Proprio in questo momento storico dobbiamo rafforzare il nostro senso di appartenenza e scoprirci, seppur nelle preziose e profonde differenze, uniti.
Roberto Della Rocca
In questo momento di angoscia generale, che si accompagna alla crisi della nostra Comunità, che potrebbe spingere molte persone a non uscire dalle loro case e a non sentirsi parte di un tutt’uno, l’evento di Kesher di lunedì 12 gennaio ci ha offerto un segnale di grande speranza. Lunedì sera, l’aula magna della scuola ha visto la presenza di oltre 300 persone che, con entusiasmo e partecipazione, hanno reso l’incontro, dedicato alle storie e alle testimonianze degli ebrei libanesi e siriani, un’importante occasione di conoscenza tra molti membri della CEM.
Questo sorprendente e gratificante riscontro conferma come il progetto di abbattere le barriere tra le varie Edòt, che contraddistinguono questa variegata ed eterogenea comunità, non può che passare dalla reciproca conoscenza, trasformando le differenze in una forza positiva. Solo spogliandosi dagli atteggiamenti paternalistici, di sussiego, di superiorità e abbattendo i pregiudizi, che spesso nascono dalla paura del diverso, ed accettando la sfida del confronto, possiamo guardare al futuro con speranza e fiducia.
Di fronte sia ai pericoli esterni, sia alle divergenze interne, il modo peggiore di reagire è quello di chiudersi ermeticamente in un sistema di credenze e di comportamenti troppo angusto che non tollera il dialogo e il confronto; la presunzione settaria di essere, sempre e comunque, nel vero, tipica di alcuni gruppi comunitari, lontano dal salvaguardare la sopravvivenza ne provoca non di rado la morte per asfissia.
Anche nelle situazioni più disperate si ha il dovere, religioso e civile, di affrontare con serenità la realtà quotidiana combattendo se non altro per contenere le perdite, ma a volte anche per conseguire delle vittorie. Piccole comunità ebraiche sono sopravvissute in situazioni estremamente critiche per secoli grazie alla solidità dei legami interni, alla consapevolezza dei valori comuni, alla volontà di soddisfare collettivamente le esigenze e i bisogni di tutti.
Come era già emerso dall’incontro dello scorso anno, con l’Edà dei persiani, sempre organizzato da Kesher, sono convinto che la nostra sfida interna oggi sia soprattutto questa, favorire occasioni di avvicinamento e di conoscenza delle diverse compagini comunitarie, abbandonando qualsiasi atteggiamento competitivo – che non fa che favorire il permanere di corpi estranei e reciprocamente sospettosi, dove una parte non farebbe che richiedere all’altra di adeguarsi ai propri costumi, convincimenti e tradizioni – ed incoraggiando così il reciproco arricchimento.
Questa scommessa è forse più importante di quella che ci vede impegnati nel rafforzamento del dialogo con la società esterna. Proprio in questo momento storico dobbiamo rafforzare il nostro senso di appartenenza e scoprirci, seppur nelle preziose e profonde differenze, uniti. Solo in questo modo potremo rappresentarci all’esterno per ciò che veramente siamo. Ebrei, tutti, seppur diversi. Mai come lunedì sera ho sentito nei partecipanti l’orgoglio di farsi conoscere, di raccontare storie, tutte diverse, tutte speciali, storie di vita, storie di ebrei e di ebraismo. Persone che forse non frequentavano i locali della nostra scuola da tempo o forse non li hanno mai frequentati. Persone appartenenti a un’Edà che pensavamo inamovibile da Via dei Gracchi si sono sentite a casa nei nostri spazi comunitari e ci hanno aiutato a sentire l’eco di ciò che in questi giorni avrei voluto sentire e leggere… l’orgoglio di una semplice frase: “JE SUIS JUIF”….
http://www.mosaico-cem.it/articoli/vita-ebraica/incontrarsi-e-un-segnale-di-grande-speranza