Parashàt di Ki Tavò
Rav Scialom Bahbout
Quali sono i rischi cui andrà incontro il popolo ebraico qualora non osservasse il patto stipulato con il Signore ai piedi del Monte Sinai? Troviamo la risposta nelle Tochachot (ammonimenti) di Bekhukkotai (Levitico cap. 26) e di Ki tavò(Deuteronomio cap. 28): La prima versione contiene ammonimenti agghiaccianti e spaventosi, la seconda annuncia disgrazie da incubo, tanto da essere state interpretate come una descrizione realistica degli eventi accaduti durante la Shoà.
Questa una parte delle parole del Levitico:
…. non mettendo in pratica tutti i miei comandi e infrangendo la mia alleanza, ecco che cosa farò a voi a mia volta: manderò contro di voi il terrore, la consunzione e la febbre, che vi faranno languire gli occhi e vi consumeranno la vita … il vostro paese sarà desolato e le vostre città saranno deserte. Se, nonostante tutto questo, non vorrete darmi ascolto, ma vi comporterete ostinatamente (bekèri) contro di me, anch’io mi opporrò a voi con maggiore ostinazione (hamat kèri) e vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati. … allora la terra si riposerà e si riprenderà i suoi sabati. … avrà il riposo che non le fu concesso da voi con i sabati, quando l’abitavate. … Perirete fra le nazioni: il paese dei vostri nemici vi divorerà….
e queste alcune delle espressioni del Deuteronomio:
… Il Signore solleverà contro di te da lontano, dalle estremità della terra, una nazione che si slancia a volo come un’aquila: una nazione della quale non capirai la lingua, una nazione dall’aspetto feroce, che non avrà riguardo del vecchio né avrà compassione del fanciullo; allora il Signore ti disperderà fra tutte le nazioni, da un capo all’altro della terra. . . Tra quelle nazioni non troverai riposo, nessun luogo di riposo per la pianta del tuo piede. Là il Signore ti darà una mente ansiosa, occhi stanchi di desiderio e un cuore disperato. ….
Qual è la differenza tra le due dichiarazioni? La prima è stata rivelata già ai piedi del Sinai e l’altra è stata comunicata a Mosè nell’Ohel Mo’ed (la Tenda della radunanza): il Talmud (Meghillà 31b) riconosce che le Tochachot del Levitico sono espressione diretta di Dio (mipì haghevurà) e quelle del Deuteronomio, anche se ispirate da Dio, sono espressione della bocca di Mosè (mipì ‘atzmò). Inoltre, anche se comunicate prima dell’ingresso nella Terra d’Israele, le tochachòtdi Ki tavò dovranno essere applicate in Terra d’Israele, luogo in cui ogni ebreo è corresponsabile delle azioni compiute dagli altri.
Il giusto e il malvagio: il caso padrone della Storia?
Negli ammonimenti non si fa alcuna differenza tra giusti e malvagi: tutti subiscono la stessa sorte. Vari commentatori hanno posto questo problema che è in sostanza quello della giustizia divina, specie in rapporto al patto stipulato con il popolo d’Israele. E’ lo stesso problema che viene posto in rapporto alla Shoà: se applichiamo quanto narrato in Ki tavò alla Shoà, ci chiediamo come è stato possibile che siano stati massacrati tanti giusti, senza che Dio corresse in loro aiuto e li salvasse?
Tentativi di risposta a questa domanda, sono stati fatti in passato, ancora prima della Shoà, anche se certamente nessuna di queste interpretazioni può avere la pretesa di essere quella “vera”. In rapporto proprio ai testi delle Tochachot è necessaria una precisazione: cosa significa “comportarsi bekèri” in maniera casuale? La parola Kèri ha la stessa radice di mikrè, caso. Il testo dice in sostanza che se il popolo d’Israele pensa di essere sottoposto al caso, facendo un uso saltuario della Torà, allora anche Dio si comporterà lasciando che Israele subisca la stessa sorte degli altri popoli che, nonostante la loro grandezza, sono scomparsi dall’arena della storia. Questo succederà in quanto il patto presuppone che il popolo risieda nella sua terra, Erez Israel, e lì conduca una vita rispettosa della tradizione e del patto.
Vediamo come hanno interpretato questo fatto i commentatori ebrei e non ebrei.
Maimonide: Nell’esilio il popolo perde la protezione della Presenza divina, cioè il popolo subisce il destino di “essere lasciato solo”, “essere lasciato al caso”. Questo ha conseguenze enormi: nel suo commento all’episodio del Libro di Giosuè (7,1) in cui gli Israeliti vengono sconfitti ad ‘Ai, quando muoiono trentasei uomini, Ralbag scrive: le persone uccise in battaglia non erano colpevoli di peccato, ma ciò che aveva determinato la sconfitta è stato il peccato di qualcun altro, di Achan ben Zerach che aveva sottratto parte del bottino, cosa proibita. Com’è possibile che il colpevole sia sopravvissuto mentre l’innocente sia morto? Ralbag traccia una distinzione fondamentale tra una tragedia che è opera della Presenza divina (per esempio, la distruzione di Sodoma e Gomorra) e una tragedia che si verifica a causa di un ritiro della Presenza (come accadde ad ‘Ai). Insomma: quando è Dio a distruggere, vengono colpiti solo i colpevoli; quando Dio si ritira ed è l’uomo che distrugge, anche gli innocenti soffrono.
Anche Abrabanel fa essenzialmente la stessa osservazione sullo stesso episodio: c’è una distinzione tra punizione che si realizza per azione divina e punizione che si realizza per la sottrazione della Presenza divina. Quando Dio punisce con l’azione diretta, non punisce la persona che non ha peccato a causa di colui che ha peccato. Non così la punizione che avviene per caso in conseguenza del ritiro della Presenza divina: poiché tra loro ci sono dei peccatori, Dio nasconde a tutti il suo volto colpendo chi è esposto al pericolo, e il peccatore, che forse non c’era, può rimanere illeso.
Rav Joseph Soloveitchik z.z.l. (Kol Dodì Dofèk) fornisce una interpretazione diversa del rapporto tra male e bene:
«A cosa può essere paragonata la faccenda? A una persona che guarda un bel tappeto, una vera opera d’arte, in cui è stato intessuto un design squisito, ma lo guarda dal rovescio. Può una tale visione dar luogo a un’esperienza estetica sublime? Noi, ahimè, vediamo il mondo dal suo lato opposto. Siamo, quindi, incapaci di afferrare il quadro onnicomprensivo dell’essere. Ed è solo in quella cornice che è possibile discernere il disegno divino, l’essenzialità delle azioni divine».
Tuttavia, nonostante la divina Presenza sia mancata in certe circostanze, viene ribadita la promessa dell’alleanza da parte di Dio, proprio alla fine delle Tochachot, il Signore dice:
Io mi ricorderò della mia alleanza con Giacobbe, dell’alleanza con Isacco e dell’alleanza con Abramo e mi ricorderò del paese. … Nonostante tutto questo, quando saranno nel paese dei loro nemici, io non li rigetterò e non mi stancherò di essi fino al punto d’annientarli del tutto e di rompere la mia alleanza con loro; poiché io sono il Signore loro Dio (Levitico 26: 42 ss).
Gli ebrei nella storia nel pensiero di Pascal
Sullo stranezza della storia ebraica scrive Blaise Pascal nei suoi Pensées, 176 – 77:
È certo che in determinate parti del mondo possiamo vedere un popolo peculiare, separato dagli altri popoli del mondo, e questo si chiama popolo ebraico. . . Questo popolo non è solo di notevole antichità, ma è anche durato per un tempo singolarmente lungo. . . Infatti, mentre i popoli della Grecia e dell’Italia, di Sparta, di Atene e di Roma, e altri che vennero molto più tardi, sono periti tanto tempo fa, questi esistono ancora, nonostante gli sforzi di tanti potenti re che hanno cercato cento volte di annientarli, come testimoniano i loro storici, e come si può facilmente giudicare dall’ordine naturale delle cose in un così lungo periodo di anni. Tuttavia, sono sempre stati preservati e la loro conservazione era predetta. . . Il mio incontro con questa gente mi stupisce.
Il proto sionismo di Dona Gracia Mendez
“Questi disastri non ci sono capitati perché il nostro D-o non è con noi?” : e io nasconderò il mio volto in quel giorno. . . (Deuteronomio 31:17 – 18).
Ora non c’è dubbio che Israele abbia goduto di una posizione particolare nella storia, anche e soprattutto per aver trascorso la maggior parte della propria esistenza in esilio: l’esilio è una situazione esistenziale caratterizzata dalla mancanza di libertà, anche perché in esilio il volto di Dio è oscurato: In quel giorno mi adirerò con loro e li abbandonerò; nasconderò loro la mia faccia e saranno distrutti. Molti disastri e difficoltà verranno su di loro, e in quel giorno chiederanno:
La storia dell’esilio è la storia della perdita della presenza divina, anche se è scritto “quando andarono in esilio la Shekhinà andò in esilio con loro”: quindi la sofferenza degli ebrei nella diaspora non è una punizione divina, ma piuttosto una conseguenza dell’esilio stesso. Dare una risposta al problema del male e delle sofferenze degli innocenti che sia vera per ogni occasione è sbagliata. I poeti della catastrofe durante le Crociate hanno paragonato le loro sofferenze alla Legatura di Isacco, alla tragedia di Giobbe e al servo sofferente di Isaia: in tutti questi casi la sofferenza non è collegata al peccato.
La storia ebraica è costellata di catastrofi – le persecuzioni di Adriano, le stragi degli ebrei nelle crociate, le calunnie del sangue, l’Inquisizione, i pogrom: tutte sono state registrate nella memoria ebraica, trascritte nelle elegie che si leggono per Tishà beav fino ad oggi (anche la persecuzione nazista nella Kinà di Jehudà L. Bialer).
Quindi la Shoà non ci parla di Dio, ma dell’uomo e della sua ingiustizia. La domanda sollevata da Auschwitz non deve essere “Dov’era Dio?” ma “Dov’era l’uomo? Dov’era l’umanità?” Questa visione è già stata adottata dai maggiori esponenti dell’ebraismo nel Medioevo sulle catastrofi a loro contemporanee.
Secondo Ghershom Scholem, Il Gherush – la Shoà verificatasi nella penisola iberica nel 15° secolo con l’Inquisizione e la Cacciata degli ebrei dai territori spagnoli – ha dato il via a quello che potremmo definire il “proto – sionismo” di Dona Gracia Mendez: il ritorno di molti ebrei fuggiti dalla Spagna e arrivati in Terra d’Israele, gli insediamenti nella Galilea, il tentativo di ricostruire l’autonomia politica ebraica nella Terra d’Israele con il Duca di Nasso, suo nipote, la ripresa della Semikhà – la trasmissione da maestro ad allievo dell’imposizione rabbinica cessata ai tempi di Rav nel Talmud – la nuova Kabbalà di Rabbi Izchak Luria. Il progetto di Dona Grazia e la creazione di opportunità di lavoro richiamò non solo gli ebrei, ma anche molti non ebrei dai territori limitrofi verso la Galilea. Questi sono fenomeni che avrebbero potuto produrre il ritorno degli ebrei in Terra d’Israele già nel 16° secolo.
Seguendo l’idea di Scholem, anche l’ascesa dell’antisemitismo in Europa nella seconda metà del 19° secolo contribuì (anche se non determinò!) allo sviluppo del Sionismo e al desiderio degli ebrei di tornare alla terra dalla quale erano stati deportati e recuperare la propria sovranità come popolo. Anche questo era stato previsto da Mosè:
Quando tutte queste cose, la benedizione e la maledizione che ho posto davanti a te, verranno su di te, così che tu possa riflettervi nel tuo cuore, (mentre ti troverai) fra tutte le nazioni, tra le quali l’Eterno, il tuo Signore, ti avrà sospinto. Tu farai ritorno all’Eterno, il tuo Signore con tutto il tuo cuore e con tutta la tu anima, e darai ascolto alla sua voce, secondo quanto io ordino a te e ai tuoi figli. Allora l’Eterno, il tuo Signore, tornerà insieme ai tuoi esiliati e avrà compassione di te. Egli ti raccoglierà di nuovo da tutte le nazioni, nelle quali il Signore ti avrà disperso. . Anche se tu fossi stato esiliato fino all’estremità del cielo, di là l’Eterno , il tuo Signore, ti raccoglierà e ti riprenderà (Deut. 30: 1 -4).
Il ritorno degli ebrei in Israele segna l’inizio di un’era vecchia-nuova nella vita del popolo ebraico: rifondare una società sui principi dell’alleanza scritti nella Torà e confermati nei libri profetici. Perché, anche nei tempi più bui, il popolo ebraico ha trovato la strada per il rinnovamento: un’occasione per fare un Tikun, per restaurare e migliorare la vita individuale e sociale, fiduciosi che venga realizzata la promessa (Osea 2: 21 – 22): Ti sposerò per sempre, ti sposerò con giustizia, con diritto, con amore e misericordia, e ti sposerò con fedeltà e tu conoscerai il Signore.
Scialom Bahbout
Ralbag: Rabbi Levi ben Ghershom (Provenza 1288 – 1344)
Rabbino e filosofo. Astronomo, matematico. Ha scritto commenti ai libri di Aristotele. Il suo libro di filosofia più importante è “Milchamot Hashem”, in cui esprime divergenze sulle teorie di Aristotele, vicino al neoplatonismo. Il suo pensiero si manifesta nel libro “To’aliyot haralbag”, commento ampio al Pentateuco e alla maggior parte dei libri della Bibbia. Il libro parla di Halakhà e fissa nove regole per dedurre la Halakhà dai versi della Torà, a differenza delle regole ermeneutiche usate per interpretare la Torà. I suoi libri sono stati aspramente criticati, ma alla fine sono state accettate e hanno avuto influenza nel tempo.
Rabbi Don Izchak Abravanel (Lisbona 1437 – Venezia 1508)
Commentatore, filosofo e politico. Guida dell’ebraismo spagnolo durante il Gherush. Tesoriere del re di Portogallo. Fuggito in Spagna è stato tra le persone che ha cercato di evitare che venisse realizzato il Gherush. Ha scritto un commento a tutta la Bibbia. Ponendo delle domande all’inizio di ogni capitolo e dando le sue risposte. Ha avuto incarichi come tesoriere anche a Napoli e Venezia.