Michael Sierra*
Introduzione – Israele viola il diritto internazionale?
Il massacro del 7 ottobre, in cui sono stati assassinati brutalmente oltre 1,400 israeliani, feriti oltre 4,600 fra cui donne, invalidi e bambini e rapiti 240 civili e la reazione di difesa da parte d’Israele ha sollecitato varie accuse di carattere antisemita in tutto il mondo. Fra queste, l’accusa che Israele viola il diritto internazionale. Sembra quasi, che dopo lo stop alla riforma Costituzionale in Israele, sia passati ad un mondo dove tutti sono esperti di diritto Costituzionale israeliano a un mondo nel quale tutti sono esperti di diritto internazionale.
Non c’è dubbio che Hamas abbia violato il diritto internazionale. Spesso però Israele viene accusata anche lei di una simile violazione. In questo breve articolo, spiegherò quindi cosa sia il diritto internazionale e perché Israele non viola tale ramo di diritto. È utile ricordare che le accuse vengono spesso da parte di persone che nel caso peggiore accusano Israele in malafede e nel caso migliore non sono esperti in materia.
Cos’è il diritto internazionale?
Il diritto internazionale è un sistema di norme e principi che regolano le relazioni tra Stati e altre entità internazionali nella comunità internazionale.[1] Questo campo giuridico si occupa di questioni come i trattati, i confini territoriali, i diritti umani, il commercio internazionale, la guerra e la pace, e molte altre questioni che coinvolgono gli attori internazionali.
Esso può essere suddiviso in due principali categorie: diritto internazionale pubblico e diritto internazionale privato. mentre il diritto internazionale pubblico si concentra sulle relazioni tra stati e altre entità sovrane a livello globale, il diritto internazionale privato riguarda le questioni legali che coinvolgono individui e imprese che agiscono oltre i confini nazionali.
Nel diritto internazionale, le fonti obbligatorie sono stabilite dall’articolo 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), che è l’organo giurisdizionale principale delle Nazioni Unite. Questo articolo enumera le seguenti fonti come fonti obbligatorie del diritto internazionale:
- Trattati: Gli accordi internazionali conclusi tra stati e organizzazioni internazionali. Questi trattati possono avere nomi diversi, come convenzioni, protocolli, accordi, e sono vincolanti per le parti che li hanno ratificati.
- Consuetudine internazionale: Pratiche generalmente accettate come diritto, anche se non formalizzate in trattati. La consuetudine internazionale è basata su comportamenti ripetuti e generalmente accettati dagli stati nel corso del tempo.
- Principi generali del diritto: Principi giuridici generalmente riconosciuti, applicati da diverse giurisdizioni nazionali e internazionali. Questi principi possono essere considerati fonti obbligatorie quando non esistono trattati o consuetudini specifiche su una determinata questione.
- Decisioni giuridiche e insegnamenti dei giuristi qualificati delle diverse nazioni: Le decisioni delle corti internazionali, nonché le opinioni e gli scritti di giuristi e studiosi riconosciuti nel campo del diritto internazionale che interpretano e applicano il diritto internazionale.
- Insegnamenti delle religioni e delle filosofie umane: Anche se meno frequentemente invocate rispetto alle altre fonti elencate, le religioni e le filosofie umane possono influenzare il diritto internazionale in determinate circostanze, specialmente in contesti culturali specifici.
Queste fonti obbligatorie rappresentano le basi su cui si fonda il diritto internazionale. Quando si verificano controversie tra gli stati o altre parti, la Corte Internazionale di Giustizia può fare riferimento a queste fonti per giungere a una decisione.
Il diritto internazionale umanitario, noto anche come “jus in bello”, non è da confondere con lo “jus ad bellum”, che regola le ragioni legittime di uno stato nell’intraprendere una guerra. Questa distinzione è molto importante, ed è stata pensata per separare le ragioni delle parti in combattimento dal loro comportamento sul campo. Uno stato che ha intrapreso una guerra legittima (che secondo il diritto odierno è tale quasi esclusivamente quando è una guerra di autodifesa), e che quindi ha rispettato lo “jus ad bellum”, potrebbe comunque violare lo “jus in bello”.
Il diritto internazionale è essenziale per promuovere la stabilità, la sicurezza e la cooperazione tra gli Stati e per affrontare questioni globali come i diritti umani, l’ambiente e il commercio internazionale. Tuttavia, l’applicazione e l’efficacia del diritto internazionale spesso dipendono dalla volontà politica degli Stati e dalla loro conformità alle norme e agli obblighi giuridici.
Esaminiamo quindi alcune fonti e smentiamo le false dichiarazioni secondo le quali Israele violerebbe il diritto internazionale.
Convenzioni e consuetudine internazionale – legittima difesa, necessità, proporzionalità e distinzione
Il diritto internazionale, convenzionale e consuetudinario, riconosce la prerogativa inalienabile degli Stati di usare la forza per autodifesa. L’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite afferma chiaramente: “Nulla nella presente Carta pregiudica il diritto intrinseco di autodifesa individuale o collettiva se si verifica un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite”.
Israele ha sempre agito nel rispetto di queste norme, compresi i principi di necessità e proporzionalità. Il semplice fatto che, nel corso di un’operazione militare, vi sia una differenza numerica di vittime civili non implica necessariamente che tale operazione sia “sproporzionata”. Secondo la legge sui conflitti armati, la questione rilevante è se la forza militare messa in campo per raggiungere quanto previsto dalla legittima difesa sia proporzionata o necessaria.
L’obiettivo esplicito di Israele durante la campagna è quello di liberare i 240 civili rapiti da Hamas, fermare e dissuadere i gruppi terroristici Hamas e Jihad dal sparare razzi contro i civili e le infrastrutture o superare la barriera di protezione – azione che costituisce una grave minaccia per la sicurezza pubblica come ha dimostrato il 7 ottobre. Peraltro, avvertendo ogni volta la popolazione inerme della Striscia, in modo da evitare altre vittime innocenti. La domanda, dunque, da porre sarebbe: “Cosa è lecito per una nazione sovrana ogni volta che 7 mila razzi vengono lanciati in poche ore contro la popolazione civile da un nemico votato alla sua distruzione?”
Il principio della proporzionalità è parte anche del diritto internazionale consuetudinario, compreso il primo protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977. Parliamo dell’articolo 51 (5 ter) che stabilisce: “È vietato l’attacco che può causare perdite accidentali di vite umane, lesioni ai civili, danni a oggetti civili o una combinazione di tali eventi, che sarebbe eccessiva rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto.”
Inoltre, L’Articolo 51 dell’Emendamento del 1977 delle Convenzioni di Ginevra del 1949 proibisce espressamente l’uso di scudi umani: “La presenza od i movimenti della popolazione civile o di singoli civili non si dovranno usare per rendere alcuni punti o zone immuni dalle operazioni militari, ed in particolar modo tentativi di proteggere gli obbiettivi militari dagli attacchi, o di proteggere, favorire od ostacolare delle operazioni militari”.
Durante le indagini sull’invasione dell’Iraq del 2003, Luis Moreno-Ocampo, ex Procuratore Capo della Corte penale internazionale, ha affermato quanto segue: “Secondo il diritto umanitario internazionale e lo Statuto di Roma, la morte di civili durante un conflitto armato, per quanto grave e deplorevole, non costituisce di per sé un crimine di guerra. Il diritto umanitario internazionale e lo Statuto di Roma consentono ai belligeranti di sferrare attacchi proporzionati contro obiettivi militari, anche quando è noto che si verificheranno morti o feriti tra i civili”.
In Israele, la proporzionalità delle operazioni viene esaminata – prima della sua esecuzione – dall’Ufficio dell’Avvocato Generale Militare dell’Israel Defense Forces, mentre l’IDF cerca di usare armi di precisione guidate e fornisce un avvertimento ai civili sul previsto attacco. Infatti, occorre tenere presente che – mentre Israele impiega l’Iron Dome e i rifugi antiaerei per proteggere i civili – Hamas posiziona le armi o le rampe di lancio dei razzi in aree densamente popolate o “al riparo” di scuole ed ospedali.
Secondo il diritto internazionale, un obiettivo è considerato militare se è utilizzato per scopi militari. L’articolo 52 (2) del primo protocollo della convenzione di Ginevra fa riferimento a “oggetti che, per loro natura, ubicazione, scopo o uso, contribuiscono efficacemente all’azione militare e la cui distruzione, cattura o neutralizzazione totale o parziale, nelle circostanze vigenti in quel momento, offrono un vantaggio militare certo”. Pertanto, se gli edifici residenziali, le scuole o le moschee sono utilizzati da Hamas per scopi militari, allora diventano obiettivi militari.
Israele avvisa prima di bombardare e consente ai civili di spostarsi verso il sud della striscia di Gaza grazie ad un corridoio umanitario che Israele ha creato appositamente. Hamas invece prova a bloccare i propri cittadini che preferisce tenere come scudi umani mettendoli a rischio.
Convenzioni e consuetudine internazionale – la non-occupazione della Striscia di Gaza
In un altro articolo potrei spiegare perché Israele non ha occupato la Giudea e Samaria ma concentriamoci sulla striscia di Gaza. Secondo l’articolo 42 del Regolamento (II) de L’Aja, 29 luglio 1899: “Un territorio è considerato come occupato quando si trova posto di fatto sotto l’autorità dell’esercito nemico. L’occupazione non si estende che ai territori nei quali tale autorità è stabilita ed è in grado di esercitarsi”. Tale articolo fu adottato nel 1899 durante la Conferenza dell’Aja sulla legge e l’usanza della guerra terrestre e stabilisce le condizioni che definiscono un territorio come occupato. Secondo questo articolo, un territorio è considerato occupato quando si verificano le seguenti tre condizioni:[2]
- Presenza militare fisica dello Stato occupante nel territorio (in inglese ‘boots on the ground’).
- Esercizio dei poteri governativi sul territorio da parte delle forze dello Stato occupante.
- La perdita della capacità dell’ex sovrano di esercitare poteri governativi.
Queste condizioni sono state stabilite per proteggere la popolazione civile durante i conflitti armati e per garantire che l’occupazione non porti a un cambiamento permanente dello status territoriale senza il consenso degli abitanti del territorio occupato. Poiché questi sono termini cumulativi, quando una delle tre cessa di essere soddisfatta: il territorio perde il suo status giuridico di territorio occupato. Nel caso della Striscia di Gaza, nessuna di queste condizioni è soddisfatta:
- Dall’attuazione del piano di disimpegno nel settembre 2005 tutte le forze dell’IDF si sono ritirate dalla Striscia di Gaza, non esisteva una presenza fisica permanente sul terreno delle forze militari israeliane nella Striscia di Gaza fino alla guerra Spade di Ferro.
- Israele non esercita poteri governativi sul territorio della Striscia di Gaza. Il governatore è Hamas, eletto dai cittadini di Gaza nel 2006.
- Il governo di Hamas domina la gestione di tutti gli ambiti della vita nella Striscia di Gaza: a partire dalla sicurezza interna e dall’ordine pubblico, passando per l’economia, le forze dell’ordine e il sistema giudiziario, i sistemi sanitario e educativo, per finire con il controllo delle infrastrutture civili.
Israele non è quindi un occupatore nella Striscia di Gaza. Non lo era prima del 7 ottobre e non lo è a seguito della guerra in corso. Ma anche se lo fosse, non vi è nessun obbligo secondo il diritto internazionale di fornire aiuti umanitari ai civili di Gaza come Israele fa volontariamente. Anzi, come spiegherò nelle righe che seguono, vi è un obbligo di non fornire aiuti che potrebbero arrivare alle mani dei terroristi.
La Risoluzione 1373 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2001
Spesso, chi sostiene che Israele viola il diritto internazionale, ricorda alcune decisioni di organi internazionali come, per esempio, le decisioni adottate dal Consiglio per i diritti umani. È importante quindi sottolineare che tali decisioni o dichiarazioni, pur potendo dare la base in futuro a principi di diritto internazionale, non hanno automaticamente valore vincolante in termini giuridici. In realtà, non tutte le decisioni di organi internazionali nel diritto internazionale pubblico hanno la stessa importanza. È utile ricordare anche che il Consiglio per i diritti umani dell’Onu è composto in gran parte anche da paesi non democratici. Può sembrare assurdo, infatti, ma il Forum sociale del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani da giovedì 2 novembre sarà presieduto dall’Iran.
Anche dichiarazioni dell’Assemblea Generale dell’Onu, non hanno un potere vincolante da un punto di vista giuridico. Quali sono quindi le decisioni vincolanti? Le decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottata in base al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Tali decisioni sono di grande importanza nel contesto del diritto internazionale. Il Capitolo VII tratta delle azioni che il Consiglio di Sicurezza può intraprendere per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionale in situazioni di minaccia alla pace, violazioni della pace o atti di aggressione. Le decisioni prese in base al Capitolo VII sono le più significative per diverse ragioni.
La prima è che le decisioni del Consiglio di Sicurezza prese in base al Capitolo VII sono legalmente vincolanti per tutti gli stati membri delle Nazioni Unite. Gli stati sono tenuti a rispettare e attuare queste decisioni. La seconda ragione è legata alla forza Esecutiva: Il Consiglio di Sicurezza ha il potere di imporre misure coercitive, come sanzioni economiche, embarghi sulle armi o l’uso della forza militare, per far rispettare le sue decisioni in base al Capitolo VII. Queste misure hanno un impatto diretto sui paesi coinvolti e possono essere utilizzate per risolvere crisi internazionali e conflitti.
La terza ragione è legata al fatto che il Capitolo VII è progettato per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le decisioni adottate in base a questo capitolo sono mirate a risolvere conflitti, prevenire atti di aggressione e reprimere minacce alla pace globale. Inoltre, le decisioni del Consiglio di Sicurezza in base al Capitolo VII possono essere riferite alla Corte Internazionale di Giustizia per interpretazione o decisione. La Corte può essere chiamata a valutare la legalità delle azioni intraprese dal Consiglio di Sicurezza in base a questo capitolo.
La Risoluzione 1373 del 2001 è una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottata il 28 settembre 2001 in base al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, pochi giorni dopo gli attacchi dell’11 settembre negli Stati Uniti. Questa risoluzione è stata adottata all’unanimità e sottolinea l’importanza della cooperazione internazionale nel combattere il terrorismo.
Secondo la risoluzione: “Il Consiglio di Sicurezza… agendo in base al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite…1. decide che tutti gli Stati dovranno:
(a) prevenire e reprimere il finanziamento di atti terroristici;
(b) criminalizzare la fornitura o la raccolta volontaria, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, di fondi da parte dei loro cittadini o nei loro territori con l’intenzione di utilizzare i fondi, o sapendo che questi devono venire utilizzati, per realizzare atti terroristici;
2. decide inoltre che tutti gli Stati dovranno:
(a) astenersi dal fornire qualsiasi forma di aiuto, attivo o passivo, ad entità o persone coinvolte in atti terroristici, anche attraverso la repressione del reclutamento di membri di gruppi terroristici e la repressione della fornitura di armi ai terroristi;
(b) prendere le misure necessarie per prevenire l’esecuzione di atti terroristici, anche avvertendo precocemente gli altri Stati attraverso lo scambio di informazioni;
(c) negare un rifugio sicuro a coloro che finanziano, programmano, sostengono o commettono atti terroristici, o forniscono rifugi sicuri;
(d) impedire a coloro che finanziano, programmano, facilitano o commettono atti terroristici di usare il rispettivo territorio per quegli scopi contro altri Stati o i loro cittadini..”.
Considerando il controllo di Hamas della Striscia di Gaza e considerando l’uso ed di profitto di fondi, beni e servizi che entrano nel territorio, compresi gli aiuti umanitari, è chiaro che qualsiasi fornitura di beni darà almeno un sostegno indiretto agli agenti terroristici, contrariamente alla legge.
Vi è una tesi secondo cui gli obblighi legali previsti dalla Risoluzione 1373 di non fornire rifornimenti a Hamas nella Striscia di Gaza non si applicano poiché Israele aveva precedentemente accettato di fornire aiuti umanitari e sia di consentire ad altri di fornire fondi, beni e servizi. questa affermazione è falsa poiché gli obblighi enunciati nella decisione sono considerati Erga Omnes cioè vincolano tutti senza eccezione.
Altri sostengono che la risoluzione 1373 non si applica ai rifornimenti alla popolazione civile pur essendo chiaro che andrebbero direttamente a Hamas. Tuttavia, il linguaggio semplice è chiaro della decisione nell’articolo 1(b) criminalizza “la fornitura o la raccolta volontaria, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente.
Conclusione – Israele viola il diritto internazionale?
No. Secondo le fonti del diritto internazionale: trattati o convenzioni, la consuetudine internazionale e sia altre fonti, Israele non viola il diritto internazionale. Né quello “ad bellum” per legittima difesa e né quello “in bello” per i vari metodi dell’IDF descritti qui sopra.
Il fatto che Israele viene a volte condannata da organi internazionali, spesso dominati da una maggioranza di paesi arabi non democratici, non significa che Israele viola il diritto internazionale. Non tutte le dichiarazioni o le decisioni di organi internazionali hanno lo stesso valore giuridico vincolante e prima di sostenere una falsa e non basata accusa d’Israele usando fonti di diritto internazionale vale la pena conoscere i fatti e conoscere le fonti.
* Laureato in giurisprudenza e relazioni internazionali (LLB, LLM) con lode alla Hebrew university, research & teaching assistant di alcuni professori alla Hebrew University. In passato ha lavorato nel dipartimento di ricerca della Corte Suprema. Desidera dedicare quanto scritto ai 1,400 caduti nell’attacco terroristico di Hamas ed i 240 ostaggi # con speranza di potergli presto mandare l’articolo.
[1] Benedetto Conforti, Diritto internazionale (XI edizione), Editoriale Scientifica, 2018.
[2] The Commander’s Handbook on the Law of Land Warfare (2019), 1203(5). https://www.fichl.org/fileadmin/_migrated/content_uploads/Canadian_LOAC_Manual_2001_English.pdf