nominato la “Commissione Neeman” per esaminare la possibilità di arrivare ad un accordo fra le varie tendenze in seno all’Ebraismo e la Commissione era arrivata alla conclusione che “questo momento particolare richiede di arrivare all’unione di Israele, ad una vita di partecipazione e rispetto reciproco. Arriviamo alla conclusione che si deve mantenere un processo unico di ghiur nazionale, secondo la norma della Torà, che sia riconosciuto da tutto Israel. Così si può assicurare l’unità di Israele. Il percorso del ghiur da noi consigliato è destinato ad assicurare, per quanto possibile, nell’ambito della Halachà, la massima considerazione delle difficoltà dell’ora e delle angoscie umane.” La commissione consigliava di fondare un istituto per lo studio da parte dei candidati al ghiur ed un bet din per il ghiur “che convertirà secondo la halachà chi, secondo lui, avrà accettato il giogo delle mizvot”.
Il primo ministro Ariel Sharon nominerà più tardi il Rav Chaim Druckman, capo delle Jeshivot Bené Akivà, come capo di questo tribunale per i ghiurim, tribunale che, a quanto pare, non è riuscito ad accontentare nessuno, essendosi lamentati gli uni per il bassso numero di ghiurim effettuati, gli altri per una interpretazione troppo liberale della richiesta dell’osservanza delle mizvot, tanto che in qualche caso vi è chi ha ritenuto nullo il ghiur stesso[xxxiii]; viene stabilito che il Rav Druckman (75) è giunto al termine del suo compito e che questo non gli verrà più rinnovato; “se tu avessi tuo fratello che si trova in una situazione simile, non faresti di tutto per aiutarlo? – si domanda il Rav Druckman. E risponde con semplicità:- io vedo in ognuno di loro un mio fratello, e faccio di tutto per aiutarli. Abbiamo a che fare cxon una situazione mai vista prima; si tratta di bimbi piccoli che sono stati fatti veramente prigionieri, ed è certamente mizvà avvicinarli ed aiutarli ad adempiere il loro desiderio: unirsi completamente al popolo di Israek con il ghiur ” (Ed amerai il gher, Kippà achat, 11,5768). Parole semplici si, ma che in una situazione così complicata, possono destare, purtroppo ad avviso di chi scrive, anche reazioni negative. Ci troviamo quindi, nello Stato di Israele, di fronte a queste posizioni: a) comportamento passivo, di “assimilazione israeliana”, senza fare uno sforzo per trovare una soluzione radicale del problema; b) interventi laici nel mondo della Halachà, come quello della Corte Suprema israeliana, favorendo soluzioni liberali che diano più importanza all’elemento nazionale anziché a quello religioso[xxxiv]; c) posizioni molto rigorose, specialmente nella richiesta di osservanza delle mizvot, fino ad arrivare a chiedere l’annullamento retroattivo delle conversioni effettuate dal Tribunale del Rav Druckman; d) posizioni di coloro – e sono per la maggior parte rabbini e membri dell’Ebraismo religioso- nazionale ed ortodosso-nazionale – che cercano una soluzione del problema nell’ambito della Halachà, nel tentativo di salvare l’unità del popolo ebraico[xxxv], favorendo l’inserimento dei gherim nella società israeliana anche dal punto di vista della Torà.
Esame di alcune fonti: come si diventa gher.
Desideriamo qui esaminare alcune fonti per comprendere l’essenza della questione. È interessante notare innanzi tutto che secondo la Tradizione ebraica anche tutti gli Ebrei di nascita sono stati originariamente dei gherim: al momento della rivelazione dal Sinai, il popolo ebraico passa dal regime noachide, cioè delle sette Mizvot dei figli di Noach, a quello della Torà; quindi l’accettazione della Torà è stata, all’origine, alla base del nostro essere divenuti il popolo ebraico:
Moshé, sceso dal monte, trasmise al popolo tutte le parole del Sig-ore e tutti gli statuti; ed il popolo con voce unanime rispose: ‘Tutto quanto ha detto il Sig-ore noi lo eseguiremo’. (Shemot 24,3).
Il parallelismo fra la posizione dell’Ebreo sul Sinai e quello del gher viene insegnato chiaramente dal Rambam:
“Con tre cose Israel sono entrati nel patto: con la milà, con la tevilà e il korban[xxxvi]” (Hilchot isuré bià, 13,1).
“E così per le generazioni: quando vorrà il non-ebreo entrare nel patto e mettersi sotto le ali della Shechinà e prenderà su di sè il giogo della Torà[xxxvii], necessita di milà, tevilà e korban” (Ivi, 13,4).
Il Talmud ci dà l’indicazione di come comportarsi di fronte a chi viene a convertirsi:
Hanno insegnato i Maestri: Un gher che viene a convertirsi in questo periodo
gli si dice: cosa hai visto che sei venuto a convertirti? …E lo si informa su un po’ di mizvot facili e su un po’ di mizvot difficili… e non si racconta troppo e non si entra nei particolari. Ha accettato? Gli si fa subito la milà. (Jevamot, 47 a-b).
Siccome i non ebrei non hanno nelle loro regole religiose tante mizvot, quando (il candidato al ghiur) sente sulle nostre mizvot e sulle più facili fra loro, pensi in cuor suo che non è necessario entrare in tutti questi particolari e possa ricredersi. ( Meiri, Beth Habechirà, Jevamot 47 a).
È importante tener presente che normalmente la situazione generale della collettività ebraica di cui il candidato chiedeva di venir a far parte, era una situazione di osservanza delle mizvot, onde il candidato studiando, veniva a comprendere il perchè di determinati atteggiamenti degli ebrei che si trovavano attorno a lui. Possiamo sempre dire la stessa cosa ai giorni nostri? Non può essere che un non ebreo si chieda perchè a lui venga richiesto un comportamento che non viene osservato dal suo compagno ebreo, specie se vive già in sua compagnia? È comprensibile come posti di fronte a questo problema importantissimo, si possa arrivare a conclusioni assai differenti, a seconda della importanza che ognuno dei decisori dia a questo o a quell’elemento.
Qual’è l’esempio di Shimshon e di Shelomò?
Ogni generazione ha avuto certamente i suoi problemi…
«Non pensare che Shimshon, il salvatore di Israele, o Shelomò Re di Israele che è stato chiamato amico di D-o, abbiano sposato donne straniere finché erano non-ebree, ma le cose stanno così: la mizvà giusta è che quando viene il proselita o la proselita a convertirsi si deve esaminare se viene ad entrare nella Religione per ricevere denaro o per ottenere una carica o per timore, e se è un uomo si cerca se ha messo gli occhi su una donna ebrea, e se è una donna se ha messo gli occhi su un ragazzo d’Israele, e se non si trova una causa (futile per il suo desiderio di conversione) gli si fa presente la gravità del giogo della Torà e quanto sia difficile per chi non è competente osservarla, affinché decida di lasciar stare, ma se hanno accettato e non se ne sono andati e (i giudici) hanno visto che lo hanno fatto per amore (di D-o) li si accolgono (come gherim) come è detto:” e (Naomi, la vecchia suocera) vide che (Rut) si sforzava di andare con lei e smise di parlarle”[xxxviii] (per dissuaderla dal seguirla; in questo modo Rut è entrata a far parte del popolo ebraico, divenendo l’ava diretta del Re Davide)». (Rambam, Hilchot Isuré Bià 13,14).
Nei due paragrafi successivi il Rambam spiega che Shelomò e Shimshon hanno convertito delle donne straniere e le hanno sposate, nonostante fosse evidente per che cosa si erano convertite, onde il testo biblico considerò queste donne come non ebree e quindi come se fossero proibite, tanto più che alcune di esse si rivelarono essere idolatre[xxxix]. Le conseguenze sono difficili: da un lato abbiamo a che fare con due personalità del popolo ebraico, chiamate “amanti del Sig-ore”, che non hanno sposato non-ebree, bensì ghiorot, il cui ghiur però non è stato riconosciuto dal testo biblico, mentre era valido secondo Shimshon e Shelomò, ed infine la halachà stabilirà che a posteriori esse sono da considerarsi ghiorot, così come a posteriori è da considerarsi gher chi ha fatto la milà e la tevilà, anche se non gli avessero insegnato le mizvot[xl]:
Un gher che non è stato controllato o a cui non hanno spiegato le mizvot e la punizione (per la loro trasgressione), e gli hanno fatto la milà e la tevilà di fronte a tre hediotot [persone semplici,non giudici competenti] – è un gher; anche se si è saputo che si è convertito per qualche motivo, siccome gli è stata fatta la milà e la tevilà è uscito dalla comunità dei non-ebrei…(Rambam, Hilchot Isuré Bià 13,18).
Il Rambam ci fa vedere chiaramente che ci possiamo trovare davanti a soluzioni difficili… ed arriva, già allora, alla triste conclusione che “la maggior parte si convertono per qualche motivo e inducono Israel in errore” (ivi, 13,19). Ma proprio perchè potremmo trovare vari motivi per non amare il gher viene la nostra Torà e ci dà l’Insegnamento divino:
Il gher dimorante con voi dev’essere per voi uguale ad un vostro indigeno e lo amerai come te stesso perchè siete stati gheriim nella terra d’Egitto, Io sono il Sign-re D-o vostro (Vaikrà 19,34).
Troppe volte cerchiamo di far finta di non capire le cose più chiare, e viene allora l’insegnamento dei Maestri:
E lo amerai come te stesso… come tu vorresti che ti trattassero in una terra straniera così tratterai il gher…anche se realmente i gherim possono essere difficili come sappachat [malattia della pelle] e potresti pensare di odiarlo e di respingerlo, per questo il Misericordioso ci ha messo in guardia che dopo che è divenuto ebreo è come fosse una sola persona con noi… è come il proprio corpo e non si può allontanarlo…(Il Naziv, Haamek Davar)
Ed è proprio alla nostra generazione, in riferimento alla alià dalla Russia con la sua grande assimilazione, che è rivoltol’insegnamento del Rabbino Capo d’Israele:
Dobbiamo avere una grande pazienza che deriva da un profondo amore d’Israele… dobbiamo far sentire i nostri cuori pieni di sentimenti di amore e di pietà… bisogna assicurarsi che le cure per chi necessita di un ghiur secondo la Torà avvengano con delicatezza e comprensione, tenendo presente cosa hanno passato quei nostri fratelli nella loro ristrettezza spirituale. Poi cercheremo di diffondere fra loro anche scintille dello splendore della Torà, nella speranza che questo si radichi nel loro cuore. Guai, guai a noi lasciar perdere l’occasione…(Rav I.I.Unterman,Shevet miIehuda, p.382)[xli].
[i] Si veda A.M.RABELLO, Introduzione al Diritto Ebraico. Fonti, Matrimonio e Divorzio, Bioetica, Torino, 2002, pp. 120 ss.
[ii] Gen., 24:1-4. Secondo S.R.HIRSH Avraham sottolinea che l’influenza negativa della donna canaanea poteva essere maggiore in quanto egli abitava in mezzo ai Cananei .È questo un argomento importante: quanto grande potrà continuare ad essere l’inluenza esercitata dall’ambiente sul gher dopo la sua conversione.
[iii] L’ ebreo era Zhimrí, uno dei capi della tribu` di Shimon (ivi, 25,15).
[iv] Si noti il commento di Rashì: “Il figlio di un non-ebreo quando sposa tua figlia distoglierà
tuo figlio che gli farà nascere tua figlia da dietro a Me. Abbiamo appreso che il figlio di tua figlia nato da un non-ebreo è chiamato tuo figlio, mentre il figlio di tuo figlio, nato da una non-ebrea non è chiamato tuo figlio bensì suo figlio…”. In Devarim 21,10-14. troviamo trattato il caso particolare del soldato in guerra che si innamora di una prigioniera:.
[v] I Re, 11: 1-6 :<<Il re Shelomò amò molte donne straniere oltre alla figlia del Faraone, donne moabite, ammonite, idumee, sidonie, hittite, donne appartenenti alle nazioni di cui il Signore aveva detto ai figli di Israele: Non imparentatevi con loro ed esse non si imparentino con voi, altrimenti esse piegheranno i vostri cuori verso le loro divinità… Shelomò pertanto fece ciò che è male agli occhi del Signore…Vedremo piùi avanti come il Rambam spieghi questo passo.
[vi] Kilion figlio di Naomi sposò Rut la moabita; secondo la tradizione rabbinica solo dopo la morte del marito, Rut si convertirà all’Ebraismo, divenendo esempio per ogni futuro proselita e pronunciando la frase: “il tuo popolo è il mio popolo, il tuo D-o è il mio D-o.” (Rut 1:16): vengono stabiliti qui i due criteri indissolubili per la conversione, e cioè di venire a far parte del popolo ebraico, accogliendo la Torà..
[vii] Ezra 9:1-15;
[viii] Ezra 10: 11-12 ; si veda tutto questo capitolo.
[ix] Nehemia, 10:31.
[x] Per non confermare il sospetto.
[xi] R. Moses b. Maimon, Responsa, edizione Blau, Jerusalem, 1986 vol. II, paragrafo 211 (in ebraico).
[xii] Shut (= Sceelot utshuvot, Responsa) Igrot Moshé, Even Haezher, parte 4, art.47. La domanda posta da un Rav di Buenos Aires nel 1974 riguardava il caso di un uomo, generalmente shomer mizvot, che voleva sposare una non-ebrea che si era dichiarata disposta a studiare Torà e ad osservare le Mizvot, e quando stava per effettuare la conversione il Rav ha saputo che la ragazza era incinta dell’uomo e si chiedeva quindi se la cosa non rientrasse nel divieto stabilito dalla Mishnà. Il Rav FEINSTEIN spiega quale sia, secondo vari Rishonim, la situazione stabilita dalla Mishnà e permette il ghiur (dato che la Halachà ha stabilito che sono tutti gherim, dopo la tevilà) ed il successivo matrimonio. Si veda anche Responsa Achiezher, 3:26; Resp. Piské Uzhiel 59; 63; Resp. Jabia Omer, 8, Joré Deà 24 (in cui il Rav OVADIÀ JOSEF, basandosi sul passo del Rambam che abbiamo riportato sopra, permette il ghiur sia di un non-ebreo, sia di una non-ebrea che dichiaravano, in due casi differenti, di voler divenire shomré mizvot e viene permesso anche il loro successivo matrimonio con un ebreo).
[xiii] T. B. Sanhedrin 44a ed il commento di Rashi` in loco.; cfr. B. SHERESHEVSKY, Dinè Mishpacha` (Diritto di famiglia), Jerusalem, 1967, pp. 80 ss., 349 ss,; Idem, “Mixed Marriage, Intermarriage- Legal Aspects”, Encyclopedia Judaica, Jerusalem, 1971, vol. 12, col. 167 ss.
[xiv] Talmud Babilonese, Kiddushìn 65b; 68b; Jevamòt 15b; 16a; 17a.
[xv] Talmud Babilonese, Avodà Zharà 36b.
[xvi] Fra i decisori vi è effettivamente anche una opinione in tal senso, rimanendo quindi per tale opinione il divieto generale dei matrimoni misti un divieto di origine rabbinica.
[xvii] Talmud Babilonese Avodà Zharà 34b; Jevamòt 77a.
[xviii] Talmud Babilonese Kiddushin 68b; Jevamòt 45a.
[xix] Nello Stato di Israele si richiede però espressamente che il precedente vincolo venga sciolto formalmente.
[xx] Talmud Babilonese Jevamòt 47b; Bekorot, 30b; Shulchan Aruch, Even Haezher 44:9; B. SHERESHEVSKY, “Mixed Marriage, Intermarriage- Legal Aspects”, Encyclopedia Judaica, Jerusalem, 1971, vol. 12, col. 168.
[xxi] Si veda A. COHEN, “Assimilazione israeliana. Fra conversione halachica, conversione sociologica e conversione laica”, in Zohar, 14, 5763 (2003), pp. 117 ss. (in ebraico); ci siamo ampiamente basati su questo articolo e su conferenze dello stesso autore per quando riguarda la spiegazione della situazione israeliana attuale dal punto di vista sociologico.
[xxii] Diminutivo di Avraham.
[xxiii] Cfr. D. SHIFTAN, “La nuova identità dei parlamentari arabi”, Techelet, 13, 2003, pp. 23 ss. (in ebraico).
[xxiv] Si noti, per l’ebreo laico non vi è distinzione fra ebraismo ortodosso, conservativo o riformato: per lui tutte le richieste per la conversione, anche quelle minime dell’ebraismo riformato, sono troppe…
[xxv] J.MEDAN e R. GAVISON, Il foro per una nuova convenzione sociale fra religione e stato, Gerusalemme, 2000, p. 15 (in ebraico); si veda ora anche l’articolo di R. GAVISON su Haaretz del 13.06.08.
[xxvi] Pubblicata nel Libro delle leggi 134, 5713 (4.9.1953) p. 165; Emendamento. Libro delle leggi 1507, 5755 (2.3.1995) p. 140; sulla problematica si veda E. VITTA, The Conflict of Laws in Matters of Personal Status in Palestine, Tel Aviv, 1947.
[xxvii] Un processo di conversione di massa si ebbe al momento della Rivelazione del Sinai, ma sembra difficile ripetere questa esperienza senza la presenza di Moshé Rabbenu…
[xxviii] A. COHEN, “Assimilazione israeliana.” op. cit. pp. 120 s. (in ebraico). il problema si è assai acutizzato in questi giorni, in seguito alla polemica scoppiata fra il Sionismo religioso e la cd. Ortodossia e si sentono numerose voci che chiedono il riconoscimento di una via “laica”, come A.Burg (Haaretz 10.06.08) e Jakobson (Haaretz 11.06.08).
[xxix] I. ROSEN, “La conversione in Israele” in Zohar, 14, 5763 (2003), pp. 123 ss. (in ebraico).
[xxx] In un prossimo studio, a base più propriamente halachica, ci proponiamo di esaminare alcuni di questi responsa ed in particolare di esaminare il problema, che si è fatto di recente assai acuto, di che cosa consista l’accettazione delle mizvot da parte del gher. Dobbiamo riconoscere che tale linea non è seguita da determinati tribunali rabbinici, come vedremo.
[xxxi] Su cui si veda supra nt. 26.
[xxxii] Posizione questa alle quali erano giunti il Rav Medan, oggi uno dei Capi della Yeshivat Esder di Gush Etzion e la professoressa Rut Gavison. Si veda supra, nt. 25. Su tale problematica si veda anche I. SHELEG, “Sulla decisione del Bagaz sulla conversione “per salto”, in http://www.idi.org.il/breakingnews/pages/opinions_l.aspx (del 22.5.2008, visitato il 2.6.2008). Anche la sentenza della Corte Suprema dà importanza alla serietà di intenzioni.
[xxxiii] Così in particolare il gruppo lituano, come si può arguire dalla posizione del giudice Rav Sherman (sentenza 5489-64-1 del 10.2.2008 della Corte Rabbinica Superiore). Secondo quanto pubblicato sui giornali il Rabbino Capo di E.I.,Rav Shlomo Amar avrebbe espresso il suo dissenso da tale sentenza.
[xxxiv] In seguito alla polemica scoppiata fra il Sionismo religioso e la cd. Ortodossia si sentono oggi voci più numerose che chiedono il riconoscimento di una via “laica” di inserimento nel popolo ebraico, come A.Burg (Haaretz 10.06.08) e Jakobson (Haaretz 11.06.08): vale la pena di notare che il chiudersi in posizioni rigide, escludendo soluzioni offerte dalla Halachà, provoca reazioni nel senso opposto…
[xxxv] In questo senso è da vedere la manifestazione a sostegno del Rav Drukman, con la partecipazione di autorità rabbiniche come il Rav J. Ariel, rabbino capo di Ramat Gan e capo del movimento Zohar, e il Rav A.Lichtenshtein, capo della Yeshivà Or Etzion, allievo e genero del Rav Soloweitchik e del Rav Z. Drori,Rabbino Capo di Kiriat Shmone (Yesha’ shelanu n.100). Può essere interessante riportare alcuni dati di un recente sondaggio (Haaretz 8.6.08) secondo cui l’89% dei religiosi ed il 60% dei “laici” teme che l’alià di non-ebrei provochi l’assimilazione in Israele ed il 52% dei laici sarebbero disposti a che loro famigliari si sposassero con olim non ebrei.
[xxxvi] Cioè con la circoncisione, con l’abluzione in un bagno rituale, con il sacrificio.
[xxxvii] Si noterà come in questo passo il Rambam veda come ovvio l’assumersi l’osservanza della Torà.
[xxxviii] Rut 1,18. Tale versetto viene spiegato dai Maestri nel senso che “si sforzava” (mit’amezet) indica lo sforzo di Rut per osservare le Mizvot; in tal modo i Chachamim vedono in Rut l’esempio della ghioret che osserva le Mizvot.
[xxxix] Rambam, Hilchot Isuré Bià 13,15-16.
[xl] Si veda anche il Maghid Mishné e il Kesef Mishné in loco. Naturalmente essendo gher è obbligato ugualmente ad osservare le mizvot come ogni altro ebreo.
[xli] Cfr. Rav S. Israeli: Il fondamento del ghiur,come condizione primaria, è che il klal Israel sia d’accordo nell’accoglierlo nella loro comunità…il fondamento del ghiur è quindi il venire a far parte del klal Israel, con il suo consenso…non è possibile l’entrata nel klal Israel senza l’osservanza della Torà con le sue Mitzvot, dato che al Sinai tutto il popolo ha detto: faremo e ascolteremo…quello che viene richiesto è l’espressione del suo consenso alla condizione che la sua adesione al popolo ebraico è condizionata all’accettazione delle Mizvot…divenendo un ebreo è obbligato come ogni altro ebreo (Chavat Biniamin, parte seconda).
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Alfredo Mordechai Rabello su Wikipedia
Introduzione al Diritto Ebraico
Il divieto di macellazione rituale (shechità kosher e halal) e la libertà religiosa delle minoranze