Alfredo Mordechai Rabello
Si avvicina Rosh Hashana, una festa piena di significato universale: secondo i nostri Maestri il 25 di Elul è stato creato il mondo, mentre il sesto giorno, corrispondente appunto all’ uno di Tishrì, è stato creato l’uomo, Adamo (Vaikra Rabbà 29:1, Pirke de Rabbì Eliezer 8:1 ecc.). La Mizvà del giorno, di origine biblica (Numeri 29:1) è quella di sentire il suono dello Shofar: “Nel settimo mese, il primo del mese, sarà per voi santa convocazione: non farete alcun lavoro servile, giorno di suono strepitoso (iom teruà) sarà per voi” (Pentateuco a cura di Rav Disegni).
È una mizvà molto importante ed io ho ancora nelle orecchi le parole con cui il mio Maestro Rav Sergio Yosef Sierra z.l. concluse uno dei suoi discorsi sulla Shofar a Bologna, a metà degli anni cinquanta: “C’è D-o in quel suono!”. La Mishnà ci insegna: “L’ordine delle suonate è di tre (volte), ciascuna di tre suonate…la misura della suonata rumorosa (teru’à) è come quella di tre suoni intermittenti (yabbavòt)…” (Rosh Ha-Shanà 4:9 nella traduzione di Gabriele Di Segni, di cui si vedano anche le spiegazioni).
A sua volta la Ghemarà omonima (RHS 33b) viene a cercare il significato esatto di teru’à e riporta l’opinione dell’Amorà Abbaié che si rifà alla traduzione del targum aramaico, che ha una grande importanza nell’interpretazione della Torà, notando come il Targum traduca yom teru’à con yom yevavà (pianto). E la Ghemarà aggiunge: “Ed è scritto a proposito della madre di Siserà (Giudici 5:28): “Guardava attraverso la finestra e piangeva (vateyabev) la mamma di Siserà”. Il problema è ora quello di sapere cosa sia esattamente quella voce che si chiama yevavà: “un saggio riteneva che si trattasse di una voce di ghenichà, che è una voce di sospiro spezzato (ganach), [come quella di un malato che si lamenta (Rashì)], mentre un altro saggio riteneva che si trattase di un pianto a singhiozzo (yalule yalel)” [come un uomo che piange e si lamenta con voci spezzate (Rashi)] onde noi suoniamo con lo shofar facendo sentire sia voci che si chiamano shevarim, sia voci che si chiamano teru’à.
Non entriamo ora nei particolari di questa discussione e di questa halachà; come prima reazione possiamo pensare: non si poteva trovare una madre migliore da cui apprendere il suono dello shofar, come per esempio nostra madre Sarà, riferendosi alla quale Isacco gridava: “Annunziate a mia madre che la sua gioia è sparita, che il figlio da lei partorito a novant’anni fu preda del fuoco e del coltello, dove si troverà chi possa confortarla? La mia più grande angustia, o mamma mia, è per il tuo pianto e per il tuo dolore”. (Dalla poesia introduttiva al suono dello Shofar di I.Abbas, dal Machazor curato da Rav Disegni z.l.). È vero: formalmente non avevamo la stessa radice di yevavà, ma dobbiamo -in uno dei momenti più solenni dell’anno ebraico – riferirci proprio al pianto della madre del comandante dell’esercito cananeo nemico di Israele?
Ebbene è quello che ci dice la nostra tradizione; vi è di più: anche il numero di cento suonate che siamo abituati a sentire di Rosh Hashanà lo apprendiamo proprio dal pianto della madre di Siserà (Tossafot, Peri Magadim ed altri autori). Siamo consapevoli che vi sono interpretazioni cabbalistiche, ma possiamo dare più modestamente una nostra interpretazione del passo talmudico: nel momento più intimo del popolo ebraico davanti a D., nel momento in cui lo Shofar ci invita a risvegliarci, ad essere consapevoli delle nostre azioni, ad esaminare le nostre vie, l’Ebraismo non può non darci anche un insegnamento universale; sappi apprendere, o Ebreo, la giusta lezione perfino dal pianto di una madre cananea per la sorte del figlio, anche se questo figlio è tuo nemico; in questi suoni c ‘è la voce di D-o, ma vi è anche la nostra voce, il nostro pianto, un pianto nei secoli di padri e madri ebrei che si rivolgono a D-o, un pianto che si mescola al pianto della madre di Siserà e D-o benedetto tiene conto di tutto.
Newsletter L’Unione Informa 27 settembre 2010