Nelle prime parole della parascià di Vaerà troviamo un richiamo al patto che il Signore stipulò coi padri (Genesi 15), un patto fatto con dei singoli, ma che ora dovrà essere stabilito con il popolo che si trova in Egitto.
Il Signore indirizzò la parola a Mosè dicendo: Io sono il Signore, apparvi ad Abramo Isacco e Giacobbe come El Shaddai (Dio onnipotente), ma con il mio nome Hashem (il Signore) non mi feci conoscere da loro. Con loro feci un patto che avrei dato loro la terra di Canaan, cioè la terra dei loro pellegrinaggi nella quale essì dimorarono quali stranieri. Infine ho ascoltato il gemito dei figli d’Israele asserviti all’Egitto, quindi mi sono ricordato del mio patto. Parla così ai figli d’Israele: Io sono il Signore, Io vi sottrarrò alle tribolazioni dell’Egitto, vi salverò dal loro duro servaggio, vi libererò con braccio disteso e con severi castighi sui nemici. Vi eleggerò quale popolo a me appartenente, sarò il vostro Dio, così che riconoscerete che io sono il Signore Dio vostro che vi ha liberato dal giogo egiziano. Vi introdurrò nella terra che giurai di dare ad Abramo, Isacco e Giacobbe e ve la darò quale possedimento ereditario; Io sono il Signore (Esodo 6: 2 – 9).
Rav D.B Soloveitchik sostiene che questa è l’enunciazione del patto che va sotto il nome di Berith Mizraim (patto d’Egitto), cioè il patto imposto agli ebrei e per il quale non poterono esprimere alcuna libertà di scelta: un patto che, essendo stato imposto, Rav Soloveitchik definisce come Patto destino (Berit Goral: si veda il suo saggio Kol dodì Dofek: la voce del mio amico bussa). Solo alle pendici del Sinai il popolo ebraico potrà accettare volontariamente il patto che il Rav chiama Berit Yi’ud (Patto missione).
Una visione diversa di questo passo dà rav Haim Sabato, secondo il quale vengono qui delineate tre fasi del patto.
Il primo contenuto del patto è la libertà. Al tempo dei patriarchi il culto del Signore era espressione di una scelta privata, nel senso che ognuno poteva arrivare a concepire e a servire il Dio unico con le proprie forze. L’uscita dall’Egitto è lo strumento per trasformare un fatto privato in un progetto pubblico ed è necessario che ci sia un popolo che possa essere lo strumento per diffondere l’idea monoteista e il modo in cui Dio voleva essere servito. Il popolo ebraico, liberato dalla schiavitù egiziana, avrebbe svolto a tal fine il ruolo di testimone: “Voi siete i miei testimoni io sono il Signore” “Un popolo che ho creato per me, narrerà la mia lode” (Isaia 43, 10 e 21). Solo un governo indipendente nella terra promessa avrebbe potuto realizzare il progetto divino.
La liberazione di Israele ha uno scopo fondamentale come dice il profeta:
Annunzia alla casa d’Israele: Così dice il Signore Dio: Io agisco non per riguardo a voi, gente d’Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete disonorato fra le genti presso le quali siete andati. Santificherò il mio grande nome , disonorato fra le genti, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le genti sapranno che io sono il Signore – parola del Signore Dio – quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi. Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre turpitudini e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio.(Ezechiele 36: 22 – 28)
Il secondo contenuto del patto è la legge e la consapevolezza di chi ti ha redento dall’Egitto (come è chiaramente scritto nel primo comandamento)
Il terzo contenuto del patto è il possesso eterno della terra (morashà è il termine usato per la Torà e anche per la terra d’Israele).
Questi tre aspetti si trovano nella storia del popolo ebraico all’uscita dall’Egitto: la liberazione dall’Egitto, il dono della Torà e infine l’ingresso in Erez Israel.
La simbologia del patto si trova in ognuno di questi momenti: a) in Egitto, abbiamo il sangue che viene spalmato sugli stipiti e il sacrificio pasquale che è un sacrificio della casa, vero simbolo del patto collettivo; b) Alle pendici del Sinai troviamo (Esodo 24 7 – 8): Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!». Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!». Anche qui troviamo la simbologia del sangue; infine anche per il patto per la conquista della terra d’Israele, appena attraversato il Giordano, troviamo che tutto il popolo fa la milà e il sacrificio pasquale: infatti gli ebrei arrivarono in Erez Israel proprio alla vigilia di Pèsach.
La missione del popolo ebraico, per espletarsi completamente, ha bisogno di questi tre elementi: la libertà, la Torà e la Terra. Le tre feste del pellegrinaggio sono il modo attraverso cui la collettività mette in pratica il patto: sukkot è un’allusione a Erez Israel ed è considerata la festa per eccellenza e la più gioiosa. Il programma iniziato con la liberazione dall’Egitto, continua con il dono della Torà e viene completato infine con l’ingresso in Terra d’Israele: il popolo ebraico potrà svolgere la sua missione tra i popoli solo avendo Erez Israel come riferimento.
La storia ebraica dimostra tuttavia che ci sono stati sempre due o più centri vitali nella storia del popolo ebraico. Accanto a Israele (che ha anche subito delle eclissi), c’è stata Babilonia, e possiamo dire tutti i paesi della Diaspora possono essere inclusi in questa categoria. La dialettica tra questi due poli e oggi la dialettica tra la Diaspora e Erez Israel può essere molto fruttifera. Ognuna di queste due esperienze ha qualcosa da dare all’altra. Oggi nel mondo della globalizzazione si può vivere in Italia e avere un’esperienza ebraica più o meno soddisfacente. Tuttavia, anche quando questo accade, la specificità dell’esperienza fatta in Israele ha un qualcosa che la Diaspora non può dare, non fosse altro per l’impossibilità di mettere in pratica le mizvoth che dipendono dalla terra e quindi avere una esperienza ebraica a 360°. Le tre feste del pellegrinaggio che non si possono fare se non muovendosi dalla terra in cui si abita verso Erez Israel ci possono permettere di assaporare un po’ dell'”atmosfera” di Erez Israel.
Scialom Bahbout
Rav Haim Sabato (Cairo 1952) Di origine siriana (Aleppo), ha studiato nelle Yeshivot Hakotel e altre ancora. Tra i propri maestri rav Hadari, rav Nevenzal, rav Nahum Rabinowitz. Ha fondato la Yeeshivà Birkat Moshè (Maalè adumim). Ha ricevuto il premio Sapir (2000) e il premio Katz. Ha scritto libri e romanzi. Commenti alle parashoth settimanali. Famosa una sua intervista a rav Aharon Lichtenstein (vedi il libro: Mevakshè Derech).