David Piazza
In sordina e all’immediata vigilia di un importante Congresso dell’Unione delle Comunità che potrebbe ridefinire il suo ruolo in Italia, il Rabbinato sorprende tutti e propone una nuova figura, prima poco conosciuta, il rabbino a distanza, ossia il “tele-rabbino”. La settimana scorsa sono stati infatti nominati due nuovi Rabbini capo: ad Ancona rav Giuseppe Laras (residente a Milano) e a Napoli rav Scialom Bahbout (residente a Roma), due rabbini apprezzati e di grande esperienza che però, a quanto ci risulta, non risiedono nelle Comunità che li hanno scelti.
Già si era capito che l’esempio di Torino avrebbe fatto scuola: un Rabbino capo licenziato tra mille polemiche e nella quasi indifferenza delle istituzioni nazionali seguito dall’elezione alla stessa carica di un personaggio di grande carisma, come rav Birnbaum, residente però in Israele.
Bisogna aggiungere che lo stesso Birnbaum ha subito nominato un suo giovane aiutante con il compito preciso di occuparsi della Comunità di Torino durante i suoi lunghi periodi di assenza. È altrettanto vero però che questo accomodamento ha pochi precedenti in Italia e apre nuove e inesplorate possibilità nel rapporto Rabbino capo – Comunità.
È logico supporre che una piccola Comunità possa non avere le risorse economiche necessarie oppure non aver proprio bisogno di una persona che si dedichi agli iscritti 7 giorni su 7, eppure rimane difficile capire come il “tele-rabbino” possa andare incontro a quella diffusa esigenza di “vicinanza” del rabbino agli iscritti che pure emerge a gran voce dal vivace dibattito culturale che anima l’Italia ebraica.
Le nuove tecnologie potrebbero essere in grado di supplire alla lontananza fisica, ma solo se se ne riconoscono i limiti, come ci spiega uno stimolante articolo pubblicato recentemente dall’autorevole New York Times:
http://www.nytimes.com/2010/11/21/fashion/21Mitzvah.html?_r=1
Con il “tele-rabbino” resta poi aperto un altro nodo cruciale direttamente legato al ruolo del rabbino in Italia, quello della formazione. Da sempre ci si lamenta infatti che l’offerta di figure adatte a ricoprire questo fondamentale ruolo nella vita di una Comunità è sempre stata inferiore alla richiesta di Comunità piccole e grandi.
Succede però che proprio nelle Comunità più piccole, dove non esistono scuole ebraiche, si può avere spesso almeno un giovane rabbino, in virtù del fatto che questo non è ancora sposato oppure ha figli piccoli. L’esperienza in una piccola Comunità comunque costituisce infatti per il giovane rabbino una tappa importante nel suo percorso di formazione e lo prepara a esperienze certamente più impegnative in Comunità non solo più grandi ma anche con una struttura socio-religiosa più complessa. Questa del resto è la storia di molti Rabbini che guidano le comunità ebraiche in Italia.
Non è quindi così remoto il rischio che con il diffondersi della figura del “tele-rabbino”, spesso con una rispettabilissima e notevole “anzianità di servizio”, possano essere precluse alle giovani leve quelle possibilità di crescita naturale così importanti non solo per il loro curriculum personale ma anche per le Comunità ebraiche che potrebbero guidare in seguito.
La figura del “tele-rabbino” quindi, a prescindere dall’autorevolezza dei soggetti coinvolti, che non è certo messa in discussione, potrebbe essere dunque più che una scommessa sul futuro, un comodo ripiego nel passato.