Tratto da Kolot del 21/10/2010
Vera Rauch
Un antidoto allo stress quotidiano, all’assuefazione al consumismo, al logorio per l’arrivismo, alla generale nevrosi della vita moderna: cerchiamo di osservare il Sabato, come ci hanno insegnato i Maestri. Non nascondo che provengo da una famiglia assimilata tanto assimilata che quasi volevo preparare l’albero di Natale come facevano le mie amichette nell’anno 1945, quando mio padre mi disse con voce calma e persuasiva: Ma no… noi siamo ebrei e non facciamo l’albero di natale…
Allora scoprii qualcosa… e incominciai ad interrogarmi, a interrogare mio padre che da lungo tempo ci parlava dei Profeti. Poi piano piano, dissi a me stessa che allora dovevo incominciare ad avere contatto con la realtà della vita ebraica e mi avvicinai istintivamente a ciò che sentivo e pensavo essere il punto centrale di esplorazione e di richiamo alla conoscenza dell’Ebraismo: IL RABBINO.
Ci vollero molti anni, dalla fine della guerra, da Rav Shauman, (Z.L.) grande maestro e operatore anche nell’ambito della comunità “israelitica” genovese nei primi anni del dopoguerra velata da un ebraismo quasi “timido”, smarrito , a riportarci a gradi ad una coscienza ebraica. Poi gli esempi e gli insegnamenti del Rabbino Aldo Luzzato (Z.L.) e la volontà di partecipare a tutto ciò che l’ebraismo italiano preparava con programmi creativi per riunire i giovani, mi rendevano sempre più consapevole di non essere una goy, mi stavo appropriando di un diverso concetto di vita, di spiritualità.
In seguito la mia esperienza ebraica in Israele nel 1967: specialmente al Sabato quando non potevo comprare, essendo i negozi chiusi, e la televisione israeliana non emetteva programmi, che poi riprendeva alla fine dello Shabbat, con l’apertura in tono solenne di una Massima dei Padri. Con lo studio della lingua ebraica, ora posso capire alcune bellissime tefillot sabbatiche e comprendere meglio le approfondite lezioni di Rav Giuseppe Momigliano e le interessanti lezioni di Rav Carucci, poiché al mio ritorno in Italia, si è rafforzata la volontà di continuare il cammino su quel tracciato di vita che avevo intrapreso anni prima e sperimentato dopo in Israele, e che mi aiuta e mi sta aiutando a capire la bellezza e la profondità dell’osservanza del Sabato, delle 39 melachot che non si devono compiere e che io non riesco ancora ad osservarle tutte. Forse perché vivo nella diaspora?
Ebbene, per me che sono una iperattiva, oggi benedico il Sabato che, se non lo osservassi anche parzialmente, non potrei dedicarlo alla preghiera, alla passeggiata, alla lettura, alla meditazione, delizie che durante la settimana, fuori di casa per impegni di lavoro o all’interno di essa con il telefono computer televisione, non troverebbero spazio. E poi avete mai provato un giorno totalmente diverso da tutti gli altri ? Provatelo e vi invito ad esprimere la vostra sensazione. La mia è quella di sentirmi circondata da una calma interiore ed esteriore, di assaporare i cibi senza fretta e frastuono, e senza squilli di telefono… e di leggere alcuni libri che da anni facevano solo da “sfondo” negli scaffali.
In California al Sabato, insieme a mio figlio, nuora, nipotina facevamo, immersi nel verde, deliziose passeggiate, ci dedicavamo alla lettura o conversavamo sulla Parashà, oppure attendevamo tranquillamente degli ospiti. Mi sembrava di sentirmi meglio, che la mia salute ne beneficiasse, e perciò, concludo con una frase tratta dal Libro di Dayan Grunfeld “Lo Shabbth”: “Ho un dono prezioso tra i miei tesori – disse D-o a Mosè: il suo nome è Shabbath. Va e dì a Israele che desidero donarglielo.”