Fuggire dalle persecuzioni, dall’odio, da un Paese non più accogliente. È questo quello che ha fatto il poeta ucraino Ilya Kaminsky con il suo ultimo libro “Repubblica sorda”, che è al tempo stesso un romanzo e una raccolta poetica.
Non si può non pensare alla terribile guerra in Ucraina, leggendo Repubblica sorda, l’ultimo libro di Ilya Kaminsky pubblicato in Italia da La Nave di Teseo. Spari, posti di blocco, plotoni di esecuzione, elogi funebri, i capitoli scandiscono la storia della quotidianità durante la guerra, in un tempo indefinito e in una città immaginaria occupata da un esercito che, con violenza, prende il controllo della vita degli abitanti. Ilya Kaminsky (foto in alto) è un poeta ucraino, nato a Odessa nel 1977, sordo per una parotite a quattro anni, non udente fino a sedici anni. Di origine ebraica, vive negli Stati Uniti dove insegna. Lo incontriamo a L’Aquila, dove ha ricevuto il “Premio Letterario Internazionale BPER Banca Laudomia Bonanni”.
Kaminsky, lei è cresciuto a Odessa e poi si è trasferito all’estero con la sua famiglia. Era difficile per una famiglia ebrea vivere in una città ucraina?
La mia famiglia è stata vittima di antisemitismo, sì. Mia madre riceveva lettere anonime al lavoro che dicevano che gli ebrei dovevano lasciare il Paese. Come tanti altri bambini ebrei, a scuola mi picchiavano. Alla porta di casa venne appiccato il fuoco. Erano i primi Anni ’90, un’epoca strana. Alcuni temevano nuovi pogrom. Allora i miei genitori decisero di andarsene. La mia è una delle tante storie di migliaia di ebrei che hanno lasciato l’Est europeo. La gente dice che l’Ucraina è cambiata a partire dagli Anni ’90. Forse è vero. Non sono la persona migliore per giudicare. Mia madre non è mai voluta tornare. Alcune cose sono troppo difficili da perdonare.
Lei però non si è mai distaccato completamente da queste radici cosi dolorose?
Ho degli amici lì, quindi torno tutte le estati. Odessa è la mia città. Lì mi sono innamorato per la prima volta. Lì ho scritto le mie prime poesie. Ciò che posso dire è questo: sì, l’Ucraina è un paese complicato, ma i Paesi complicati hanno tutto il diritto ad essere indipendenti, i Paesi complicati hanno tutto il diritto di non essere bombardati. Lanciare bombe sui civili è un crimine contro l’umanità. E ciò che la Russia di Putin sta facendo è un crimine contro l’umanità.
Lei e i suoi genitori hanno lasciato il Paese quando aveva 16 anni. Chi sarebbe diventato se i suoi genitori fossero rimasti in Ucraina?
Rivedo il 1984, quando i bambini giocavano a fare la guerra: vedo una bambina di cinque anni fare un ronzio, fa finta di essere un elicottero che atterra facendosi spazio tra la folla al mercato del pesce. Poi c’è un altro elicottero. Entrambi volano basso, scrutano attraverso le finestre. Un elicottero immaginario vola in alto, sulla città, nell’aorta blu del cielo. Cosa ne sarebbe stato della mia famiglia se fossimo rimasti? I miei genitori sarebbero ancora vivi? Torno in Ucraina ogni anno. Sono tornato anche quest’estate, con la guerra. Cammino per le strade come se cercassi un eco, e qualcuno che lo emette: magari si tratta di un ragazzo ucraino che fissa un signore nordamericano scrivere queste pagine al computer?
Tutto ciò per dire: la guerra non è mai finita.
Quando ero piccolo: un fiume di rifugiati dalla Transnistria, come ho detto prima. Quando continuavo a tornare ad Odessa, in estate, negli ultimi otto anni, c’era sempre un fiume di rifugiati dal Donbas, e adesso sono gli abitanti di Odessa ad essere anche loro dei rifugiati; i miei zii, che vivono ancora ad Odessa, che non vogliono andarsene, mi scrivono per mail che c’è stata un’esplosione, un palazzo affianco al loro è stato bombardato. Il cimitero di Odessa, dove è sepolta mia nonna, anche quello è stato bombardato. Si, la guerra non è mai finita. Dopo l’inizio del conflitto, in primavera, Kiev è stata bombardata: un’amica di Kiev mi dice che passa notti intere nelle stazioni della metropolitana, che vengono usate come rifugi antibombe, recitando poesie a se stessa e quelli intorno a lei per non perdere la ragione. Quando è stanca comincia a tradurre quelle poesie in altre lingue, è solo un modo per andare avanti.
Una poesia, un romanzo, un libro illustrato. Repubblica sorda sembra combinare diversi generi. Prosa, poesia e linguaggio dei segni dovrebbero fondersi, giusto?
Un genere ibrido: succede quando si ha bisogno di dire qualcosa che non può essere detto diversamente, qualcosa per cui non si riesce a trovare un formato già pronto, ma che deve essere detto nonostante tutto.
E lei doveva scrivere i suoi versi così come li ha scritti?
Se sei un rifugiato, la tua situazione è più o meno questa: le categorie prestabilite non servono a ciò che vuoi dire: non sei in Ucraina, non sei in America, come si fa a smettere di essere un immigrato, pur avendo vissuto in un posto per più di vent’anni? Ecco cos’è il genere ibrido. E la cosa difficile con il genere ibrido è creare uno schema, un motivo, che sia valido sia per la tua parte russa-ucraina-ebrea che per la tua parte americana che vive a nove miglia dal confine a San Diego. In fin dei conti: le poesie contengono informazioni, ma non riguardano quelle informazioni. Una poesia non riguarda un avvenimento; una poesia è un avvenimento.
Il Paese distopico che ha immaginato nel suo libro, quanto è simile a quello attuale: città distrutte, guerra sul territorio, migliaia di morti e uno stato che è sotto gli occhi di tutto il mondo?
Temo che lei abbia risposto alla sua stessa domanda elencando i fatti che illustrano le immagini che si vedono nel libro e fuori dalla finestra. Tuttavia, non sta a me rispondere a questa domanda. I lettori sapranno la risposta.
E il lettore di una cosa è sicuro, comunque: Repubblica sorda, poema visionario e quasi distopico, è a suo modo una lettura impietosa e poetica del presente che si poteva immaginare e di un futuro enigmatico che ci sovrasta. E conferma la forza immaginativa e la poderosa tessitura linguistica di un poeta che già appare tra i più importanti dell’ultimo decennio, con una capacità davvero unica di leggere nelle pieghe e nelle contraddizioni della storia contemporanea.
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